L’aumento del prezzo delle derrate alimentari, iniziato già alla fine del 2010, è stato l’innesco per la serie di rivolte che si stanno verificando nel Nord Africa e, secondo gli esperti, è destinato a determinare instabilità politiche ed economiche almeno per il resto del 2011 e il 2012. Alcuni dei meccanismi che stanno alla base di questo fenomeno potrebbero essere contrastati da quella “reinvenzione del cibo” su cui ha riflettuto in diverse occasioni Cristina Grasseni su questo sito. Alla base di tutto, infatti, c’è la vulnerabilità del mercato del cibo a livello mondiale, che è sempre più sensibile a fenomeni globali, e che potrebbe essere mitigata da politiche più attente, anche attraverso il recupero delle tradizioni locali e il consumo critico.
L’entità dell’attuale incremento dei prezzi è preoccupante. La ricorda, su TomDispathc, Michael Klare, esperto di sicurezza internazionale e docente all’Hampshire College di Amherst (Massachusetts): «L’indice dei prezzi alimentari pubblicato dalla Fao a dicembre ha raggiunto il valore record di 223 punti, uno in più rispetto al 2008 (nell’indice, che si basa su un paniere di generi alimentari, la base 100 rappresenta i prezzi negli anni 2002-2004). Alcuni prodotti, tra cui lo zucchero, gli oli per cucinare e i grassi, adesso sono ben al di sopra dei livelli del 2008. Anche i valori di altri beni, come quelli caseari, i cereali e la carne, stanno aumentando velocemente».
Almeno quattro elementi, distanti fra loro solo all’apparenza, hanno contribuito o contribuiscono a minacciare la sicurezza alimentare mondiale: i disastri naturali che per tutto il 2010 hanno devastato aree chiave per la produzione agricola, le speculazioni finanziarie, il fatto che il mercato del cibo è ormai pericolosamente connesso con quello del petrolio e, infine, l’incremento della popolazione in Paesi che, come la Cina, stanno assumendo nei consumi uno stile di tipo occidentale.
Sui mutamenti climatici si sofferma un editoriale del New York Times (per leggerlo bisogna registrarsi gratuitamente sul sito), che fa notare che, sebbene eventi climatici estremi abbiano sempre influenzato il prezzo del cibo, la loro aumentata frequenza e intensità rende la situazione attuale più critica. L’articolo conclude così: «L’evidenza suggerisce che quanto sta avvenendo sia in effetti solo un primo assaggio degli sconvolgimenti economici e politici che dovremo affrontare in un modo che si sta riscaldando. E considerato il nostro fallimento nel tentativo di gestire le emissioni di gas serra, la situazione è destinata a peggiorare in modo drastico». Il legame fra mutamenti climatici e sicurezza alimentare è chiarissimo anche in un articolo di Maurizio Ricci su Repubblica: «Come spesso capita con le materie prime, la produzione agricola mondiale destinata ai mercati esteri è concentrata in pochi paesi. […] Quando il clima avverso colpisce uno di questi paesi, le ripercussioni si avvertono in tutto il mondo».
L’articolo osserva poi che la vulnerabilità del mercato globale del cibo è accentuata dagli inevitabili accaparramenti, già in atto in alcune parti del mondo, e dalle speculazioni. Dei primi rendeva conto un articolo del Washington Post a metà gennaio. Sulle seconde si sofferma invece – ancora su Repubblica – un reportage da Ginevra, la città dove, almeno virtualmente, transita molta parte della produzione agricola mondiale. Sulle sponde del lago Lemano, infatti, hanno sede circa 400 aziende specializzate, che decidono i prezzi delle derrate alimentari, organizzano i trasporti e comprano e vendono cibo in tutto il mondo. Il sospetto di speculazioni attraverso strumenti finanziari quali i prodotti derivati è forte, anche se mancano le prove. Di fatto, si osserva nell’articolo, quasi la metà dei siti di stoccaggio appartiene a banche, e «ci sono performance di alcuni istituti di credito che parlano chiaro».
L’ultimo tassello che contribuisce all’incremento del prezzo del cibo è rappresentato dal legame ormai indissolubile fra questo mercato e quello del petrolio. Non solo perché l’aumento del prezzo del greggio rende più costoso trasportare le derrate da un capo all’altro del mondo. Ma anche perché quando il prezzo dei combustibili sale, gli agricoltori, specie in America, preferiscono convertire i propri terreni alla produzione di biocarburanti. Su TomDispathc, Michael Klare chiarisce: «Il prezzo del greggio si sta avvicinando alla soglia dei 100 dollari (e oggi l’ha superata Ndr) rendendo più conveniente per gli agricoltori passare dalla coltivazione di mais per il consumo a quella per la produzione di etanolo, e questo riduce la quantità di ettari destinati ai prodotti alimentari».
(foto: Soja! di Márcio Garoni da Flickr)