Il fine vita è argomento scomodo e poco battuto dai media se non in concomitanza di notizie “forti”, come il video sull’eutanasia di Exit da poco in rete nella versione italiana. Mentre il Parlamento italiano da anni non riesce a trovare un accordo nel legiferare sul testamento biologico, i cittadini si dimostrano ben informati (e con idee precise) su questi temi.
I problemi sul fine vita ciclicamente balzano all’onore delle cronache (la Repubblica – Il Corriere della Sera), non perché nel frattempo scompaiano dalla quotidianità che alcuni cittadini sono costretti ad affrontare, ma perché evidentemente necessitano di una spinta notiziabile forte per costituire argomento di discussione nei media nazionali. E’ successo anche in questi ultimi giorni, con la campagna di ricerca fondi portata avanti dal Partito dei Radicali e dall’associazione Luca Coscioni, intenzionati a promuovere uno spot dell’organizzazione internazionale EXIT sul tema dell’eutanasia. Il breve video, in originale per ora in onda solo sulle emittenti canadesi, è visibile nella versione italiana in rete, corredato anche da una versione per non udenti e da un’altra di sola descrizione audio per i non vedenti. 44 secondi in cui un malato terminale con poche parole richiama l’attenzione alla sua condizione, non di malato, ma di cittadino che vuole essere libero di operare una scelta, per sé e per la sua famiglia. La scelta estrema di decidere, consapevolmente, di morire. Il video in attesa del giudizio del Garante delle telecomunicazioni, cliccatissimo su youtube, è in cerca di fondi e di emittenti private locali e nazionali disposte a mandarlo in onda, nonostante le proteste e le critiche del mondo cattolico, ma non solo.
Il tema, delicato e personalissimo, non è oscuro per la maggior parte dei cittadini italiani. La conclusione del video evidenzia un dato statistico di grande impatto: il 67% degli italiani sarebbe favorevole all’eutanasia (anzi a essere precisi 67,4%), come Eurispes ricorda nel Rapporto Italia 2010. Quasi 9 persone su 10 in Italia sono consapevoli di cosa sia l’eutanasia e hanno un’idea ben precisa in merito, mentre il restante 10,9% non risponde o non ha ancora maturato una sua valutazione in proposito. Nel 2007, data dell’ultimo rapporto nazionale Eurispes in cui si parlava anche di eutanasia, i dati erano pressoché simili. Diversi invece i dati riguardo al testamento biologico, l’atto mediante cui si possono dichiarare le proprie volontà sulle disposizioni mediche da adottare in casi di fine vita (gravi incidenti, fasi terminali di malattie). L’introduzione di un documento a tutela delle proprio consenso informato anche in caso di impossibilità di decidere perché non più capaci di intendere, vede favorevoli l’81,4% degli intervistati, con una crescita di consenso dal 2007 di 6.7 punti in e con un trend di crescita costante a partire dal 1987, anno in cui l’eutanasia è comparsa per la prima volta nei sondaggi Eurispes. Impossibile non pensare che in questi anni, e soprattutto negli ultimi, i ben noti casi di Piergiorgio Welby e Eluana Englaro abbiano contribuito a creare il terreno per portare avanti una discussione a livello pubblico, fuori dai palazzi decisionali.
Come rivela un’altra indagine a livello nazionale, svolta da Observa-Science in Society nel 2009, il 60,7% degli intervistati inserirebbe nel testamento biologico anche la possibilità di ricevere un farmaco per essere aiutato a morire.
Possibilità non assolutamente contemplata (perché considerata reato da un punto di vista penale e dal punto di vista del codice deontolologico dei medici coinvolti nell’atto) nell’ormai annosa discussione su una legge italiana per il testamento biologico, anche chiamata in gergo più burocratese Dichiarazione (o Direttiva) Anticipata di Trattamenti (DAT).
Sono ormai 10 anni che in Parlamento è in discussione una legge su questo tema e che si arena su più punti: cosa può essere considerato trattamento sanitario (quindi cosa è possibile inserire come terapia ammissibile o meno), chi decide in caso di controversia tra il parere del medico, la famiglia (o il garante nominato) e le volontà espresse nel testamento, la tutela e il ruolo del medico nell’accondiscendere a gesti estremi e quindi eventuale possibilità di obiezione. Ciò che appare evidente è che, comunque, nonostante i tentativi di arginare e nascondere un dibattito aperto e non ideologico su questi argomenti, che prenda in considerazione tutte le posizioni senza preconcetti, il dibattito sociale evidentemente è già in atto. Gli strumenti messi a disposizione dalla rete diventano così il mezzo ideale per veicolare e far circolare posizioni in maniera aperta senza condizionamenti, come è nel tentativo del video di Exit. Su argomenti drammaticamente difficili, ma ormai inseriti nel quotidiano di molte famiglie che affrontano malattie neurodegenerative come l’alzheimer, il morbo di parkinson o la sclerosi laterale amiotrofica (Sla) o tumori in fase avanzata dall’esito fatale, la comunicazione scorre lontana dai riflettori e dai banchi del parlamento. Si forma nelle coscienze e nell’intimo delle proprie case e trova sostegno e sollievo solo quando qualcuno decide di portare avanti la battaglia alla luce del sole, come è stato nel caso di Welby o di Beppino Englaro per sua figlia Eluana. Ma si possono affrontare argomenti così importanti al buio e in solitudine? Un’informazione che riesca a scardinare i polverosi mantelli del “è vietato parlarne” dovrebbe dare spazio a queste discussione non solo quando il clamore di casi estremi impone una dettagliata copertura mediatica. E dovrebbe evitare i dualismi nella rappresentazione di uno scenario complesso e multisfaccettato. Non è solo questione di essere a favore o contro l’eutanasia, ma bisognerebbe interrogarsi su quali sono le paure, i dubbi e i bisogni dei cittadini su argomenti, come testamento biologico e suicidio assistito, che trascendono la scienza, la bioetica e la fede. Proprio in queste situazioni così particolari, i ritrovati della moderna biomedicina e le innovazioni che si affacciano velocemente nello scenario clinico non sono più semplici strumenti da utilizzare a tutti i costi perché portatori di “benefici”. Una riflessione consapevole e responsabile e una comunicazione chiara e trasparente non possono che essere l’unica strada su temi in cui non è solo il singolo a essere coinvolto, ma la famiglia, la classe medica e politica, e in sintesi la società tutta.