Continua da un precedente articolo.
La percezione di cosa sia la privacy, in particolare qui in Italia, è piena di contraddizioni e spesso si traduce in un intrico di formalità e articoli contrattuali, cessione totale di diritti a sconosciuti e protezione pudica dal proprio fratello, consorte, amico.
Seppure la questione della privacy sia un’altra storia rispetto al tema che qui sto trattando, essa è strettamente intrecciata.
Nello scorso articolo ho scritto: ci si sposta nella città con i propri device mobili (cellulari, giochi, computer, radio e lettori audio) e non solo si ricevono dati ma anche li si trasmettono. Una volta solo il proprio commercialista e il proprio confessore sapevano tutto di noi, ora, oltre alle banche, anche i gestori di telefonia possono sapere veramente tanto e con loro una schiera di altre strutture private dedite per lo più al commercio.
Seppure la questione della privacy a mio parere sia profondamente distorta e mistificata, se decidiamo di “aprire le porte” alla Realtà aumentata, dobbiamo essere consci di accedere a una cosa preziosa ma da trattare con attenzione.
Con la diffusione dei social network in internet, si sono diffuse anche applicazioni che permettono, con un sistema simile a quello descritto nello scorso articolo, di riconoscere un in luogo pubblico chi fa parte dello stesso gruppo a cui si è iscritti, oppure sapere dove si trova uno specifico amico in un qualsiasi punto del mondo (Latitude di Google, Bing di Microsoft e Seemywhere collegati a Facebook…) e, ovviamente, di palesarsi ad esso.
Per fare ciò si deve concedere l’uso dei propri dati personali, compresi quelli dell’iscrizione al social network in cui ci muoviamo e, ovviamente, della propria posizione geografica.
Sebbene la facilitazione della socializzazione io la veda con estremo favore e l’idea che sia molto più facile di una volta finire per incontrare quelli che una volta si chiamavano “amici di penna” mi entusiasmi, si deve tener presente che tutte queste informazioni vengono gestite da privati che normalmente ci chiedono il permesso per il completo utilizzo di esse.
(Di questo argomento in questo sito si è già parlato).
Avere tanti amici è una cosa bella e spesso fruttifera, ma la possibilità di inviare dati a una rete che ci geolocalizza e posiziona in un flusso temporale, è qualcosa che se diffuso potrebbe diventare un elemento molto importante nella gestione della società tutta.
Infatti una informazione che proviene da più punti geografici permette una mappatura in tempo reale del suo contenuto e ne permette la gestione storica e statistica.
Fin’ora si è parlato di informazioni tutto sommato legate al gusto o alle preferenze (che siano per oggetti di consumo, culturali o amicali), ma se i dati si riferissero al rilevamento di stati ambientali (ad esempio del rumore, come fa già WideNoise, progetto italiano), oppure a report di accadimenti come violenze sulle persone o smottamenti di terra, è possibile da una unità centrale mappare situazioni di crisi o valutare come si spostano eventi naturali…
Dal punto di vista economico e assicurativo, una mappatura in tempo reale di qualsivoglia elemento può avere una ricaduta piuttosto forte sul valore di una precisa zona geografica piuttosto forte. E nel frattempo dare indicazioni per azioni di governance da attuare o per le scelte individuali.
Una prima decisione è a monte: i dati raccolti tramite partecipazione devono essere condivisi?
Per questa via la Realtà aumentata comincia a essere qualcosa che può avere molta incidenza sulla nostra quotidianità. E’ una realtà che scambia dati attraverso le nostre azioni, non necessariamente attraverso le nostre parole o la continua presenza “conscia” ad un network. Si aderisce e il nostro device invia informazioni, oppure, come un diario minimale, spostandoci mandiamo piccoli avvisi, come delle fotografie. Per fare un esempio, immaginiamo una unità di crisi per un terremoto in cui ogni soccorritore può, attraverso il telefono geolocalizzato, segnalare la presenza di un ferito, un decesso, una struttura pericolante… Un software simile esiste già ed è già stato utilizzato in diverse situazioni drammatiche nel mondo (si chiama Ushahidi).
In questa Realtà aumentata noi, attraverso il nostro device, diamo voce al mondo circostante e lo mettiamo in collegamento, porzione a porzione, e il centro è di volta in volta questo o quell’altro gestore del servizio.
Gli elementi privacy e sociality si confrontano e il secondo prende il sopravvento, ridimensionando il primo ad uno spazio più umano.
Noi come individui cosa diveniamo? Non si può dire allora che la nostra socialità si espande? Dobbiamo, possiamo coniare il termine di Augmented sociality? Per questa via la nostra identità, non solo sociale, muta.
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