Questo è il primo di tre brevi articoli dedicati alle nuove forme di comunicazione via device mobili o cellulari di nuova generazione. Oggetti di culto, questi ultimi, che promettono e permettono modalità di fruizione, gestione e distribuzione delle informazioni completamente nuove. Ne parlo in questo sito non tanto perché ne ravviso particolari rischi o abbandoni di responsabilità, quanto perché penso sia un percorso dell’innovazione che avrà forti ricadute sulla socialità, partecipando anche a quella modificazione dei poteri, quelli legati alla gestione dell’informazione, che attraverso internet supera i confini dei singoli stati.
Augmented Reality, advertising
La civiltà delle cose, anzi, la civiltà della moltitudine delle cose produce la moltitudine dei segnali. Alla quantità si aggiunge la velocità con la quale passano e vengono rimpiazzati, creando una partitura della quotidianità satura e senza silenzi. E’ quel che Gillo Dorfles chiama “Horror Pleni“.
Questo stato potrebbe portare a uno sviluppo della capacità di selezione, ma in primis, a vedere gli atteggiamenti più comuni, sembra avere come effetto un abbassamento della sensibilità.
Da qui l’incapacità sempre più diffusa di leggere i simboli e le metafore, e al contempo una fobia crescente per ogni cosa nuova, percepita come “distrazione”.
Ogni giorno viene speso un po’ di tempo per imparare nuove tecniche che ci permetterebbero di produrre, comunicare, interagire meglio oppure per difendersi dagli advertise di qualunque forma. Fino a poco tempo fa l’imputato era una pubblicità sempre più invasiva, poi lo è diventato il computer, ora anche la telefonia e l’evoluzione dei device mobili.
Di fronte a queste promesse si riscontrano due reazioni inconsulte: “non voglio saper nulla che riguarda computer, tecnologie, nuove frontiere, a me basta poter telefonare, scrivere e leggere la posta elettronica”; oppure, al contrario, “aggiungo alla mia collezione un altro strumento e usandolo scoprirò cosa veramente mi potrà servire”.
In questo panorama moderno, che per lo meno sembra offrire problematiche diverse dalla solitudine delle grandi metropoli che ha vessato gli individui della fine del secolo scorso, le frontiere sembrano continuamente avvicinarsi e gli orizzonti moltiplicarsi.
Le frontiere paiono avvicinarsi perché quel che il giorno prima ci sembrava un racconto fantascientifico, di colpo si propone alla cronaca come fatto concreto, addirittura commercializzato, quindi integrato nel tessuto della quotidianità. Mentre gli orizzonti si moltiplicano perché la complessità del panorama permette letture parallele, sfaccettate, dalle molteplici direzioni e dai molteplici percorsi alternativi.
Ma se la realtà è difficile da leggere, quale può essere la via per migliorare il nostro stare tra le cose? Produrre una realtà che ci parla. Questa potrebbe essere la soluzione che ci arriva dalla galassia dei progetti classificati sotto il nome di Augmented Reality (AR).
Utilizzata in campo militare e medicale, la Realtà Aumentata è arrivata al grande pubblico attraverso le applicazioni per telefoni cellulari come l’iPhone o dotati di software Android. In una prima fase per scopi pubblicitari (Augmented Advertising), e poi come strumento per la fruizione di dati culturali o per la trasmissione di informazioni ambientali.
Citando la definizione data in Wikipedia, “è la sovrapposizione di livelli informativi (elementi virtuali e multimediali, dati geolocalizzati, ecc.) all’esperienza reale di tutti i giorni“.
Nella sua forma popolarmente conosciuta, proprio grazie a numerose applicazioni per i nostri cellulari (NearestWiki, Peak…), si considera Augmented Reality quando l’utente punta la fotocamera del proprio device e, contestualmente a cosa inquadra, in uno spazio, un tempo e una posizione precisa, si fornisce una informazione. In altre parole con la fotocamera del cellulare si inquadra un elemento a noi vicino, e sullo schermo verranno mostrate, sovrapposte, delle informazioni inerenti a ciò che stiamo riprendendo.
Ma questa è la porzione più piccola di ciò che si può considerare Realtà Aumentata.
Esperimenti in questo senso ne sono stati fatti molti. Sia applicazioni per cellulari che per computer. Nel primo caso, come si è detto, sono “strati” di informazioni che si sovrappongono a quel che si inquadra con la fotocamera, nel secondo caso invece, sono immagini ARtags, una sorta di evoluzione estrema dei codici a barre, che vengono riconosciute tramite webcam e che conducono a particolari contenuti interattivi, spesso 3D.
Questa strada sta portando alla diffusione capillare dei QR code, che sono immagini con standard ISO che, se inquadrate da un qualunque device collegato ad internet, permettono di raggiungere contenuti multimediali. Sempre più diffuso è infatti il loro utilizzo nella cartellonistica, nelle riviste e nelle pubblicazioni per edicole e non solo.
Questa Realtà Aumentata permetterebbe di spostarsi per la città o sfogliare giornali e ricevere informazioni pubblicitarie, culturali, in genere informative, relative ai luoghi e agli esercizi commerciali che di volta in volta avviciniamo.
Il panorama cambia se queste potenzialità le valutiamo in una ottica di scambio di informazioni: ci si sposta nella città e non solo si ricevono dati ma anche li si trasmettono.
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