Un’inchiesta del settimanale Panorama e un articolo dell’Economist svelano i chiaroscuri della ricerca sulle cellule staminali, settore nel quale si attendono, nei prossimi anni, alcune fra le più significative innovazioni in campo medico.
Le cellule staminali sono infatti ritenute da almeno una decina d’anni lo strumento principe della medicina rigenerativa, che si ripropone di sostituire tessuti e organi danneggiati da traumi e malattie, o usurati dall’invecchiamento, con tessuti analoghi ricavati, appunto, da queste cellule. Il loro impiego, tuttavia, ha trovato numerosi ostacoli: in laboratorio, infatti, il comportamento delle staminali, capaci di moltiplicarsi all’infinito e assumere le caratteristiche dei tessuti più diversi, non è sempre coerente con quanto previsto dai ricercatori. Così, a oggi, la promessa che all’inizio degli anni Duemila sembrava a portata di mano è stata mantenuta soltanto in minima parte. I progressi per la cura delle malattie neurodegenerative sono irrilevanti, se si eccettuano piccoli risultati ottenuti per il morbo Parkinson e la sclerosi laterale amiotrofica, e alcune ricerche incoraggianti, condotte però su animali, per altre malattie. Qualche passo in più si è fatto con la rigenerazione della cornea, mentre ancora deludenti sono le terapie per riparare il cuore danneggiato da infarti.
Ciò non toglie che su questo tema si sia creata molta attesa. Nello spazio lasciato vuoto che sta fra la scienza ufficiale e le speranze dei malati si sono così inserite società che, mescolando abilmente dati scientifici selezionati ad hoc e false promesse, hanno iniziato a proporre trattamenti con cellule staminali per la cura delle malattie più diverse: dalla sclerosi latrale amiotrofica alle malattie neurodegenerative (Parkinson, Alzheimer), dalla depressione all’impotenza e persino, in una clinica svizzera, agli inestetismi dell’età. L’inchiesta di Panorama smaschera efficacemente questo business condotto sulla pelle dei malati, che spendono dai da 7.500 ai 36.000 euro per trattamento. Sotto la lente del settimanale sono finite quattro società: due svizzere (la Health center clinique Lémana e la Beike, che recluta pazienti un po’ in tutta Europa e li spedisce nelle cliniche di Cina e Tailandia); una con sede in Germania (la Xcell), e l’ucraina Emcell, di Kiev. Ma c’è ragione di ritenere che le cliniche della speranza siano molte di più: recentemente l’Università di Stanford ha compilato una “lista nera” che mette al bando 31 strutture sparse in tutto il mondo che fanno questo tipo di trattamenti senza avere le credenziali scientifiche e con protocolli che farebbero rabbrividire qualsiasi comitato etico. Dal versante della medicina ufficiale, peraltro, l’Università di Stanford non è stata la sola a far sentire la sua voce. Nel 2008, per esempio, la International Stem Cell Society ha elaborato delle linee guida proprio indicare quali parametri devono essere seguiti nelle sperimentazioni, al fine di evitare di esporre i pazienti a inutili rischi (quali, per esempio, la formazione di tumori). L’intervento della comunità scientifica, tuttavia, appare tardivo. Ed è un fatto che a incrementare le aspettative abbiano concorso negli anni scorsi gli stessi ricercatori che, sui media a caccia di novità, si sono lasciati andare a dichiarazioni fin troppo entusiastiche sulle potenzialità delle staminali e l’imminente rivoluzione della medicina rigenerativa. I pazienti che si affidano agli stregoni delle staminali sono ormai centinaia, e arginare questo flusso sarà difficile (ma è doveroso tentare). La meta preferita sembra la Cina, dove con strabiliante naturalezza convivono strutture che fanno ricerche serie e quotate internazionalmente, con cliniche che somministrano terapie eticamente discutibili e del tutto prive di validità scientifica.
Proprio su questa apparente contraddizione si sofferma l’Economist.
In Cina la ricerca sulle cellule staminali sta infatti avendo un notevole sviluppo e la produttività degli scienziati cinesi ha fatto sì che, per numero di studi pubblicati su riviste scientifiche internazionali, la Cina sia ormai il quinto Paese al mondo, dopo Stati Uniti, Germania, Giappone e Regno Unito. Nella maggior parte dei casi si tratta di studi condotti in vitro o su animali, ma sono decine anche le sperimentazioni già in corso su pazienti che rispettano il rigore scientifico richiesto in Occidente. All’origine del boom c’è la convinzione che la medicina rigenerativa possa riscattare l’immagine della ricerca biomedica cinese agli occhi mondo, e magari anche far guadagnare un premio Nobel. (L’impegno della Cina a far diventare la sua ricerca il traino mondiale dell’innovazione, del resto, coinvolge un po’ tutte le discipline, come fa notare Pietro Greco in un recente articolo pubblicato su La scienza in rete).
I fondi stanziati sono dunque ingenti. E tuttavia, osserva l’Economist, il Ministero della Salute di Pechino chiude un occhio di fronte alle cliniche della speranza, fra cui quelle che fanno capo alla Beike. Né sembra poter arginare il fenomeno il provvedimento che lo stesso Ministero ha approvato lo scorso maggio, e che prevede regole più rigide per le sperimentazioni. Di fatto, i controlli non vengono eseguiti o sono carenti, e le multe previste per chi non rispetta le leggi sono ridicole rispetto agli ingenti guadagni che queste strutture fanno sulla pelle dei pazienti.
(fotografia: “Retinal pigment epithelium derived from human embryonic stem cells” – del California Institute for Regenerative Medicine in Flickr)