In continuità con quanto la Fondazione Bassetti è venuta raccogliendo, rassegne stampa, recensioni, presentazioni di report di ricerca sul tema della responsabilità della ricerca scientifica e in particolare dell’interesse del vasto mondo delle nanotecnologie rispetto alla questione della responsabilità dell’innovazione, proponiamo un primo pezzo a cura di Valeria delle Cave che inquadra la questione dell’immaginario scientifico delle nanotecnologie nel contesto del dibattito mondiale sulla tecnoscienza. L’articolo di Bill Joy da cui la sua analisi prende il via è stato a suo tempo discusso in questo sito con un "articolo collaborativo" (una sorta di wiki), e volentieri ne riproponiamo l’analisi per i suoi risvolti generali ancora attuali.
Se la scienza diventa routine
di Valeria delle Cave
“Perché il futuro non ha bisogno di noi” era il titolo della cover story che Wired Magazine pubblicò nell’Aprile del 2000 a firma di Bill Joy, il co-fondatore della Sun Microsystem. Un articolo lungo e complesso, con estratti dal Manifesto di UnaBomber e dalle distopie di Hans Moravec e Ray Kurzweil : i computer diventeranno potenti e i robot prenderanno il controllo dell’uomo. Un articolo che si può considerare l’inizio del discorso pubblico sui rischi delle nanotecnologie, ma che lascia anche intravvedere riflessioni generali sulla scienza.
Joy indicava come minacciose per l’esistenza umana due tipi di nanotecnologie: l’elettronica e l’auto-assemblamento molecolari. Nel primo caso, spiegava, “è probabile che a partire dal 2030 saremo in grado di costruire macchine, in grandi quantità, un milione di volte più potenti che i personal computer di oggi -sufficiente per implementare i sogni di Kurzweil e Moravec”; nel secondo caso invece, il futuro ci vedrebbe testimoni del pericolo del gray-goo, scenario (ipotizzato da Eric Drexler nel 1986) in cui robots di dimensione nanometrica, istruiti per realizzare operazioni di auto-assemblamento molecolare, sfuggono al controllo e prendono a “replicarsi rapidamente, e a ridurre la biosfera in polvere nel giro di pochi giorni”. Entrambe le situazioni condurrebbero all’estinzione del genere umano.
Sebbene i due scenari siano stati discussi e valutati come non possibili (Richard Smalley su Scientific American del 2001, Royal Society 2004, Commissione Europea 2004), il significato che essi nascondono merita di essere evidenziato.
Se infatti allarghiamo lo sguardo sui pericoli descritti da Joy, ci accorgiamo che l’oggetto in discussione è la perdita di controllo da parte dell’uomo non solo delle proprie creazioni (come un nuovo Frankestein) ma delle proprie scelte per il futuro. Quando l’umanità viene descritta come vittima della volontaria cessione della gestione di sé stessa a sistemi non-umani (i cyborg, i nanorobots), si sta in realtà costruendo la metafora di quello che è l’atteggiamento della scienza post-accademica nei confronti dell’idea di progresso: l’assecondamento incondizionato.
Nell’intervento di Bill Joy infatti si leggeva: “Abituati a vivere come routine le scoperte scientifiche, dobbiamo ancora accettare il fatto che le tecnologie più trainanti del 21esimo secolo… pongono delle minacce diverse rispetto alle tecnologie che sono venute prima”. La routine della pratica scientifica, cioè, sottrae gli scienziati a una valutazione critica del proprio lavoro per favorire il veloce avvicendamento delle scoperte. Ad esempio Joy riportava la conversazione avuta con lo scienziato Danny Hillis: “Egli disse, con semplicità, che i cambiamenti sarebbero arrivati gradatamente e che ci saremmo abituati nel frattempo”.
La previsione di “un’abitudine al cambiamento”, svela una fiducia nella bontà del cambiamento, quasi che il progresso sia guidato da un disegno benefico per tutti. Al progresso cioè, vengono attribuite caratteristiche proprie di un’entità autonoma, indipendente e capace di prendere decisioni per l’uomo. In questo senso il futuro viene del tutto disumanizzato: non è più l’uomo a decidere, ma l’ideologia del progresso.
L’analisi che Bill Joy suggerisce potrebbe sembrare viziata dal contesto statunitense in cui vive e lavora; esponenti della National Science Foundation avevano infatti scritto: “il progresso può diventare auto-catalizzante se ci affrettiamo in modo aggressivo, ma se esitiamo le barriere del progresso potrebbero cristallizzare e diventare quasi insormontabili” (Roco e Bainbridge, 2002). Ma scorrendo la stampa italiana, spesso ci si imbatte in dichiarazioni di nanotecnologi che promettono una nuova rivoluzione industriale, un cambio repentino in tutta la filiera produttiva, come se le rivoluzioni guidate dal progresso non generassero problemi, ma solo fortune.
Concludeva Joy: “se dovremmo fallire o riuscire, sopravvivere o cadere vittima di queste tecnologie, non è ancora deciso”. Il futuro avrà ancora bisogno di noi nel momento in cui la responsabilità del cambiamento riprenderà a essere prerogativa dell’uomo, giorno dopo giorno, scoperta dopo scoperta.
(fotografia: frammento di Cyborg born – di hyperscholar in Flickr)