Presentiamo qui la seconda parte della relazione pervenutaci da un’insegnante di scuola primaria che presenta interessanti analisi del percorso attivato nell’ambito di un Progetto di Robotica. La relazione si sofferma con il metodo etnografico dell’osservazione partecipante, anzi della “partecipazione osservante”, sugli aspetti relazionali, emotivi e cognitivi attivati dall’esperienza condivisa di assemblare e far funzionare un kit di robotica.
(Se vuoi leggere la prima parte clicca qui)
UN’ESPERIENZA DIDATTICA CON IL KIT DI ROBOTICA
di Anna Zecchinato
Seconda parte
L’esperienza e le conclusioni.
Tutte le lezioni iniziano con la predisposizione del materiale di ciascun gruppo su grandi fogli di carta da pacco per evitare commistione di pezzi e smarrimento del materiale.
Vengono date poche istruzioni precise, chiare, concise e viene definito il tempo di esecuzione ( per es.: il pezzo deve essere costruito entro la fine della lezione), si devono seguire con precisione ed ordine le istruzioni di montaggio, prestando particolare attenzione all’orientamento dei pezzi da congiungere e dei pezzi già montati.
I facilitatori si spostano tra i gruppi intervenendo dove si creano incertezze o difficoltà o semplicemente per verificare come procedono i lavori.
Dal diario di bordo, 25 settembre 2008: Mi muovo tra i gruppi. Ad un certo punto mi accorgo che un’alunna si è estraniata e piange. Mi dice che non “le lasciano fare niente, fanno solo loro”. Resto vicino al gruppo partecipando per qualche minuto al lavoro. La invito poi ad affiancarsi a me per poter vedere meglio che cosa succede. Questo le consente di farsi coinvolgere e poter partecipare. Dopo qualche tempo la vedo sdraiata a pancia in giù che lavora intensamente con le altre.
In un gruppo emergono titubanze e il timore di sbagliare che spesso compare anche durante le altre lezioni se le istruzioni non sono già disposte in modo da essere fortemente “istruttive” quasi sostitutive e si devono “inventare” dei comportamenti. Qualcuno cerca di provare a montare i pezzi guardando il risultato, cercando di improvvisare per tentativi ed errori, ma poi ci si accorge che è più funzionale analizzare le istruzioni, osservare il pezzo costruito, individuare i pezzi necessari, predisporre il materiale, definire i criteri di costruzione, procedere.
Dal diario di bordo, 25 settembre 2008: Colpisce come una delle piccole. che normalmente lavora con grande cura, ma con una certa lentezza, operi con molta rapidità facendosi promotrice di azioni rapide ed efficaci di scelta e montaggio.
Immediatamente le bambine si rendono conto che è necessario cooperare per arrivare allo scopo dato, attivare più sguardi: è stato dato un compito definito con un tempo preciso, il risultato da raggiungere è un buon motivo per concentrarsi.
Comprendono subito che ci sono più cose da fare: guardare lo schema, capire quale materiale scegliere, orientare lo schema, disporre correttamente il pezzo, lavorare sequenzialmente, con ordine e metodo, controllare bene come connettere i pezzi.
Si attivano processi di osservazione e correzione reciproca. Si generano momenti critici operativi quando confliggono bisogni di prevalere, di fare, che vengono superati quando si comprende che ci sono più cose da fare e tutti sono utili anche quelli che guardano soltanto perché assumono funzioni di consulenza, di controllo, di tutoraggio. Assume un ruolo positivo lo sguardo critico attento e analitico. Si comprende che non si deve procedere per tentativi ed errori, ma si deve analizzare bene lo schema, procedere per passi in modo sequenziale: per qualcuno diventa molto formativo il fatto di dover procedere con ordine seguendo una temporalità ed una spazialità ordinata e vincolante.
Orientamento spaziale dei pezzi e dimensioni temporali della costruzione sono elementi che si rivelano irrinunciabili, pena fare e disfare.
L’obiettivo di lavoro della seconda lezione è imprimere il movimento lineare del robot utilizzando il programma apposito inserito nel computer. Il movimento può essere impresso utilizzando le rotazioni del motore per dato tempo e data potenza oppure imprimendo potenza e definendo velocità e tempo.
Le assenze provocano rotazioni tra i gruppi che prendono altra forma e stili di lavoro.
Emanuele mostra come si programma il movimento, si salva e si trasferisce sul robotino. Nascono a volte conflitti perché si fatica a mediare. A volte qualcuno sembra prevalere, imprimere un ritmo frenetico improntato ai tentativi per prova ed errore senza confronto e verifica reciproca e senza risultati apprezzabili. In altri gruppi si vede invece prevalere una tranquilla strategia condivisa, ci si interroga sul perché non si ottengono i risultati attesi, si chiede l’intervento dell’adulto per verificare i passi fatti e i risultati raggiunti, si problematizza il procedere.
Anche per me è difficile cogliere subito tutte le possibilità dello strumento e del programma. Solo a posteriori, riflettendo sul senso dei comandi che Emanuele mi aveva mostrato ho capito perché non avevo raggiunto gli obiettivi che mi ero prefissati e interrogato così l’errore.
È un’occasione per lavorare con le persone con cui ci troviamo bene. Tutte le bambine trovano uno spazio di lavoro, in contesto diverso da quello solito, emergono abilità e competenze che altrove non vengono messe in luce. La presenza dell’adulto solo come facilitatore e meno come conduttore stimola la nascita di modalità di relazione faticosamente co-costruite nell gruppo di lavoro.
Rapportarsi con un solo oggetto e un progetto comune sollecita l’emergere di difficoltà già rilevate soprattutto nel gioco dove le regole d’azione devono nascere ed essere condivise da tutti i partecipanti.
La centratura sul compito facilita invece, a mio parere, le bambine che riescono a mettersi in gioco accogliendo gli interventi propri e altrui come generativi di altri spunti, con naturale disponibilità al raggiungimento dell’obiettivo.
In questi gruppetti, il parziale “fallimento” viene interrogato se necessario anche con il coinvolgimento dell’adulto, registrando con meticolosità i passi e i traguardi positivi intermedi raggiunti.
Per le lezioni successive, abbiamo preparato un percorso più complesso del precedente durante la lezione di geometria. E’ un percorso complesso che prevede molti cambiamenti di direzione. Lo abbiamo arricchito con una storia. La prima stesura del percorso è sul quaderno in scala 1/10, viene poi trasferito sul foglio grande assegnando ad ogni gruppetto un tratto di percorso. Si applicano i concetti di rette parallele (e loro rappresentazione) e di angolo retto, già presentati nelle lezioni precedenti.
Un imprevisto ci impone di lavorare con due soli robot. La situazione, già complicata dalla mancanza iniziale delle batterie di un robot, per cui, da quattro gruppi avevamo organizzato il lavoro con tre gruppi, si complica ulteriormente: dobbiamo adattarci a lavorare in due soli gruppi.
La situazione, già difficile in uno dei gruppi perché qualcuno trova molto difficile accettare una rotazione alla programmazione al computer, peggiora. Improvviso una rotazione di compiti dando dei gettoni colorati, chiedendo di alternarsi nel programmare, verificare, criticare, prendere appunti.
Dal diario di bordo, 16 ottobre 2008: Nella situazione complessa che si è venuta a creare di mancanza di risorse, il bisogno di un’alunna da soddisfare subito con l’azione personale cozza irrimediabilmente con il desiderio delle compagne di partecipare attivamente al processo e sperimentare.
Il bisogno così forte e incapace di mediazione la porta a reagire con stizza urli, ad allontanarsi indispettita, a riempire con movimenti spesso fastidiosi il tempo.
Se si riesce a mediare il desiderio di tutti si riesce a rendere il percorso più generativo perché apre il confronto, lascia spazio alla fantasia, al provare, allo sbagliare con serenità.
Anche l’altro gruppo, che aveva trovato il modo di programmare correttamente parte del percorso, entra in crisi quando ai comandi si alterna un’alunna che, come spesso accade, al computer aziona con curiosità tutto quello che le capita, ma finisce per mettere fuori controllo il percorso del robotino. Le bambine allora tentano correzioni casuali, dicono di non ricordare più le soluzioni già individuate. Suggerisco di analizzare una parte di percorso alla volta in modo da individuare con sistematicità le parti funzionali, gli errori ed il loro grado. Trovano così velocemente le soluzioni opportune e arrivano al compimento del lavoro assegnato.
Ad un certo punto il trambusto operativo si quieta, sono tutte sedute intorno al percorso, osservano il risultato del lavoro di ciascun gruppo. Sono molto centrate sul compito, qualcuno è molto interessato alla rotazione dei compiti, chiede di facilitare il compito con l’assegnazione di regole. Quello che conta non è tanto il risultato del lavoro di gruppo quanto dividersi bene il lavoro.
Mi pare già un passo avanti: se si creano conflitti, si fermano a parlarne.
Ci si trova nella condizione di comprendere il funzionamento della macchina: con alcuni comandi si riempie la memoria e non si riesce a procedere, si deve usare l’esperienza fatta per prevedere le difficoltà.
I gruppi si organizzano in modo molto diverso: un gruppo è più efficace di altri, imposta con metodo i vari tratti di percorso. Quando si rilevano errori e imprecisioni, si agisce selettivamente su un problema alla volta. Altri gruppi, di fronte all’incidente che scombina l’organizzazione del robot, si disorientano, cercano scorciatoie. Tendono a correggere più errori alla volta senza rendersi conto che rischiano di peggiorare le cose poiché ogni modifica ha conseguenze sulle fasi successive del processo. Diventa facilitante l’intervento dell’insegnante che suggerisce di affrontare un problema alla volta, con sistematicità.
Emergono con chiarezza le disposizioni individuali verso il lavoro: c’è chi sente prioritario centrare l’organizzazione sulla turnazione dei compiti per garantirsi la partecipazione, chi concentra il proprio impegno sullo scopo e procede a testa bassa fino al conseguimento dello scopo. Nel gruppo più eterogeneo riescono tuttavia a trovare in autonomia una mediazione che porta a raggiungere lo scopo in tempi rapidissimi.
Raggiunto l’obiettivo di pianificare il percorso del robot, le bambine sono invitate a costruire una pinza, utilizzando il materiale a disposizione in modo creativo affinché il robot possa rilasciare un oggetto al momento stabilito a fine percorso. Alcune, pur avendo raggiunto un primo obiettivo, non si accontentano del risultato ottenuto e cercano anche altre possibili soluzioni. Le vedo sedute con il robot in mano a fare ipotesi sul movimento, su come collegare la pinza al motore, come tenerla chiusa e farla aprire.
Nella fase conclusiva del progetto, un gruppo si è ritrovato in difficoltà, nell’incapacità di portare a termine la seconda parte del lavoro (percorso complesso). Una compagna si è spontaneamente staccata dal proprio lavoro esprimendo alle compagne del gruppo originario il rammarico per non essere presente all’elaborazione della soluzione conclusiva (pinza), ritenendo prioritario aiutare chi era in ritardo nel percorso.
Conclusioni
Quando ho chiesto di aderire a questo progetto, pensavo di affrontare un percorso di tipo tecnico, non avevo alcun pensiero intorno a ciò che avrebbe potuto generarsi sul piano degli accadimenti emotivi, sociali, cognitivi.
Mi pare emerga dalla breve relazione come si siano:
– favoriti percorsi di analisi di testi regolativi finalizzati alla costruzione secondo parametri spazio-temporali e l’organizzazione pratica ed esecutiva;
– avvantaggiate le relazioni di aiuto tra le alunne emerse nei momenti di difficoltà di fronte al compito;
– attivati nell’insegnante percorsi riflessivi utili a comprendere gli stili di apprendimento e gli stili relazionali delle proprie alunne in contesto altro dimostratosi facilitante rispetto all’emergere di momenti organizzativi in autonomia.
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