Il convegno che martedì e mercoledì si svolgerà a Bergamo è dedicato all’evoluzione culturale del cibo e del significato ad esso attribuitogli non solo dalle piccole e grandi comunità, ma anche dall’economia e dalla politica.
Il convegno si intitola "La reinvenzione del cibo" e porta come sottotitolo ben nove parole chiave:
PATRIMONIO – TERRITORIO – SVILUPPO
SOSTENIBILITÀ – TECNOSCIENZA – UTOPIA
CONSUMO ETICO – CONSUMO CRITICO
Martedì 30 Giugno 2009 – 14.30 / 19.30
Mercoledì 1 Luglio 2009 – 9.00 / 13.00
sede universitaria di Sant’Agostino – Aula 1
Bergamo Alta
Interventi di
Adam ARVIDSSON, Katia BALLACCHINO,
Lorenzo BERLENDIS, Letizia BINDI, Gianluca BOCCHI,
Alessandra BROCCOLINI, Paolo CORVO,
Francesca FORNO, Enrico GIANNETTO,
Cristina GRASSENI, Federico NERESINI,
Maria Cristina PAGANONI, Enrico RADICCHI,
Mario SALOMONE, Valeria SINISCALCHI, Laura TERRAGNI
Il convegno è aperto al pubblico.
Studenti e docenti sono cordialmente invitati a partecipare.
Rendiamo disponibili gli abstract degli interventi dei relatori:
Cristina Grasseni
Ipotesi di lavoro per un’agenda di ricerca sulla Reinvenzione del cibo
Letizia Bindi (Università del Molise)
Mangiare con gli occhi. Cibo, rappresentazioni della località e scenari translocali
Paolo Corvo (Università di Pollenzo)
La reinvenzione del cibo e lo sviluppo del territorio: il turismo enogastronomico
Valeria Siniscalchi (Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales – SHADYC, Marseille)
Pratiche e politiche della ripetizione nelle economie della « tipicità »
Alessandra Broccolini (Università degli Studi “Sapienza” di Roma)
Katia Ballacchino (Università degli Studi “Sapienza” di Roma)
L’antropologo “a dieta mediterranea”. Prime riflessioni su alcuni processi di patrimonializzazione del cibo
Maria Cristina Paganoni (Università di Milano)
Fra consumo e utopia: Il cibo planetario all’Expo 2015
Federico Neresini (Department of Sociology – University of Padova)
NATURALE/ARTIFICIALE: la tecnoscienza alla frontiera del cibo
Mario Salomone (Università di Bergamo)
Cibo e sostenibilità
Francesca Forno (Università di Bergamo)
Il conflitto attorno al cibo
Laura Terragni (Akershus University College)
Alce e mirtilli rossi. La definizone del cibo etico e sostenibile in un paese del Nord Europa.
Enrico Radicchi (Slow Food, Condotta di Bergamo)
“Reinventare il Cibo” attraverso la Memoria del Gusto e la difesa della Biodiversità.
Lorenzo Berlendis (Slow Food, Condotta Valli Orobiche)
Un nuovo patto con la Terra.
Ipotesi di lavoro per un’agenda di ricerca sulla Reinvenzione del cibo
Cristina Grasseni
Lo straordinario successo di mercato dei prodotti agroalimentari “di nicchia” conferma la natura “ossimorica” dei prodotti tipici (Papa, 2002). Il mercato tende a premiare quanto può definirsi biologico o tradizionale (o, nel migliore dei casi, entrambe le cose, per l’origine certificata delle materie prime, la naturalità e tradizionalità dei trattamenti e la brevità della filiera).
Questo fenomeno testimonia la ricerca diffusa, non solo in senso economico, ma simbolico e culturale, dell’unicità, della particolarità e del "locale" di contro alla massificazione dei consumi e la standardizzazione del gusto. La diffusione di questa tendenza, tuttavia, ne fa un fenomeno "globale".
Il profondo bisogno di saperi "glocali" (Bassetti, Globus et Locus) si manifesta quindi nella "reinvenzione del cibo" (Grasseni, 2007) cioè in operazioni di riscoperta del gusto, di rilettura della storia e del territorio locale, di rivalorizzazione del patrimonio immateriale. Mentre la globalizzazione segnerebbe un passaggio dalla varietà alla standardizzazione, si possono testimoniare numerose strategie "glocali" messe in atto per riguadagnare un margine di diversità gradito al mercato.
La complessità dell’attuale sistema agroalimentare richiede di comprenderne gli aspetti economici e giuridici, oltre a quelli aspetti scientifici-produttivi, congiuntamente con quelli culturali e politici. Nel caso dei prodotti caseari di montagna, come riassume efficacemente Stuart Woolf, “è evidente che un’economia interamente di autoconsumo non è mai esistita in Europa, almeno dopo il periodo della preistoria”, e che quindi non avrebbe senso parlare di transizione dall’una (economia di sussistenza) all’altra (economia di mercato) come se fossero separate o antitetiche (2002, p. 13).
Tuttavia ha comunque senso interrogarsi su quali siano gli effetti del passaggio “da una produzione di discreta varietà per consumo soprattutto locale, alla produzione per il mercato di qualità riconosciuta a livello nazionale e internazionale” (2002: 9).
Policy-makers a livello locale, nazionale e europeo, imprenditori, regolatori e produttori sono gli agenti di questa innovazione che ha effetti sia su scala micro (riorganizzazione della produzione agricola e artigianale, mutamento dei ruoli sociali e delle competenze dei produttori) che su scala globale (canali di distribuzione e dinamiche di domanda/offerta dell’approvvigionamento alimentare). Gli effetti sono difficili da prevedere e i rischi riguardano un aumento di conflittualità, una standardizzazione della produzione, una perdita dei saperi locali, la dipendenza delle economie regionali dalle dinamiche di mercato mondiali.
Vale la pena quindi, di occuparsi da un lato dell’analisi fenomenologica e sociale sull’evoluzione del gusto, ma dall’altro anche delle pratiche della sua reinvenzione, dal punto di vista economico, produttivo, politico. Ciò significa tentare di annodare diversi fili tematici per coglierne le reciproche interazioni:
- la vita sociale dei prodotti tipici (il loro significato simbolico e culturale per clienti, amici, allevatori, conduttori di aziende, la loro rete di scambio, le vie di trasmissione dei saperi loro associati);
- ripercorrere, analizzandoli criticamente, i passaggi necessari a descrivere la “tecnologia della localizzazione” (come cambiano ambienti, gesti, routines e protocolli di produzione nei passaggi di standardizzazione e calibramento della politica industriale;
- l’analisi comparativa delle forme di regolamentazione e formalizzazione dei processi produttivi;
- la costruzione simbolica del cibo attraverso la sua iconizzazione, virtualizzazione e la ritualizzazione del suo consumo.
I destini delle culture del gusto dipenderanno dalla creatività con cui si saprà vivere la “contaminazione” fra tradizione e modernità, innovando responsabilmente e investendo sulla diversità come risorsa.
Cristina Grasseni, La reinvenzione del cibo, 2007
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Mangiare con gli occhi. Cibo, rappresentazioni della località e scenari translocali
Letizia Bindi (Università del Molise)
L’intervento intende concentrare la propria attenzione sulle rappresentazioni del cibo a partire da due fronti diversi di indagine. Uno maggiormente locale, legato a etnografie specifiche in via di strutturazione, l’altro a partire dall’analisi delle rappresentazioni della "tipicità" dei cibi nel circuito translocale dell’alta cucina (ristoranti famosi, riviste di gastronomia, tendenze mediatiche).
L’indagine infatti intende approfondire le modalità di rappresentazione del gusto e del mercato dei prodotti tipici nel sistema territoriale, con relativi esempi etnografici di riscoperta e rilancio di prodotti legati ad alcune specifiche realtà locali (Molise, Toscana), ma al tempo stesso osservare le scelte di comunicazione, organizzazione del mercato e induzione al consumo di cibo più o meno legato alle tradizioni locali nel circuito della "grande ristorazione".
Su un fronte dunque l’analisi si appunterà sulla gestione di alcuni prodotti (ripresa della produzione, iniziative promozionali, circolazione di informazioni e impianto di esportazione dei prodotti gastronomici fuori dalla realtà locale), sull’altro l’attenzione si concentrerà maggiormente sulle retoriche messe in atto all’interno dei media e della pubblicistica specializzata per promuovere, valorizzare e conferire valore alla ripresa di alcune tradizioni culinarie a livello di macrotendenze del consumo di cibo e di prodotti tipici di un dato territorio.
In entrambe i casi l’immagine dei cibi e la declinazione retorica del gusto saranno messi in relazione alle strategie di mercato, ai circuiti della promozione e all’intreccio sempre più forte tra consumi alimentari e conoscenza delle tradizioni culturali di un dato sito come valore aggiunto, ormai imprescindibile, per la valorizzazione dei prodotti.
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La reinvenzione del cibo e lo sviluppo del territorio: il turismo enogastronomico
Paolo Corvo (Università di Pollenzo)
Lo stretto legame che si instaura tra turismo e ambito rurale si esprime in particolare nella riscoperta delle culture e delle tradizioni dei luoghi d’origine dei prodotti enogastronomici. Il binomio turismo-agricoltura è rafforzato dal fatto che la ristorazione e le ricette locali sono parte integrante di ogni tipologia di prodotto turistico.
In questo senso vanno tenuti presenti due aspetti fondamentali:
– il territorio, inteso come insieme delle risorse locali e dei “segni” distintivi dei luoghi di produzione;
– le tipicità, nell’ottica del recupero della cultura e dell’identità locale dei prodotti tipici legati alla storia e alle tradizioni.
Diventare operatori turistici nel settore enogastronomico non è semplice né immediato, perché occorre considerare diverse variabili, a livello personale e strutturale:
a) la necessità per molti operatori di coniugare l’attività di produzione e l’attività turistica. Il background culturale e le abilità professionali necessarie nei due diversi contesti sono molto diversi tra loro, per cui occorre creare un doppio livello di skills: questo processo fornisce i migliori risultati quando le competenze riescono a integrarsi;
b) la specificità dei modelli di cooperazione (“rete di imprenditori”), che obbliga a uscire da un punto di vista esclusivamente legato alla propria azienda, per entrare in quello di un sistema di operatori; occorrono quindi capacità sinergiche e di valorizzazione di un intero territorio e non solamente di singoli prodotti. Vi è quindi la necessità di adottare le norme di funzionamento proprie di un network;
c) il riconoscimento di una funzione specifica dell’Ente pubblico, sia in riferimento al ruolo istituzionale di soggetto deputato alla formazione e all’aggiornamento degli operatori, sia sotto il profilo dell’opportunità di pervenire a un quadro di coordinamento delle diverse iniziative che non annulli la specificità delle esigenze, ma ottimizzi le risposte alla clientela.
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Pratiche e politiche della ripetizione nelle economie della « tipicità »
Valeria Siniscalchi (Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales – SHADYC, Marseille)
Al centro di questo intervento, il problema della definizione della tipicità nelle produzioni alimentari. La nozione di tipicità rinvia alle pratiche quotidiane degli abitanti di un’area geografica, pratiche condivise, che si ripetono nel tempo e che acquisiscono, proprio attraverso la loro ripetibilità, un valore economico e identitario, l’uno attraverso l’altro. Cercherò quindi di tracciare qualche pista possibile di riflessione, reinterrogando i fenomeni di costruzione e commercializzazione della tipicità alla luce della ripetizione o dell’effetto di ripetizione che li caratterizza. Il tema della ripetizione e della ripetibilità permette di dirigere l’attenzione verso i processi politici che consentono la trasformazione di un prodotto o di un settore economico in elemento tipico di una regione o di un gruppo di individui. I prodotti tipici sono infatti oggetto e risultato di conflitti, di negoziazioni, di rapporti di forza e di giochi di potere.
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L’antropologo “a dieta mediterranea”. Prime riflessioni su alcuni processi di patrimonializzazione del cibo
Alessandra Broccolini (Università degli Studi “Sapienza” di Roma)
Katia Ballacchino (Università degli Studi “Sapienza” di Roma)
Questo intervento prende le mosse dal coinvolgimento in un ampio progetto di valorizzazione dei Beni Culturali iniziato in questi mesi, dal titolo “Catalogazione inventariale di Beni demoantropologici immateriali – dieta mediterranea”, che costituisce la prima fase di reperimento di dati etnografici sul territorio nazionale, ai fini di progettare una candidatura della “Dieta Mediterranea”, da inserire nella Lista UNESCO del Patrimonio Immateriale dell’Umanità.
La ricerca, promossa un consorzio pugliese di concerto con l’ICCD, coinvolge diverse regioni italiane, tra cui il Lazio e si avvale di competenze antropologiche per effettuare una operazione di catalogazione dei Beni Immateriali, secondo il sistema vigente della scheda BDI. Quelle che seguono rappresentano pertanto le prime riflessioni sulla “patrimonializzazione del cibo” emerse dal lavoro e dalle criticità relative al ruolo che sempre più spesso l’antropologo si trova ad occupare come produttore e osservatore di politiche culturali che si muovono tra istituzioni, comunità locali e processi globali. A partire dalle prime riflessioni scaturite dalle rilevazioni eseguite fino ad oggi nei vari territori in cui si stanno indagando i contesti rituali e sociali in connessione alla preparazione e al consumo di cibo, si tenta di ragionare criticamente su alcune questioni inerenti soprattutto il ruolo e la responsabilità dell’antropologo in processi di patrimonializzazione etnografica dei prodotti alimentari territoriali.
Innanzitutto, la problematica questione dell’interpretazione dell’espressione “dieta mediterranea” in relazione alle diverse voci in campo che si trovano coinvolte nel progetto. Tra queste figurano istituzioni locali, spesso influenzate dai flussi di finanziamento regionali o europei, istituzioni nazionali preposte alla valorizzazione dei beni culturali che si muovono entro una concezione conservativo-dinamica del cibo come patrimonio etnografico, istituzioni “globali” come l’UNESCO, che mette in campo nozioni cruciali nel dibattito antropologico, come quelle di “identità”, “cultura”, “patrimonio”, “tradizione” spesso secondo un’ottica internazionalista, ma anche essenzialista e, infine, il punto di vista antropologico, sempre più multiforme e critico nei confronti di approcci essenzialisti conservativi ma anche promotore attivo di una conoscenza etnografica diretta dei contesti locali che producono e trasmettono preziosi saperi e pratiche legate all’alimentazione.
Un’altra criticità riguarda la scelta di cosa debba intendersi per “patrimonio immateriale” in riferimento al cibo e alla cultura alimentare e cosa includere nel novero dei “patrimoni” etnografici alimentari: se, ad esempio, feste religiose o eventi rituali legati al calendario agricolo, dove sono presenti alimenti e prodotti gastronomici, o piuttosto ci si debba occupare della vita familiare e comunitaria legata alla condivisione e alla produzione locale dei prodotti, ma anche il circuito della ristorazione locale e, dunque, i possibili flussi di turisticizzazione dei prodotti, come anche le invenzioni o i cambiamenti alimentari più visibili derivanti dai flussi della modernità, rispetto a un concetto di tradizione immobile e statica probabilmente più caro all’UNESCO. Infine, come trattare, dal punto di vista del “patrimonio”, il fenomeno relativamente nuovo delle sagre, che esplicitano una rete di socialità legata al cibo di tipo più “consumistico”? Tali questioni sono oggi cruciali nel dibattito in atto sui processi di patrimonializzazione e si inseriscono sulle problematiche relative alle principali tensioni ermeneutiche tra locale e globale.
La riflessione proposta in questa sede – che non vuole essere per nulla esaustiva – si interroga sul ruolo dell’antropologo nelle politiche culturali che riguardano la patrimonializzazione del cibo tra locale e globale. Le strategie di patrimonializzazione dei Beni Immateriali sono, infatti, spesso legate a dinamiche politiche e istituzionali che agiscono a vari livelli, spesso manipolando gli stessi Beni e i loro e i protagonisti, promuovendo una visione essenzialista e arcaizzante della cultura a scapito delle diverse e creative, come le ha definite l’antropologo James Clifford “tradizioni dell’invenzione”.
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Fra consumo e utopia: Il cibo planetario all’Expo 2015
Maria Cristina Paganoni (Università di Milano)
Secondo il progetto del BIE – il Bureau International des Expositions – l’Expo 2015, il cui slogan è “Feeding the Planet: Energy for Life”, sarà un evento di natura non commerciale organizzato attorno al macrotema del cibo, inteso in tutte le sue molteplici dimensioni economiche, politiche, sociali, culturali, ambientali. Ecosostenibilità, cambiamenti climatici, guerra alla fame, promozione delle identità locali attraverso i cibi, biotecnologie alimentari, nuovi stili di consumo propri dell’Information Age (Arvidsson 2006; Fabris 2008) saranno fra i sottotemi portanti della fiera internazionale, che è già stata annunciata sulla stampa italiana e straniera da una serie di documenti mediatici (compreso lo stesso sito web ufficiale dell’Expo), ove si mescolano caratteristicamente intenti promozionali ed educativi.
Molti i quesiti che affiorano da una campagna mediatica ancora necessariamente vaga sugli orizzonti del progetto, ma che riecheggia tematiche in corso di ampia discussione a livello globale e nella stessa Unione Europea (i.e. “Who Will Feed the World? Towards Diverse, Sustainable Forms of Agriculture as Drivers of Development”, 3 July 2008, European Parliament, Brussels). A quali consumatori ci si riferisce? Quali stili “altri” di consumo si progettano? Quale “credito” (Paganoni 2005) avranno i diversi attori sociali – dai soggetti istituzionali alle cooperative – nella rappresentazione del “pianeta cibo”? Di quale pratiche di produzione e consumo alimentare attualmente in corso si tiene già conto (Cooks 2009)? L’analisi muove da una prospettiva interdisciplinare propria dei cultural studies, confortata da un riscontro testuale a livello di semiosi del testo, verbale e visivo, mutuato dall’Analisi del Discorso, evidence empirica che ne costituisce la specificità euristica e dialoga con i contributi delle altre scienze umane. Lo scopo dell’indagine è di riflettere sugli scenari possibili che, all’interno di una cornice fortemente celebrativa, ideologicamente forte e storicamente iperconnotata come la fiera internazionale (Gurney 2006; Folino 2009), i discorsi preparatori all’evento stanno costruendo, rilanciando fra consumo e utopia (Holmgreen 2008) il cibo come significante di una rinnovata energia – materiale e soprattutto simbolica – a cui il pianeta consegna strategicamente il proprio futuro.
Siti web
Bureau International des Expositions
Milano Expo 2015
Bibliografia
– Arvidsson, A. (2006), Brands: Meaning and Value in Media Culture, London and New York, Routledge.
– Cooks, L. (2009), “You are What You (Don’t) Eat? Food, Identity, and Performance”, Text and Performance Quarterly, 29, 1, pp. 94-110.
– Fabris, G. P. (2008), Societing: Il marketing nella società postmoderna, Milano, Egea.
– Folino White, Ann (2009), “Performing the Promise of Plenty: The USDA’s 1933-34 World’s Fair Exhibits”, Text and Performance Quarterly, 29, 1, pp. 22-43.
– Gurney, P. (2006), “‘The Sublime of the Bazaar’: A Moment in the Making of a Consumer Culture in Mid-Nineteenth Century England”, Journal of Social History, 40, 2, pp. 385-405.
– Holmgreen, L.-L. (2008), “‘Biotech as ‘Biothreat’? Metaphorical Constructions in Discourse”, Discourse & Society, 19, 1, pp. 99-119.
– Paganoni, M.C. (2005), “What Does ‘Micro’ Stand For? Microcredit for Rural Communities in Kerala”, Culture, 18, pp. 87-99.
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NATURALE/ARTIFICIALE: la tecnoscienza alla frontiera del cibo
Federico Neresini (Department of Sociology – University of Padova)
A partire dalle problematiche della sicurezza alimentare e della percezione del rischio associato al cibo, il mio contributo alla discussione prende in esame la distinzione fra cibo naturale e cibo artificiale focalizzando l’attenzione sul ruolo della tecnoscienza nella ridefinizione delle due categorie. Si tratta dunque di analizzare in che modo l’innovazione tecnoscientifica ha contribuito alla costruzione dei confini fra naturale e artificiale e di riflettere sul senso di questa distinzione nell’attuale contesto culturale.
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Cibo e sostenibilità
Mario Salomone (Università di Bergamo)
La questione del cibo incrocia fortemente le tematiche della sostenibilità quali:
– L’uso del suolo e del territorio, che influisce su stili di vita, capitale sociale, stratificazione socio-economica, atteggiamenti culturali,…
– Il rapporto città-campagna, di cui il cibo è un filo ideale di connessione.
– L’energia.
– Le emissioni e il cambiamento climatico (di cui l’agrocultura è insieme causa e vittima).
– La salute e la sicurezza ambientale.
– L’identità, i diritti.
– La diversità e biodiversità.
– Le filiere, i rapporti economici e di potere tra i diversi attori della catena produzione-consumo alimentare.
– Il ruolo delle donne, sia nella produzione sia nel consumo.
– La governance dei processi di sviluppo locale sostenibile, che è essenziale per il successo di un modello di produzione e consumo sostenibili.
Le alternative che si vanno costruendo vanno dal biologico alla organizzazione di filiere corte alla cooperazione tra produttori alla coscientizzazione e responsabilizzazione dei consumatori.
In Italia (ma anche in altri Paesi) si sta assistendo ad esempio a un fenomeno di aggregazione sia in gruppi autonomi tra loro collegati in rete (es. GAS) sia attorno a organizzazioni o istituzioni, principalmente movimenti come Slow Food, i piccoli coltivatori (Coldiretti e Cia), gli ecomusei,….
Un interessante asse di ricerca è il posizionamento dei diversi attori sociali rispetto al cibo e come il cibo può diventare “un aggregatore sociale”, ovvero un costruttore di relazioni tra persone, tra persone e organizzazioni e istituzioni, tra organizzazioni, tra organizzazioni e istituzioni, tra istituzioni, con modalità sia “reali” sia virtuali (social network via web).
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Il conflitto attorno al cibo
Francesca Forno (Università di Bergamo)
L’attuale sistema agro-alimentare è diventato negli ultimi anni uno scottante terreno di confronto fra diverse identità culturali e politiche. Nel nostro paese, ma in generale in tutto il mondo occidentale, l’ultimo decennio è stato segnato da una vera e propria esplosione di gruppi più o meno organizzati che in vari modi si oppongono all’attuale sistema di produzione di cibo, sempre più condizionato dalle imprese del settore agro-industriale.
In particolare, nel nostro paese l’ultimo decennio è stato segnato dall’aumento esponenziale dei Gruppi di Acquisto Solidale, delle botteghe del commercio equo, delle cooperative di biologico, dal successo e diffondersi delle condotte di Slow Food e di altre esperienze orientate a favorire una maggiore tutela delle risorse naturali, della biodiversità, il patrimonio culturale, la tipicità dei prodotti, ecc.
L’emergere di questi attori testimonia come la società contemporanea sia oltrepassata da una esplosione di sforzi finalizzati ad un ripensamento della nostra relazione con l’agricoltura e il cibo. Anche grazie a queste esperienze, negli ultimi anni sembra farsi strada a livello di comunità locali, di amministrazioni, di imprese, la consapevolezza che qualificare l’agricoltura e le attività che intorno ad essa ruotano, significa offrire ai sistemi economici una occasione di sviluppo e di rilancio, opportunità di nuova occupazione, ma anche più in generale di miglioramento della qualità della vita delle popolazioni locali.
La riflessione proposta in questo contributo cercherà di interrogarsi sulle dinamiche che hanno interessato la mobilitazione attorno al cibo negli ultimi anni, mettendo a fuoco le caratteristiche degli attori coinvolti e i processi che hanno segnato la nascita di quella che oggi inizia ad essere riconosciuta come una nuova area di movimento.
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Alce e mirtilli rossi. La definizone del cibo etico e sostenibile in un paese del Nord Europa.
Laura Terragni (Akershus University College)
Processi di reinvenzione del cibo sono osservabili in molte realta’ eurpoee. Tali processi tendono a riguardare la riscoperta di tradizioni alimentari. Il cibo reinventato, che e’ spesso anche un cibo certificato, diviene un cibo piu’ buono, piu’ etico e piu’ naturale. Questi processi di reivenzione del cibo hanno toccato solo marginalmente il contesto Norvegese. Il numero di prodotti che ha un marchio di origine garantita e’ limitato, cosi’ come e’ limitata la presenza di altri prodotti tipici del consumo etico (prodotti da coltivazioni ecologiche, fair trade o attenti al benessere animale). I motivi di questa carenza sono molti e vanno ricercati in diverse direzioni. Tra queste, possiamo annoverare la struttura della produzione e della distribuzione che caratterizza il sistema agro-alimentare Norvegese e il modo in cui il consumatore di prodotti alimentari e’ socialmente costruito e istituzionalizzato. Accanto a queste motivazioni ve ne sono tuttavia altre che rimandano al rapporto particolare che i Norvegesi hanno con la natura che li circonda e con i prodotti che questa natura puo’ offrire.
“Harvesting from nature”e’ un pratica diffusa nel contesto norvegese. Caccia, pesca, raccolta di mirtilli e funghi sono attivita’ comuni e rilevanti dal punto di vista sia economico che discorsivo. Queste pratiche tendono a rispondere ad esigenze di genuinita’, di continuita’ con la tradizione e di preservazione delle risorse naturali. Il filetto di alce con i mirtilli rossi, dove l’alce e’ stata cacciata da un famigliare o conoscente e i mirtilli raccolti personalmente puo’ per molti aspetti considerarsi come la soluzione norvegese al problema della reinvenzione del cibo.
Il materiale utilizzato in questo paper si basa essenzialmente sulla discussione di dati secondari di precedenti attivita’ di ricerca.
Bibliografia
- Terragni, L., Vitterso, G., Torjusen, H. Change makers: who are they?, forthcoming in Anthropology of Food.
- Skarstad, G.A., Terragni, L., Torjusen, H., (2007) Animal welfare According to Norwegian Consumers and producers: definitions and implications. International Journal of Sociology of Food and Agriculture – vol 15 (3) 74-90
- Halkier, B., Holm, L., Domingues, M., Magaudda, P., Nielsen, A and Terragni, L. (2007). Trusting, Complex, Quality Conscious or Unprotected? Construction the food consumer in different European national contexts. Journal of Consumer Culture. Vol. 7, 295-318.
- Roos Gun, Laura Terragni and Hanne Torjusen “The Local in the Global: creating ethical relations between producers and consumers”, in Anthropology of Food, s2 March 2007
- Terragni, Laura “A country that never had a BSE crisis : consensus and tensions in transforming the Norwegian food system” 2006 in Appetite (Special Issue: Shifting responsibilities for Food in Europe) (47), s 170-176
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“Reinventare il Cibo” attraverso la Memoria del Gusto e la difesa della Biodiversità.
Enrico Radicchi (Slow Food, Condotta di Bergamo)
Si inizia, mettendo in relazione il Diritto al Piacere con il gusto e i sapori di alimenti che muovono il desiderio di conoscenza: la loro origine, tradizione, cultura, processi di produzione.
Viene messo in evidenza come l’Educazione alimentare e del Gusto rappresentino il momento centrale del Consumo Consapevole
Come, la Memoria del Gusto evoca un contesto di ambiente e di territorio e come la stessa, si mantiene attiva, solo attraverso la difesa della Biodiversità.
Si passa a mettere in relazione la Biodiversità con il rischio di estinzione dei cibi nel mondo.
La sua difesa, offre la possibilità di “reinventare” il cibo di territorio (identità Cibo-Territorio).
Come concretamente Slow Food difende la Biodiversità.
In ultima analisi, si passa ad enunciare come la “reinvenzione” del cibo viene definita da Slow Food: Buono, Pulito e Giusto
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Un nuovo patto con la Terra.
Lorenzo Berlendis (Slow Food, Condotta Valli Orobiche)
1. Premessa:
C’è bisogno di un homo sapiens sapiens sapiens
La questione del cibo, e dell’acqua
Perché SF è della partita
2. Buono, Pulito e Giusto in salsa orobica
IL BUONO
Innalzare la qualità delle produzioni alimentari,
Diffondere le ‘buone pratiche’, ovvero i disciplinari condivisi
La nuova ruralità e la dimensione locale
I rischi del localismo: autarchie impossibili
C’è del buono in Bergamasca
IL PULITO
Approccio olistico
Accorciare le filiere: il km 3 o 4, i cerchi concentrici e l’esperienza di SFVO (iniziative in calendario 2008-09, Cibo quotidiano, Convivio a km zero, Slow Cooking a Bg, Rete dei produttori,…)
Consumatori o co-produttori?
IL GIUSTO
Latte a 30 eurocent al litro, un ‘delitto contro la …ruralità’,
Dignità e difesa del mondo agricolo, innovazione del gusto, nuove identità e il pasticcio della tradizione
La questione BITTO, madre di tutte le battaglie
Le nuove alleanze
3. Gli strumenti di Slow Food
Presidi e Arca del gusto, le candidature in Provincia di BG
Cheese e Terra Madre,
BUON PAESE, Slow Cooking, ALLEANZA tra chef e Presidi
4. La Scommessa: NUTRIRE LA MEGALOPOLI PADANA
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