Negli ultimi mesi si sono svolte in Italia numerose esperienze di democrazia partecipativa (vedi in fondo qualche link),
iniziative che hanno cercato di riunire decisori, organizzazioni della società civile e cittadini per discutere su temi di forte rilevanza pubblica e costruire decisioni maggiormente condivise. Nonostante le tematiche siano le più varie: urbanistica, salute pubblica, ambiente e bilanci comunali, esistono alcuni obiettivi comuni che legano queste esperienze e le riuniscono sotto la voce “democrazia partecipativa”.
In primo luogo esse mirano a rendere le istituzioni pubbliche più reattive e responsabili nei confronti della società civile. Inoltre, le occasioni di incontro e discussione tra differenti attori e livelli di potere intendono offrire l’opportunità di influenzare le decisioni che hanno effetti su ampi strati della società. Infine, la partecipazione diffusa permette di creare occasioni di maggiore consapevolezza e apprendimento su questioni di forte interesse collettivo e favorire un maggiore equilibrio democratico fra componenti diverse e spesso in dissenso fra loro.
Se questi sono gli intendimenti dei promotori della democrazia partecipativa, non mancano le perplessità e le critiche sulle procedure che puntano ad un coinvolgimento attivo di vari strati della società.
A questo proposito vale la pena di ricordare che nel mese di aprile si sono svolti tre eventi di notevole interesse sulle questioni accennate, uno a Firenze (“La democrazia partecipativa in Italia e in Europa: esperienze e prospettive“), uno a Torino nell’ambito della Biennale Democrazia e uno all’Università di Padova (per la presentazione del volume "Technoscientific Innovation") organizzato in collaborazione con la fondazione Bassetti presso l’Università di Padova, che hanno proposto un’analisi ad ampio spettro sui limiti e le potenzialità della democrazia partecipativa.
Tra gli elementi distintivi della democrazia partecipativa vi è l’uso del confronto argomentato tra soggetti e l’inclusione, cioè la possibilità offerta a tutti i destinatari potenziali di una certa decisione di essere inclusi nella decisione stessa, e possibilmente in condizione di parità. Quindi, interessi, punti di vista, valori, devono essere tutti rappresentati. Fondamentalmente la democrazia deliberativa afferma la necessità di giustificare le decisioni prese dai cittadini o dai loro rappresentati (cfr. Riccamboni nel corso del Seminario di Padova). Il compito della discussione è pertanto di tipo trasformativo, si ritiene che il processo di discussione deliberativo generi decisioni collettive che non rappresentano le preferenze grezze degli individui, prima che vengano coinvolti nel processo decisionale, ma giudizi orientati a un presunto bene comune individuato dopo il confronto e la discussione. Questo processo è detto deliberativo, nel senso inglese di deliberation, ossia di scambio argomentato di opinioni e non di decisione come nella comune accezione italiana.
Un altro tratto distintivo è rappresentato dalla funzione conoscitiva attraverso cui le procedure di partecipazione dovrebbero assicurare una espansione della comprensione delle dinamiche sociali.
Una terza funzione è rappresentata dalla legittimazione: promuovere decisioni che appaiono legittime agli occhi dei soggetti che in varia misura saranno colpiti dagli effetti delle decisioni, cercando di favorire l’accettazione di decisione non facilmente gradibili.
Accanto alla legittimazione si colloca anche, la funzione civica. Con questa si punta a favorire un orientamento all’interesse generale.
Tra gli elementi di maggiore criticità si evidenziano l’ambito della discussione-deliberazione. Cioè, ci si deve occupare di questioni di ampio interesse, come la sanità pubblica, le cellule staminali, oppure questioni di limitato interesse locale come l’insediamento di un impianto per il trattamento dei rifiuti solidi urbani?
Accanto a ciò esiste un altro tema: chi ascoltare primariamente per realizzare un efficace processo deliberativo: i politici? I tecnici? Gli esperti? dei saggi? dei politici? E come gestire il ruolo di questi soggetti che spesso hanno a disposizione informazioni rilevanti per i processi decisionali, e quindi un forte potere di influenzamento? A questo proposito Jon Elster sottolinea che la democrazia deliberativa esprime la sua maggiore efficacia nelle questioni di interesse pubblico.
Esiste infine un elemento che caratterizza le diverse letture della democrazia deliberativa. Si tratta delle conseguenze dei processi di discussione e deliberazione. Quali risultati si intendono ottenere con tali procedure? Il consenso in merito all’interesse generale, oppure, garantire un minimo rispetto delle differenti opinioni? La democrazia deliberativa parte da una critica alla democrazia liberale o rappresentativa. Il meccanismo dell’aggregazione delle preferenze, tipicamente il voto, non sarebbe sufficiente a rappresentare le diverse posizioni. Cosa che è invece sostenuta dai teorici della democrazia rappresentativa: in presenza di interessi e valori diversi, le decisioni collettive vincolanti si prendono attraverso il voto, con la logica della maggioranza.
Il principio su cui si fonda l’ottica della democrazia deliberativa, invece, sostiene che le preferenze si definiscono e trasformano nel processo di discussione e decisione, e pertanto il confronto tra attori diversi è necessario e utile per un migliore corso democratico.
Nelle relazioni presentate durante i seminari citati si possono rintracciare due comuni preoccupazioni – le più rilevanti tra molte presentate – che possono essere molto utili nel momento in cui si intendano utilizzare procedure deliberative.
La prima riguarda le condizioni di parità per di attivare processi partecipativi di forte inclusione. E’ possibile che la formazione di discussioni permetta un’equa distribuzione del potere di fissare i contenuti, le modalità di realizzazione e un reale coinvolgimento, almeno potenziale, di tutti i soggetti interessati? Vari studi dimostrano che non sempre ciò si realizza e spesso i partecipanti sono soggetti già attivi sulle tematiche di trattazione e dotati di un forte potere di influenzamento.
La seconda preoccupazione riguarda l’efficacia. Anche quando le procedure sono condotte in modo rigoroso sotto il profilo del reclutamento dei partecipanti, dell’informazione, della trasparenza e della chiarezza sui margini di manovra e potere che si possono esercitare, non è assolutamente certo che questi esercizi di democrazia influenzino in modo significativo le decisioni. E quando questo avviene può scoraggiare il pubblico e abbassare la credibilità delle istituzioni che propongono tali procedure. Resta comunque il fatto che in tutti i casi studiati i cittadini hanno dimostrato di apprezzare il tipo di coinvolgimento ottenuto e la possibilità di condurre discussioni costruttive con esperti e decision makers.
Per concludere si possono riprendere alcune considerazioni di Jon Elster. Le procedure deliberative sono sostanzialmente degli esperimenti democratici che si caratterizzano per la loro eccezionalità e riescono a motivare i cittadini in modo rilevante. C’è da chiedersi se, nel caso in cui le procedure fossero utilizzate comunemente come meccanismi di routine, si otterrebbe lo stesso livello di interesse dei cittadini.
Vedi anche:
Forum della Società Civile: democrazia partecipativa in Europa e fututo dell’UE
Concorezzo (MI) serata di Democrazia Partecipativa
Urbanistica partecipata al Comune di Fontanellato
Forum d’Interessi all’Ato Valle del Chiampo per il progetto Parco
PartecipAzione Cittadini Rovereto
Bilancio Partecipativo 2008 a Modena