Scorrendo i titoli de «La Provincia», quotidiano di Cremona, lo scorso 5 settembre, mi chiedevo se non fosse già troppo tardi per fare questa intervista. "Chiude il Centro di Galli" – campeggia in prima pagina. "Cremona. Vi è nato il toro clonato Galileo. Il CIZ taglia la ricerca, Porcellasco resta senza fondi. Lo scienziato ora pensa a una gestione autonoma". Proprio non una buona ripresa dei lavori, dopo che durante il Congresso Internazionale di Riproduzione Animale (ICAR 2008) svoltosi a Budapest nel luglio scorso, il Prof. Cesare Galli è stato insignito del "Simmet Prize for Assisted Reproduction", il più importante riconoscimento per chi lavora nella ricerca e trasferimento tecnologico nel settore della riproduzione degli animali d’allevamento, successo sempre condiviso con Giovanna Lazzari e il resto del team di Porcellasco (11 persone tra ricercatori e tecnici). Originalità delle ricerche, approccio sperimentale e leadership nella comunità scientifica, come recitano i criteri del premio, che hanno portato, tra l’altro, a traguardi unici al mondo nel campo della clonazione degli animali da allevamento (soprattutto bovina, equina, suina).
A Giovanna Lazzari e Cesare Galli ho chiesto, innanzitutto, cosa è il Laboratorio di Tecnologie della Riproduzione (d’ora in avanti LTR) quale sia la sua attività corrente e quali le nuove sfide da affrontare.
Vorreste ricapitolare per brevi tappe come nasce LTR e come si inserisce nella ricerca sulle biotecnologie animali in Italia?
Il Laboratorio di Tecnologie della Riproduzione (LTR) è stato fondato a Cremona nel 1991 ed è stato fino ad ora un dipartimento del Consorzio per l’Incremento Zootecnico (CIZ), una società dell’Associazione Italiana Allevatori, che persegue gli interessi del mondo allevatoriale nazionale fornendo prodotti e servizi nel campo della riproduzione animale. La sede principale del CIZ è a S. Miniato (Pisa).
Quale è l’empasse a cui fanno riferimento i giornali dicendo che il vostro centro chiuderà?
Negli ultimi mesi l’attuale Consiglio di Amministrazione del CIZ ha manifestato l’impossibilità di sostenere la sede LTR, a causa della mancanza di interesse per la ricerca biotecnologica, che da anni LTR affianca a quella zootecnica, e della sfavorevole congiuntura economica. Stiamo valutando come poter continuare la nostra attività sotto una veste ancora da definire. Noi abbiamo denunciato molte volte il declino di interesse da parte della società che ci gestisce, e non sappiamo ancora come evolverà la situazione. Stiamo facendo una proposta per subentrare con una gestione autonoma. Le attività che facciamo noi pare non rientrino nelle attività che interessano al CIZ, che è finalizzata alla produzione dei semi e non alla ricerca sugli embrioni.
Vorreste descrivere, per i non addetti ai lavori, quali attività specifiche caratterizzano il vostro centro, nel campo delle biotecnologie animali?
L’attività di LTR è finalizzata ad offrire servizi di riproduzione assistita agli allevatori e allo sviluppo di ricerche sia di base che applicata, che spaziano dai gameti ed embrioni fino alle cellule staminali e la modificazione genetica negli animali d’allevamento. L’attività di ricerca è preponderante, soprattutto quella di base finanziata all’interno dei programmi quadro dell’Unione Europea.
I nostri attuali progetti di ricerca riguardano in particolare due aree di ricerca: zootecnica e biomedica. Ci occupiamo di riproduzione assistita nei bovini, bufali, equini, suini, ovini (anche come servizio agli allevatori), dello studio dei fattori responsabili della riduzione di fertilità degli allevamenti bovini (un problema emergente su scala mondiale) dell’uso dell’RNA interference per il controllo di malattie epizootiche (come influenza, PRRS). In area biomedica applichiamo l’ingegneria genetica suina orientata agli xenotrapianti e alla terapia genica per malattie genetiche, siamo in grado di produrre cellule staminali per lo sviluppo di terapie cellulari in modelli animali e per sviluppare test di tossicità in vitro (cioè test di laboratorio alternativi all’uso degli animali da esperimento, come imposto dalla recente Direttiva Europea).
Scorrendo la lista, impressionante, di vostri progetti di ricerca in esecuzione, approvati e in attesa di valutazione, si identificano reti estese di collaborazione tra istituti collocati nell’area zootecnica e in quella biomedica…
Si, per competere nel panorama internazionale delle biotecnologie della riproduzione animale LTR si è adoperato per integrare le realtà locali di eccellenza in un network ad alta tecnologia in grado confrontarsi con i migliori centri internazionali. A questo scopo sono in atto consolidate collaborazioni con Centro di Ricerche Biotecnologiche dell’Università Cattolica sede di Cremona, l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Brescia, l’Istituto Sperimentale Italiano Lazzaro Spallanzani di Rivolta D’Adda, l’Istituto TIGET (Telethon) della Fondazione Ospedale S. Raffaele di Segrate, l’Istituto di Tecnologie Biomediche del CNR di Milano e l’Università di Bologna (dove Cesare Galli è Professore Associato, ndr), oltre che con numerosi laboratori di ricerca Europei.
Quali tra queste sta dando i migliori risultati? Vi sono delle connessioni forti tra un filone di ricerca e un altro (cioè, i risultati in un campo facilitano l’avanzamento in un altro? Siete approdati a un filone di ricerca partendo da un altro?) Se Si, le agenzie di finanziamento e sviluppo della ricerca sono consapevoli, secondo voi, di queste connessioni? Le facilitano?
CG: Il nostro core business è la manipolazione dei gameti e degli embrioni degli animali da allevamento (bovini, suini, cavalli, bufali). Noi siamo bravi a fare quello. E con quello si costruisce la clonazione, perché si usano i gameti e gli ovociti; stiamo ampliando le tecniche di manipolazione genetica. Collaborare con vari Paesi stimola la ricerca e anche la competitività e questo aiuta a rendersi sempre conto di quello che succede al di fuori del proprio orticello, quindi vengono nuove idee, nuovi progetti, più persone si conoscono più opportunità si creano. Rimanendo chiusi nel proprio laboratorio, quello che si può fare è molto limitato.
GL: Dall’elenco dei nostri progetti si evince che il nostro core business è stato applicato in vari settori: la clonazione, la transgenesi, i test di tossicità, lo studio della fertilità e della vitalità dell’embrione, cellule staminali: è un core business che si presta ad essere sfruttato in varie direzioni. Il nostro modo di fare ricerca è quello di non rimanere fossilizzati sulle poche cose che si sanno fare e fare sempre quelle, ma magari queste cose che si sanno fare al meglio svilupparle in settori sempre nuovi. Per esempio: quello della clonazione è un settore in cui noi siamo leader indiscussi, abbiamo fatto delle pubblicazioni sul settore delle cellule embrionali staminali sia animali sia umane, la stessa tecnica del produrre l’embrione è stata utile per
produrre questi test di tossicità e la stessa tecnica di produrre gli embrioni ci consente di andare a studiare, per esempio, perché negli animali da allevamento c’è un crescente problema di infertilità (che, tra l’altro, c’è anche nella nostra specie): avendo sotto mano l’embrione nelle fasi iniziali di sviluppo possiamo fare qualche domanda su quali sono per esempio i geni che sono attivati magari in maniera diversa, gli embrioni prodotti da un certo tipo di animale piuttosto che embrioni prodotti da un altro tipo di animale. Quello che mi piacerebbe che emergesse è l’importanza di un’apertura mentale anche verso opportunità nuove e pensare alle proprie competenze di pari passo con le nuove tecnologie. Per quanto ci riguarda, scorrendo i diversi progetti di cui ci siamo occupati credo si veda abbastanza bene questo modo di operare.
E per quanto riguarda la formazione?
CG: Io insegno veterinaria e agraria. Insegno Fisiopatologia della riproduzione, fecondazione assistita e clonazione alla Facoltà di Veterinaria e Fisiopatologia della riproduzione e fecondazione artificiale alla Facoltà di Agraria. Alcuni studenti vengono a fare lo stage qui; ma poi abbiamo sempre dato disponibilità alle scuole locali di Cremona che tutti gli anni ci mandano studenti stagisti, studenti laureandi di biotecnologie che da Milano vengono a fare la tesi qui. Abbiamo qui due dottorandi che collaborano integralmente ai nostri progetti, vengono retribuite da noi, e alla fine del loro iter prenderanno il titolo di dottori di ricerca dall’università.
GL: Ci viene anche chiesto di fare delle lezioni nelle scuole medie e superiori e noi accettiamo. Siamo stati coinvolti nel progetto didattico di comunicazione ed educazione alimentare ‘Lo Spaventapasseri’ e anche quest’anno abbiamo accettato di ospitare per quattro sabati mattina due gruppi di classi di scuole medie. L’anno scorso in primavera l’abbiamo fatto con le scuole superiori. Poi vengono studenti universitari da Parma, Padova, Udine anche solo in visita un pomeriggio per vedere un po’ come lavoriamo.
Vorreste descrivere quale è il network di collaborazioni da voi già stabilite con stakeholders presenti sul territorio? Potete darci un’idea del tipo di ricadute applicative e socio-economiche che ha la vostra ricerca, per esempio nel mondo dell’allevamento?
LTR offre servizi di riproduzione assistita per gli allevatori nelle varie specie di interesse, sia per clienti italiani per la specie bovina che stranieri, soprattutto per i cavalli, essendo l’unico centro in Europa e Medio Oriente che dispone di queste tecnologie. Abbiamo clienti tedeschi, olandesi, francesi, spagnoli, svedesi, egiziani, ecc.". Offriamo servizi anche nell’ambito della clonazione (come la banca delle cellule) e delle cellule staminali (per es. nella cura delle tendiniti nel cavallo). Ma le aziende zootecniche non sono i nostri unici interlocutori. Ci sono industrie biotecnologiche e farmaceutiche, Università e centri di ricerca, Amministratori. Nel 2007 LTR ha siglato un importante contratto di collaborazione con il Ministero dell’Agricoltura della Regione Samara (Federazione Russa, area del Volga) per la costruzione di un laboratorio a Togliattigrad, l’addestramento del personale, il trasferimento di know how e la fornitura di embrioni. In settembre LTR è "sbarcato" in Cina con una serie di conferenze (tenute dal Prof. Galli, ndr) e l’impianto di embrioni di bufalo. LTR offre corsi di formazione specialistica ad elevato contenuto tecnologico per tecnici e professionisti. Infine fornisce consulenza tecnico scientifica a enti, istituzioni e società nazionali ed internazionali.
Quando ci siamo incontrati ormai tre mesi fa, mi avete informato della vostra necessità di maggiori sostegni alle vostre attività, in particolare illustrando l’esigenza di avere una nuova sede comprendente le stalle per gli animali e di poter potenziare la ricerca impiegando più personale e/o formandolo. Al momento, anche alla luce dei recenti sviluppi di cui parla la stampa, come giudicate lo stato delle cose? Quale vi sembra la prospettiva di un vostro consolidamento ed espansione nel territorio lombardo?
Il Laboratorio non riceve finanziamenti stabili e continuativi da nessuna fonte, è collocato all’interno di un edificio decoroso ma risalente agli anni 50, mai ristrutturato e, come tale, inadatto a mantenere e sviluppare le attuali linee di ricerca per l’assenza dei necessari requisiti di spazio e d’infrastrutture moderne sia per i laboratori che per i ricoveri degli animali. Il continuo evolversi delle norme relative alla sicurezza sul lavoro e alle garanzie sanitarie che sono richieste ad un laboratorio di biotecnologie, renderanno sempre più difficile la permanenza di LTR nella sede attuale.
Secondo voi quale è lo stato dell’arte e come vorreste veder evolvere questo scenario?
Non c’è mai stata in questi anni una posizione dichiarata e univoca nelle organizzazioni. Per esempio, le precedenti presidenze del CIZ vedevano le nostre attività a fini di ricerca in modo molto positivo. Altri invece pensano a quello che facciamo legandolo alla carne clonata o al prosciutto transgenico: non sono in grado o non vogliono distinguere l’aspetto di ricerca da quello applicativo. Dopo 17 anni che siamo qui, tutti ci dicono che facciamo cose importanti, che nobilitiamo la ricerca, ma il 31 dicembre 2008 si chiude.
L’annunciata chiusura del centro può anche essere ricondotta a dinamiche politiche più vaste, che potrebbero riverberarsi nel mondo degli allevatori?
GL: Non lo escluderei. Con elementi che non sono a noi completamente noti hanno preso la decisione di interrompere il sostegno a questa struttura di ricerca. E ripeto, a noi non tutti gli elementi di questa decisione sono noti. Del resto la posizione, per esempio, della Coldiretti in materia di OGM è chiara.
Lei però (Cesare Galli) ha ricevuto un’offerta di lavoro dalla Corea?
CG: Si, un contratto a termine per professori stranieri, sei mesi all’anno, da settembre a marzo. Stipendio, 100 mila dollari solo di materiali per la ricerca, più tutto attrezzato. Non sono pochi…
GL: Però diventa tutto umanamente difficile, anche pensando a tutto quello che negli anni è stato costruito qui, le persone…
Immagino anche che ai fini della ricerca, dopo dieci anni che un’équipe lavora insieme, ci sia un’expertise condivisa, non solo a livello teorico, ma di pratiche condivise di ricerca…
GL: Certo, si ha un background condiviso, c’è sintonia. E poi ci sono i risultati. Tutto questo lo perdi. Noi (Giovanna Lazzari e Cesare Galli, ndr) abbiamo sempre lavorato con dei contratti triennali e adesso abbiamo ricevuto una lettera di licenziamento. Abbiamo due persone che sono assunte con contratto a tempo determinato il cui contratto scade il 31 dicembre e non verrà rinnovato. Solo 3 assunti con contratto a tempo indeterminato, sono le persone che hanno le posizioni più solide… Quindi questa situazione è abbastanza gravosa dal punto di vista umano. Irina, per esempio, che lavora con noi da circa 10 anni è una delle due persone che ha il contratto in scadenza a dicembre. L’altra è una biotecnologa che è con noi da sei anni. I contratti a tempo indeterminato sono stati fatti molti anni fa a tecnici. I rimanenti sono su borse di studio o contratti di ricerca che vanno dai 3 ai 5 anni e che non verranno rinnovate.
Nella letteratura dei science studies si insiste molto sull’idea di tacit knowledge, per cui solo a fronte di grande fatica un esperimento descritto nei protocolli viene riprodotto in un altro laboratorio… E poi c’è l’aspetto della comunicazione.
GL: Si, ormai tutti i grandi progetti hanno un sito internet. Ormai è passata l’idea che i progetti devono apparire, i risultati devono essere trasparenti, è necessario che si capisca come si è proceduto per arrivare a certi risultati. Per esempio c’è il sito del progetto Xenome cui aderiamo. All’interno dei progetti ci si scambia i dettagli delle tecniche perché ci si possa sincronizzare sul come fare. Si assicura in questo modo la riproduttività.
Inoltre a livello europeo, e attraverso progetti europei, è più facile trovare gruppi di ricerca che condividano i nostri interessi e le nostre problematiche. Più ampio è il bacino, più facile è trovare le sinergie. In Italia sono pochi i centri che fanno le cose che facciamo noi. Dal 1992, da quando abbiamo iniziato qui, siamo stati dentro progetti europei e questo ha giovato notevolmente, al di là dei risultati, a mantenere una visione più ampia. I centri che fanno tutta la ricerca “in casa” non solo producono poco, ma hanno anche una visione che non è quella moderna della scienza che produce molto di più attraverso le sinergie. Da una parte la specializzazione porta alla riduzione della conoscenza globale, però dall’altra parte consente di essere molto più efficaci.
Poi, molte ricerche richiedono delle attrezzature così sofisticate e così costose che vengono utilizzati da più gruppi, per cui c’è un network di modus operandi rispetto a determinate tecniche. Noi siamo piccoli in questo senso, perché siamo in pochi, però in posti grossi questo si vede.
Il 3 settembre 2008 il Parlamento Europeo ha approvato a stragrande maggioranza (622 favorevoli, 32 contrari, 35 astenuti) la "Risoluzione del Parlamento europeo del 3 settembre 2008 sulla clonazione di animali a scopi di approvvigionamento alimentare" che "invita la Commissione a presentare proposte volte a vietare a scopi di approvvigionamento alimentare i) la clonazione di animali ii) l’allevamento di animali clonati o della loro progenie, iii) l’immissione in commercio di carne o prodotti lattieri ottenuti da animali clonati o dalla loro progenie e iv) l’importazione di animali clonati, della loro progenie, del seme e degli embrioni di animali clonati o della loro progenie nonché la carne e i prodotti lattieri ottenuti da animali clonati o dalla loro progenie, tenendo conto delle raccomandazioni dell’EFSA e dell’EGE. Quale è la vostra opinione su questa risoluzione e sulle sue premesse, per esempio che "la clonazione ridurrebbe significativamente la diversità genetica del patrimonio zootecnico" e che "il Gruppo europeo per l’etica delle scienze e delle nuove tecnologie (EGE) contesta la legittimità etica della clonazione di animali a scopi alimentari"?
CG: In effetti non mi aspettavo una posizione così netta e una maggioranza così decisa. Penso che dobbiamo prenderne atto e vedere i lati positivi, cioè che comunque la ricerca andrà avanti, anche se magari con quel parere europeo la vita diventa un po’ più difficile, però la ricerca dovrebbe andare avanti e le applicazioni biomediche vanno avanti. È una questione di valori o meglio, la giustificazione è cercata nei valori: se l’animale viene clonato per il cibo da noi non è accettato perché si sfrutta l’animale, ma se dobbiamo clonare l’animale per curare una malattia nostra, a quel punto è giustificato. È un valore se la maggioranza delle persone la pensa coSi. In Cina per esempio non la pensano coSi.
Ritenete che questa presa di posizione possa avere effetti anche sulla vostra ricerca, anche se quest’ultima non è direttamente indirizzata alla clonazione di animali a scopi di approvvigionamento alimentare, ma lavora su specie di interesse zootecnico di grosse dimensioni?
CG: Secondo me non molto. La decisione riguarda solo l’utilizzo alimentare, quindi non è la clonazione di per sé che viene messa in discussione. Il problema è quello delle lobbies che intimoriscono. È molto facile trasmettere il rischio e l’insicurezza; è più facile creare insicurezza in una persona che fiducia. Sono posizioni trasversali, che comprendono motivazioni non solo di carattere, per esempio, etico o religioso, ma anche determinate interpretazioni dell’ambientalismo e che generano una possibile diffidenza dei consumatori verso i prodotti d’allevamento e le nuove tecnologie. Quello che sta succedendo, è quello che è successo con gli ogm.
GL: Tanta parte la gioca la scarsa informazione scientifica. Per esempio, nell’ultimo Eurobarometer, in una griglia di domande, alla domanda “Se una persona mangia un vegetale geneticamente modificato, anche lui diventa geneticamente modificato?” tra il 20 e il 30 per cento degli intervistati ha risposto di Si e questo è il background politico su cui si prendono le decisioni. Io non so se il campione a cui loro hanno fatto la domanda può essere considerato rappresentativo delle persone che poi alla fine decidono ed elaborano determinate prese di posizione, però nella popolazione c’è un diffuso sospetto e una diffusa non conoscenza, anche di cose abbastanza banali. Io non avrei mai pensato che qualcuno potesse pensare che mangiando un pomodoro geneticamente modificato anche lui potesse diventare geneticamente modificato.
Quindi secondo voi abbiamo una situazione di questo genere, potenzialmente contradditoria: il benessere animale viene invocato come valore nel caso in cui vada bandita la clonazione animale a fini di approvvigionamento alimentare, invece ai fini degli xenotrapianti, siccome è maggiormente percepito il bisogno…
GL: È anche una valutazione etica diversa: se il fine possa giustificare il mezzo che si usa. Eticamente è completamente diverso come valutazione che uno dà: se uso l’animale per uno scopo legato alla salute lo accetto eticamente.
Nel quadro europeo che è andato costruendosi, voi avreste potuto clonare Galileo?
CG: Si, perché si trattava di ricerca. Anche oggi non stiamo facendo niente per scopi commerciali. Per cui anche oggi lo si sarebbe potuto fare.
Forse però se non avete più il supporto del CIZ è perché non si è potuto sfruttare per fini commerciali i risultati della vostra ricerca…
CG: Si, in questo senso Si. Indubbiamente non avere una prospettiva commerciale blocca l’industria per quel settore.
Per voi questa del – chiamiamolo – complesso bioindustriale sarebbe una prospettiva auspicabile? Una maggiore cooperazione tra aziende zootecniche, industrie biotecnologiche e farmaceutiche, associazioni degli allevatori, università e centri di ricerca potrebbe servire? Era uno dei vostri obiettivi?
CG: Noi con gli allevatori abbiamo un certo rapporto commerciale, anche se in piccola parte. Il 20% è attività commerciale, l’80% di ricerca. Questa attività commerciale (per esempio la produzione di embrioni tramite la nostra tecnica Ovum Pick Up) è rivolta alle aziende di allevatori. Noi proponiamo questa tecnica nuova e poco diffusa, abbastanza specialistica che in Italia facciamo solo noi, ma ci sono altri centri che offrono servizi di questo tipo. Come anche produrre embrioni per l’esportazione: produciamo anche embrioni su contratto da terzi che hanno dei mercati all’estero. Poi ci potrebbero essere altre integrazioni delle nostre tecnologie nell’allevamento. Se noi abbiamo suini geneticamente modificati, dobbiamo trovare sul territorio qualcuno che può occuparsi della parte commerciale e aziendale. I nostri test di tossicità in vitro potrebbero per esempio essere utilizzati a Crema, nel distretto della cosmesi, visto che da quest’anno non possono più utilizzare gli animali per i test di tossicità, quindi ci potrebbe essere spazio per una collaborazione. E questo potrebbe prevedere una ricerca ulteriore sugli embrioni specifici per la cosmesi in modo che poi potrebbe rivelarsi utile per l’industria.
Questo potrebbe essere uno degli esempi di una più stretta collaborazione con attori economici del territorio…
GL: In realtà noi abbiamo dei progetti di ricerca scientifica in cui coinvolgiamo Regione Lombardia, aziende zootecniche, l’Istituto zooprofilattico di Brescia…
E poi come dicevamo collaboriamo con il territorio in quanto a formazione di giovani che vengono nei nostri laboratori per tesi e tirocini (che è un dispendio di tempo per noi il più delle volte, dato che dobbiamo seguirli e formarli). Quello che ci manca è un interlocutore che ci segnali con continuità le opportunità di finanziamento (misure come il Bando Ingegno della Regione Lombardia, borse di ricerca con le quali possiamo pagare giovani ricercatori). Non è facile trovare questo tipo di interlocutore e questo tipo di opportunità, soprattutto perché siamo un’azienda agricola, non un’università con tanto di ufficio ricerca e internazionalizzazione.