Abbiamo incontrato Roberto Panzarani, autore del volume “L’innovazione a colori: una mappa per la globalizzazione” (Luiss University Press, 2008). Gli abbiamo chiesto di approfondire alcuni aspetti della sua riflessione sugli scenari mondiali aperti dalla globalizzazione.
Domanda
Secondo la sua analisi, la mappa futura della globalizzazione sarà caratterizzata principalmente dai colori delle bandiere indiana e cinese. Tra i due paesi l’India, grazie alla propria tradizione di apertura e permeabilità, sarebbe in grado maggiormente della Cina di resistere all’americanizzazione dei prodotti culturali e degli stili di vita. A suo parere la globalizzazione è destinata ancora a lungo a portare con sé processi globali di americanizzazione? L’emergere di Cina e India non è destinato a fare di questi paesi dei propulsori culturali, oltreché economici, su scala mondiale?
Roberto Panzarani
Confermo che questi due paesi costituiscono senz’altro il futuro economico del mondo. Per quanto riguarda l’americanizzazione e se essa sia destinata ad essere protagonista ancora nei processi di globalizzazione, penso che questo continuerà ad esserlo soprattutto dal punto di vista tecnologico. Sono stato questo mese prima negli Stai Uniti nella Silicon Valley e poi in India a Bangalore e devo dire che questa è stata un’opportunità unica per vedere come i contatti diretti fra queste due realtà siano in continua espansione.
Domanda
La crescita dell’India è caratterizzata dallo sviluppo di un’economia ad alto contenuto intellettuale: in che misura questo orientamento può costituire un modello per l’Italia?
RP: Direi che dal punto di vista di questa economia ad alto livello tecnologico, per noi l’India non costituisce alcun modello. Siamo infatti molto lontani da questa dimensione e ancor più ovviamente dagli Stati Uniti. Penso che dovremo avere l’onestà intellettuale di riconoscere che i buoni propositi di investimenti in ricerca e innovazione non avverranno nel nostro paese in tempi utili .e anche se avvenissero siamo ormai talmente lontani dal circolo virtuoso di ricerca innovazione prodotto/servzio che non riusceremmo ad avere quel vantaggio competitivo che ormai altri paesi hanno. Come tutti sappiamo ogni hanno in India si laureano 200.000 ingegneri e 470.000 in Cina, negli Stati Uniti circa 70.000. Di fronte a questi numeri l’Italia può fare davvero poco. Al contrario, tanti bravi italiani stanno lavorando all’estero dando il loro contributo individuale nei settori più diversificati della ricerca. In sostanza, come ho detto altre volte, siamo bravi ed individualmente innovativi, ma non riusciamo a creare una governance dell’innovazione in termini di sistema. La globalizzazione da una parte omologa, dall’altro “invita” i paesi a concentarsi sul proprio core business . E’ quello che anche noi dovremmo fare guardando al nostro turismo, alla nostra cultura, alla moda, al design, ecc., in sostanza a quello che sappiamo fare, ma sviluppandolo e sostenendolo con le infrastrutture. Forse questa sarebbe per noi la nostra innovazione.
Domanda
La società responsabile oggi è quella in cui l’innovazione viene elaborata nell’ambito dell’ecodesign. In che modo questo tipo di progettualità può crescere all’interno di una società capitalistica?
RP: Viaggiando nei paesi in via di sviluppo sono colpito dalla loro consapevolezza riguardo alla sostenibilità. Pur essendo paesi dalle contraddizioni e dalle disparità immense intuiscono che per svilupparsi non possono fare lo stesso percorso che noi abbiamo fatto inquinando e devastando la natura per 200 anni. E’ inevitabile quindi l’affermarsi di una nuova visione del capitalismo che nasce dalla realtà concreta di questi paesi e che finirà per influenzare anche i nostri modi di vita. Un esempio interessante è quello del modello di microfinancing che nasce in Bangladesh con Muhammad Yunus e tramite lui ora sbarca negli Stati Uniti dove oggi 28 milioni di persone non hanno un conto in banca.
Domanda
Una parte importante della popolazione mondiale, oggi in condizioni di grave povertà, non trae alcun beneficio dalla globalizzazione. Tra le possibili soluzioni al problema, lei propone quella di un “addestramento” a livello locale. Come si concilia un addestramento alla crescita economica con le esigenze dello sviluppo eco-compatibile?
RP: Come dicevo sono appena tornato dall’India e la cosa che più mi ha colpito è la loro passione per la conoscenza. A Mumbay ho visitato l’Iskon Temple la cui missione è quella di fornire cibo ai bambini affinché possano studiare. Sono arrivati a fornire più di 850.000 pasti al giorno nelle scuole con una organizzazione ed una tecnologia nella preparazione del cibo da fare invidia alle migliori aziende occidentali. Ma la cosa interessante è che l’aspetto che più sottolineano è che il cibo è importante per questi bambini non solo in sé, ma proprio perché possano studiare ed evolvere la propria condizione di indigenza tramite l’educazione. E così in tutte le aziende tecnologiche più avanzate di Bangalore, la Infosys, la Wipro ecc. :la cosa più importante che evidenziano sono i loro Centri di Fomazione e le loro biblioteche. Dico questo perché è evidente che non ci può essere sviluppo senza educazione ed è incredibile vedere come in molti paesi cosiddetti emergenti questo sia così chiaro, mentre da noi è altrettanto evidente spesso il totale abbandono della scuola e dell’Università.
Domanda
Nel suo libro viene trattato solo marginalmente il rapporto tra ricerca scientifica e innovazione, specialmente per quanto riguarda le scienze della vita. Non ritiene che nel quadro di una globalizzazione ecocompatibile e sostenibile, anche in rapporto a tematiche come ogm e manipolazione genetiche, occorra un approfondimento?
RP: Assolutamente sì. Vorrei solo porre l’attenzione che spesso su queste tematiche difficili e complesse vedo analisi affrettate, superficiali o “giornalistiche” nel senso peggiore del termine. Quello che c’è da fare è capire il più possibile e con la mente più aperta possibile. Bene ha fatto a Fondazione Bassetti ad organizzare recentemente l’incontro con la professoressa Shelia Jasanoff sulle “bioetiche”. Nel libro parlo di “Radical evolution” citando l’opera di Garreau in cui si descrive la curva esponenziale della tecnologia, un libro molto importante per le tematiche che riguardano la sua domanda e che intervista alcuni dei principali scienziati sul futuro della vita.
Domanda
Nella recensione al suo libro scritta da Vittorio Bertolini e pubblicata sul sito della Fondazione Bassetti, viene data un’interpretazione di innovazione a colori e mappa. Qual’è la sua opinione su questa interpretazione?
RP: Condivido e ringrazio Vittorio Bertolini per la sua attenta e articolata recensione. L’intento del libro è veramente quello d fornire una mappa. In particolare alle persone che frequento di più: i manager e gli studenti. Entrambi “gettati” nella globalizzazione, seppur da mondi diversi, senza strumenti per leggere una realtà che cambia velocemente e senza sosta. Per i manager non esistono corsi di formazione che tengano, spesso la cosa migliore è muoversi e andare a vedere questo “flat world” direttamente. Costa fatica, ma è la cosa più concreta; ogni anno ne accompagno decine in giro per il mondo e ne tornano con esperienze professionali ed umane veramente uniche. Gli studenti hanno in generale bisogno di uscire dalla rassegnazione e dal “declino” che a volte offre loro l’alibi per dire che non c’è niente da fare. Infine penso che è un libro che possa servire a noi come cittadini di un mondo sempre più complesso e che esige – come dicono Bocchi e Ceruti – una vera e propria “educazione alla globalizzazione” . So che la “mappa non è il territorio”, ma spero solo che inviti ad andare a vedere il territorio con i propri occhi.