Mentre mi accingevo a leggere il saggio di Pietro Greco e Settimo Termini “Contro il declino – Una (modesta) proposta per un rilancio della competitività economica e del rilancio culturale dell’Italia” (Codice Edizioni, 2008) non ho potuto non cogliere l’entusiasmo quasi calcistico con cui stampa e mezzi di comunicazione di massa hanno salutato l’assegnazione a Milano di Expo 2015. Sul mio tavolo da lavoro c’è ancora una copia di un quotidiano regionale che recita “Italia alla riscossa”, con un Pil declassato, però, secondo le stime del FMI allo 0,3%.Un altro libro inutile e già superato dagli eventi? Ma Smirne non è certo il paradigma della competitività globale e poi, dopo più di un secolo e mezzo, con internet e una logistica sviluppata su scala planetaria, qual è ancora la funzione di queste grandi kermesse dove l’attività economica si confonde con quella ludica nell’esaltare le capacità aggregative locali?
Greco e Termini all’inizio del loro saggio individuano i parametri che danno la misura del declino del nostro Paese, parametri tutti, dal Pil al debito pubblico e al basso livello di salari e stipendi, per poco o per nulla influenzati dalle performance di Expo. I dati raccolti da Greco e Termini e posti all’attenzione del lettore non servono solo a fare la fotografia della situazione ma anche a fornire un’interpretazione del come il sistema produttivo italiano si è evoluto dal dopoguerra ad oggi. Un sistema di pmi che si è generato per imitazione con la fuoriuscita del personale più qualificato da imprese maggiori e cresciuto sul basso costo del fattore lavoro, in molti casi al limite dell’autosfruttamento, e che, almeno fino all’adozione della moneta unica, compensava l’aumento dei costi di produzione con periodiche “svalutazioni competitive”. Un sistema di conseguenza inadeguato e incapace di reggere la sfida e cogliere le opportunità offerte dall’economia della conoscenza.
L’economia della conoscenza è la chiave di volta, per Greco e Termini, per superare il declino strutturale dell’Italia.
‘Vogliamo focalizzare, tuttavia, la nostra attenzione su un processo che ci appare significativo. Forse il più significativo di tutti: la nascita di una nuova era, l’era dell’informazione e della conoscenza. L’avvento di una stagione inedita dell’evoluzione culturale dell’uomo, fondata sulla scienza e su quel tipo di tecnologia che, come scrive Gallino, “incorpora volumi senza fine crescenti di conoscenza scientifica”‘.
Trasformare, però, un sistema produttivo, basato sull’imitazione ad alta intensità di lavoro a basso costo con un sistema incentrato sulla conoscenza richiede uno sforzo non indifferente da parte del sistema politico in termini di finanziamento, ma anche di indirizzamento, della ricerca e da parte del mondo imprenditoriale in termini di innovazione del prodotto e dei processi..
Un venditore di pipe difficilmente rivoluzionerà la propria attività da trasformarsi in un produttore di celle a combustibile; probabilmente destinerà le proprie risorse a migliorare la commercializzazione e il marketing delle proprie pipe, mentre un gruppo di giovani ricercatori e imprenditori potrebbero essere stimolati a inserirsi nella produzione di celle a combustibile. Di qui la capacità di indirizzamento da parte dello Stato, come si impara dall’esempio Usa nel campo dell’aerospaziale prima con Kennedy e poi nella biomedicina con Nixon.
Forti investimenti nella ricerca di base e impegno per favorire la domanda, non necessariamente pubblica, nei settori che per l’era della conoscenza sono ritenuti strategici (biotecnologie, informatica, nanotecnologie) e a cui Greco e Termini aggiungono le fonti energetiche alternative. Solo così si potrà invertire la tendenza di alcune grandezze macroeconomiche, come il Pil, il livello delle retribuzioni, la quota di export in high tech, ad indicare che non siamo più in fase di declino. Al luogo comune che recita del basso livello qualitativo della ricerca in Italia, gli autori oppongono una serie di dati oggettivi (autori e articoli citati) che mostrano come la ricerca italiana di base goda di buona fama nel panorama internazionale. Il problema, semmai, è come introdurre all’economia della conoscenza un sistema produttivo in gran parte composto da pmi. E’ noto, infatti, che il sistema Italia è il fanalino di coda nelle statistiche sugli investimenti in R&S, peraltro per la maggior parte imputabile alla spesa pubblica. Si tratta di una rivoluzione culturale che deve coinvolgere i corpi sociali più significativi del Paese; politici, sindacati, confederazioni imprenditoriali, mondo della cultura e della ricerca.
La domanda, o la sfida, che pone Greco e Termini è dunque:
‘Possiamo invertire il percorso che ha portato al declino del paese continuando ad avere una specializzazione produttiva diversa da tutto il resto del mondo, di vecchia o nuova industrializzazione, e fondata sui prodotti a bassa e media tecnologia? O, invece, dobbiamo “fare come gli altri” ed entrare anche noi nel vivo della competizione internazionale delle alte tecnologie?
Noi, per parte nostra, pensiamo che le domande ammettano una sola risposta. L’anomalia italiana deve cessare e il sistema paese deve giocare la sua partita sullo stesso campo dove giocano gli altri. Non esiste ‘un’altra innovazione’ rispetto a quella che realizza nuovi prodotti ad alta tecnologia.
Chi ha un’opinione diversa ha il dovere di renderla esplicita.’
Al termine del saggio gli autori affrontano il tema della sostenibilità sociale dell’economia della conoscenza. Premesso che wittgensteinamente si potrebbe affermare che informazione e conoscenza appartengono alla stessa famiglia, in realtà si tratta di giochi linguistici diversi. Mentre, infatti, possiamo parlare di pacchetti di informazioni (in termini di bit), la conoscenza è un processo che caratterizza l’intera storia umana. Così il Word che utilizzo per scrivere queste note è sì un pacchetto informatico, ma in esso si ingloba una conoscenza che attraversa lo storia dell’informatica a partire da Alain Turing, e perché non Leibniz. Questo fa sì che il modo di produzione si fa completamente diverso, in particolare il valore del prodotto non è più o solo riconducibile, alla quantità di lavoro incorporato, ma all’utilità che può dare.
Ma se fino a qui possiamo ancora ragionare nei termini di Adamo Smith, si ha che il mio Word ha le caratteristiche di non essere appropriabile (la mia copia non l’ho sottratta a nessuno) e non è un bene rivale, nel senso che utilizzandolo non lo degrado o lo consumo. Finito questo articolo posso scriverne tranquillamente un altro, senza dover pagare a Bill Gates altre royalties. Questo significa che la produzione dell’economia della conoscenza non è esclusiva ma inclusiva.
Un discorso a parte è la sostenibilità ambientale che al contrario richiede interventi precisi in difesa dell’ambiente e contro le sue irreversibili modificazioni.
Poiché il saggio esaminato vuole essere un manifesto proposta, si chiude questa nota con una breve sintesi della proposta:
Sistema di ricerca
Investimenti per almeno 2,5 miliardi nuovi l’ aggiuntivi a favore del sistema pubblico di ricerca. Assumere almeno 10.000 nuovi ricercatori nell’università e negli enti pubblici di ricerca.
Università
Investimenti per almeno 2,5 miliardi nuovi e aggiuntivi a favore dell’alta formazione.
Progetti strategici
Individuare alcuni settori strategici per la produzione di tecnologie davvero innovative.
Nota sugli autori:
Pietro Greco, giornalista scientifico e scrittore, è direttore del Master in Comunicazione della Scienza presso la SISSA di Trieste. Ha pubblicato numerosi libri, collabora con il quotidiano ‘l’Unità’, è uno dei conduttori di Radio3 SDcienza e dirige la nuova rivista ‘Scienza c Società’.
Settimo Termini insegna cibernetica all’Università di Palermo e dirige dal 2002 l’Istituto di cibernetica ‘Eduardo Caianiello’ del CNR di Napoli. Autore di numerosi articoli scientifici e libri, è fellow dell’lnternational Fuzzy System Association e socio dell’Accademia Nazionale delle Scienze, Lettere e Arti di Palermo. E’ condirettore della rivista ‘Lettera matematica PRISTEM”