Pubblichiamo la seconda parte di una riflessione a firma di Mariachiara Tallacchini sull’approccio scientifico di Sheila Jasanoff, che utilizza la prospettiva, per molti versi innovativa, dei Science & Technology Studies per affrontare temi di grande attualità come quello delle biotecnologie.
… (continua dal precedente articolo)
Nel più recente e complesso lavoro qui presentato, Fabbriche della natura, pubblicato negli Stati Uniti nel 2005 con il titolo Design on nature, l’autrice rivolge lo sguardo alle politiche che hanno accompagnato e segnato la storia delle biotecnologie, accedendo così – dopo aver indagato il livello amministrativo-regolamentare e il piano della costruzione dei nuovi diritti ad opera delle corti – allo spazio legislativo e alle politiche dell’etica e del diritto; e completando, in un certo senso, un’ideale trilogia sul dialogo tra la scienza e le istituzioni.
Ciò che nettamente distingue Fabbriche della natura dalle opere precedenti è la dimensione comparatistica, che non solo estende la prospettiva dall’ambito statunitense ai contesti dell’Europa comunitaria, della Gran Bretagna e della Germania, ma che soprattutto individua nel confronto epistemico-normativo transnazionale e transculturale la chiave di lettura più significativa dei rapporti dinamici tra tecnoscienza e democrazie. Le biotecnologie – che rappresentano il primo grande caso di impresa globalizzata e al tempo stesso differenziata – diventano così la cartina di tornasole attraverso cui valutare la complessiva democraticità e le criticità democratiche di alcuni tra i più importanti paesi considerati ‘stati di diritto’.
L’intento più sottile del metodo comparatistico di Sheila Jasanoff è mostrare come società e culture diverse, e solo superficialmente unificate da una presunta universalità della conoscenza scientifica e delle connesse applicazioni tecnologiche, elaborino in realtà forme proprie e peculiari di legittimazione complessiva dei processi innovativi tecnoscientifici e sociali, difficilmente esportabili ad altre società e culture. Ognuno dei paesi descritti dall’autrice muove da una propria visione che incide profondamente sulle modalità di ricezione o rielaborazione, rifiuto, accettazione o mediazione rispetto a processi e prodotti biotecnologici. E, nel misurarsi con una tecnoscienza che retoricamente si porge come uniforme, ognuno si confronta anche con il proprio passato, i successi o i traumi, la definizione o la ridefinizione della propria identità.
Il caso dell’Europa comunitaria riveste un ruolo particolare all’interno di questa peculiare comparazione. Le Comunità europee confluite poi nell’Unione Europea sono entità prive di una preesistente e definita identità, le uniche che hanno cercato di costruire se stesse e la propria riconoscibilità epistemica e politica proprio attraverso il discorso biotecnologico. Le biotecnologie, infatti, hanno rappresentato per l’Europa l’occasione per superare i limiti della propria connotazione economicistica e per acquisire la fisionomia di comunità di cittadini (polity). L’attuazione di tale passaggio, di fatto ancora in fieri e minato da molte contraddizioni, è stato concettualmente affidato a un modello eticamente certificato di tecnoscienza, nel quale il controllo dei valori morali implicati dalle scelte di sviluppo biotecnologico dovrebbe rappresentare simbolicamente il giudizio (e il consenso) di tutti i cittadini europei. Il paradosso di questa strategia è duplice: da un lato i valori di tutti i cittadini europei sono stati espressi da comitati di esperti eticisti, dall’altro il ‘cittadino europeo’ di cui si evocano i valori è creato contemporaneamente ai valori che dovrebbero rappresentarlo.
Il sofisticato bagaglio concettuale che Sheila Jasanoff introduce e utilizza nella propria analisi attinge a molteplici settori disciplinari. Il quadro teorico della comparazione collega linguaggi, temi e contesti differenti e ricomprende nozioni non usuali per il giurista o l’esperto di policy: si tratta di termini come co-produzione (co-production); framework, qui tradotto come cornice, schema o quadro concettuale; boundaries, i confini e i criteri di demarcazione che definiscono soggetti, oggetti e saperi; narratives, le narrazioni, le ‘grandi storie’ e le retoriche universalmente conosciute e inconsciamente accettate che accompagnano e facilitano il consolidarsi delle premesse e delle assunzioni implicite nelle scelte scientifiche, sociali e politiche.
Il potere di definizione del contesto e del significato delle nuove tecnologie è alla base della comprensione più generale del lavoro comparatistico dell’autrice. Ciascun paese o ordinamento giuridico-politico muove da una propria narrazione, comprensione e precomprensione delle biotecnologie: una Gestalt che diviene il punto di riferimento costante delle dinamiche successive. L’inquadramento delle nuove tecnologie biomediche e agroalimentari come ‘prodotti’ o come ‘processi’, per esempio, si spiega solo all’interno di contesti storici, socio-culturali e normativi specifici. I diversi schemi definitori delle nuove tecnologie non sono quindi rappresentabili come l’esercizio di una ragione universale e astratta. Le biotecnologie sono piuttosto veicolate e stabilizzate da narrazioni che, organizzate in trame argomentative, rendono credibili e accettabili le posizioni normative e le collocazioni strategiche che i diversi paesi si trovano ad adottare nel perseguimento delle proprie linee di sviluppo.
Un’attenzione particolare merita il concetto di ‘coproduzione’ che, pur essendo stato utilizzato da altri autori di ispirazione STS, è diventato, nel caso di Sheila Jasanoff, la ‘cifra’ del suo lavoro, la chiave essenziale di comprensione dei rapporti tra scienza e ordine sociale (13). Secondo la prospettiva della coproduzione la scienza e tutti i sistemi coinvolti nella costruzione delle regole di convivenza sociale sono impegnati in un gioco di creazione, sistematizzazione, sedimentazione e stratificazione semantica, nel quale elementi descrittivi e normativi scivolano gli uni negli altri. La scienza, così intesa, è un’istituzione sociale dinamica, impegnata nella definizione di un ordine che è al tempo stesso epistemico e sociale. Parimenti, diritto e politica non si trovano in una condizione di ricezione passivo rispetto alla scienza, ma di intenzionale creatività: entrambi utilizzano e modificano le conoscenze scientifiche secondo le proprie esigenze, stabilendo di volta in volta con grande libertà che cosa sia la scienza legalmente rilevante, quali esperti siano credibili, e come debbano essere interpretati i dati scientifici. Ciò che ne risulta è un processo articolato, da un lato la conoscenza del contesto normativo è necessaria alla comprensione della scienza, dall’altro la scienza è la fonte di molte innovazioni normative e istituzionali.
Ma il linguaggio della coproduzione, nell’interpretazione dell’autrice, acquista una dimensione ulteriore. All’interno del quadro teorico degli STS, che tende a evitare posizioni normative esplicite, Sheila Jasanoff si avvale della prospettiva della coproduzione come strumento di analisi autoriflessiva per le scelte socio-politiche. In particolare, Jasanoff apre alla consapevolezza critica le assunzioni epistemiche e valoriali che, informando tacitamente specifiche opzioni scientifiche, giuridiche o politiche, le trasformano in scatole nere (black-box), nelle quali saperi e poteri si sorreggono a vicenda rendendosi imperscrutabili.
Il metodo della coproduzione è così utilizzato come strumento di apertura e di garanzia democratica. Nei rapporti tra società e scienza, esso spinge a ritenere che questa sarà autorizzata a parlare in modo particolarmente autorevole ma non avrà il potere di pronunciare la parola esclusiva o definitiva, spettante invece alla società. Benché i linguaggi che compongono i discorsi sociali non siano equivalenti in termini di validità metodologica, essi devono confrontarsi in modo pluralistico sulla loro credibilità sociale. L’analisi della coproduzione conduce a un’assiologia ispirata ai valori della democrazia (14): intendendosi qui per democrazia non tanto il prevalere di una maggioranza, bensì l’atteggiamento fluido e di sperimentalità quotidiana che tende a non assumere come autoritativo nessun linguaggio (nemmeno quello della scienza), senza sottoporlo al vaglio della riflessione pubblica (15).
In questo contesto si colloca l’attenzione della Jasanoff per le ‘epistemologie civiche’, l’insieme di conoscenze e pratiche che orientano le vite e le scelte dei cittadini e di cui le politiche della scienza devono tenere sempre più conto. Dopo aver abbandonato – perlopiù e almeno a livello teorico – l’idea che il pubblico sia il soggetto di ‘paure irrazionali’ o di mere ‘percezioni’ sulle biotecnologie, e l’inevitabile destinatario di campagne educative rispetto a un sapere scientifico non compreso o frainteso, i paesi che si sono attivati nel suo coinvolgimento non hanno ancora utilizzato appieno il potenziale contributo di conoscenza dei cittadini, il cui ruolo resta ancora marginale e strumentalizzato.
Sarebbe stato certamente interessante vedere ricostruito, in questo quadro comparativo, anche il caso italiano, soprattutto attraverso gli occhi di un’autrice che ha attraversato i confini e le culture di molti mondi. Questo compito è affidato al lettore, che potrà proiettare sul quadro italiano le riflessioni proposte da Sheila Jasanoff. Ma se si può solo speculare sull’immagine che la Jasanoff potrebbe restituirci del rapporto tra scienza, politica e società in Italia, resta innegabile l’importanza delle lenti concettuali e critiche che l’autrice ci consegna. Questa prospettiva analitica si presenta come un’indispensabile risorsa intellettuale e sociale per guardare con maggiore riflessività alla scienza, alla democrazia e ai loro rapporti nel nostro paese; una risorsa utile per elaborare una consapevolezza e un dibattito pubblici nei quali, al di là delle diverse posizioni, la qualità intellettuale e civile delle nostre narrazioni risulti affinata e raffinata.
Note
13. S. Jasanoff (ed.), States of Knowledge: The Co-Production of Science and Social Order, Routledge, London-New York 2004. (torna al testo)
14. A. Irwin, B. Wynne (eds.), Misunderstanding science? The public reconstruction of science and technology, Cambridge University Press, Cambridge, MA 1996; S. Jasanoff, ‘Beyond Epistemology: Relativism and Engagement in the Politics of Science’, in Social Studies of Science 1996, 2, pp. 393-418; H. Nowotny, P. Scott, G. Michael, Rethinking Science: Knowledge and the Public in an Age of Uncertainty, Polity Press, London 2001. (torna al testo)
15. Cfr. B. Wynne et alii, Scienza e governance. La società europea della conoscenza presa sul serio, Rubbettino, Cosenza 2008. (torna al testo)