Pubblichiamo il testo dell’incontro con il Segretario generale alla Giunta della Regione Lombardia, Nicolamaria Sanese, avvenuto il 26 febbraio 2008 presso il Dipartimento Studi Sociali e Politici dell’Università degli Studi di Milano, nell’ambito del Laboratorio sull’Innovazione Responsabile nella Pubblica Amministrazione.
In questa prima parte: Gloria Regonini, Piero Bassetti e Nicolamaria Sanese.
Prossimamente pubblicheremo gli interventi dei partecipanti e le risposte di Sanese.
Invitiamo i lettori a partecipare al Call for Comments che completa l’iniziativa del Laboratorio, inviando il proprio contributo (clicca qui).
Gloria Regonini
Presidente Corso di Laurea Magistrale APP (Università Statale di Milano)
Diamo il benvenuto al dott. Sanese, Segretario generale alla Giunta della Regione Lombardia. Come sapete, il modello lombardo è affascinante anche dal punto di vista della sfida analitica che lancia. Io mi limiterò a dare alcuni dati biografici del nostro ospite, lasciando l’approfondimento di questo tema all’introduzione del dott. Bassetti.
Nicolamaria Sanese è stato eletto deputato dal 1976 al 1994. ed è stato in diverse commissioni parlamentari: attività produttive, bilancio, tesoro e programmazione.. Inoltre ha avuto esperienze di governo, come sottosegretario all’industria. E da tredici anni praticamente si identifica con una funzione cardine nel governo della Regione Lombardia, prima come Capo di gabinetto del Presidente e poi come Segretario generale della Presidenza della Regione Lombardia. Per noi è importante avere la sua testimonianza perché il tema attorno a cui ruota l’iniziativa del LabInRes che il Corso di laurea magistrale in Amministrazione e Politiche pubbliche porta avanti con la Fondazione Giannino Bassetti è quella responsabilità della innovazione amministrativa. Responsabilità verso chi? E’ il voto l’unico meccanismo attraverso il quale garantire l’accountability di chi ci governa? Ci sono altre istanze, altri strumenti per la valutazione, per ampliare l’oversight dei governati, dei cittadini? Sono temi che l’esperienza lombarda ci porta a discutere e ad affrontare perché il modello è un modello di governance forte, che ha aspetti sicuramente molto innovativi.
Piero Bassetti
Presidente Fondazione Giannino Bassetti
Mi fa enormemente piacere avere qui, grazie a questa iniziativa congiunta tra la FGB e l’Università di Milano, il mio amico Nicolamaria Sanese con il quale ho lavorato in molte occasioni, anche in Parlamento. Mi sembra che la professoressa Regonini abbia detto in estrema sintesi la sostanza del discorso: noi abbiamo favorito questa collaborazione, che si è realizzata attraverso una serie di incontri, questo è il terzo. Il primo ha visto qui il ministro Stanca – che abbiamo considerato l’interprete di un tentativo, che c’è stato, di innovazione nella pubblica amministrazione che era ispirato e motivato dalla sua esperienza di ex presidente dell’IBM -, abbiamo poi avuto ospite Fabrizio Barca che ha rappresentato un altro caso di partecipazione attiva, anzi determinante, ad un fatto di innovazione portante della pubblica amministrazione e che ci ha intrattenuto sulle fatiche, sull’ispirazione e sulla logica del tentativo della programmazione. Ci fa quindi molto piacere avere qui oggi colui che interpreta e personalizza l’apporto innovativo in fatto di pubblica amministrazione della Regione Lombardia. Il caso Regione Lombardia è certamente interessante, a mio avviso tra i più interessanti in Italia grazie al tentativo che molti di noi hanno cercato di realizzare rinnovando la statualità attraverso l’introduzione di un tipo di organizzazione pubblica parastatutale, la Regione, che fin dall’inizio ha avuto come sua aspirazione quella di rappresentare qualcosa di diverso, nel senso migliorativo e innovativo, rispetto alla tradizione ben nota della nostra concezione statuale e burocratica.
Io credo che il tema al quale faceva riferimento anche la professoressa Regonini, cioè quello di considerare sempre l’innovazione all’interno di un quadro di assunzione di responsabilità da parte di chi la introduce sia estremamente importante. Noi viviamo in un mondo trasformato, cambiato, guidato più dall’innovazione che non, ormai, dalla norma. Una volta la politica cambiava la realtà cui era preposta, cambiando le norme, governando; oggi il mondo cambia e non sempre passando attraverso i luoghi della politica. L’innovazione scientifica e tecnoscientifica introduce cambiamenti radicali nella storia, nella vita, ma sempre attraverso una mediazione di qualche forma di potere: nel caso dell’innovazione è quasi prevalentemente il capitale, ma nel caso dell’innovazione pubblica è il potere pubblico. Nel sistema capitalistico noi osserviamo l’assenza di assunzione esplicita di responsabilità che regola il processo innovativo, perché la responsabilità è del mercato, quindi è sostanzialmente di tutti e di nessuno; nella pubblica amministrazione, invece, la responsabilità non è considerata perché un lascito di cultura normativa giuridicista è attento più alla ricerca della norma che agli effetti dell’azione politico-amministrativa. Nel caso della Regione, invece, questa assunzione di responsabilità c’è perché è stata cosostanziale alla nascita della Regione stessa. Le regioni sono nate per cambiare l’assetto precedente dello Stato; non sempre ci sono riuscite. Analizzare come sia cambiata in questi decenni la presenza nella statualità italiana di una grande Regione e quindi di una grande macchina amministrativa e degli effetti che questo ha prodotto, è il tema che vogliamo affrontare qui oggi. Grazie ancora, quindi, a Nicolamaria Sanese per la sua presenza.
Nicolamaria Sanese
Segretario Generale Regione Lombardia
Governare la Lombardia significa governare un territorio che nel 2006 ha fornito all’Italia il 20,7% del PIL, pari 305 miliardi di euro; un territorio che ha raggiunto risultati importanti con risorse molto limitate: 35 miliardi nel 2007, sostanzialmente tutti trasferiti dallo Stato.
E farlo attraverso un ente relativamente giovane: la Regione è nata, infatti, nel 1970. Il suo primo Presidente è stato Piero Bassetti.
La storia delle Regioni è molto singolare. Il Costituente aveva pensato al loro riconoscimento probabilmente per spostare e riequilibrare il potere centrale, creando dei poteri diffusi (cinque Regioni a statuto speciale individuate subito e quindici a statuto ordinario). Tant’è che proprio alle Regioni viene riconosciuto un grosso potenziale: sono, infatti, l’unica istituzione decentrata con poteri legislativi.
Dal 1 gennaio 1948, quando la Costituzione è entrata in vigore, si è però dovuto aspettare fino agli anni ’70 per la loro reale istituzione. E da allora fino agli anni ’90, per avviare un percorso di maggiore autonomia delle Regioni e di scardinamento del sistema Stato-centrico, fino ad allora in vigore.
Le leve del cambiamento
Due sono state le leve di questo cambiamento:
1. le Leggi Bassanini del ’97 e ’98 e la riforma costituzionale del 2001;
2. il Decreto Legislativo 29/93.
Con le leggi Bassanini, il legislatore ha iniziato a consegnare alle regioni maggiore autonomia. A queste riforme ne sono seguite, agli inizi degli anni 2000, altre due: nel 1999 si è sancita l’elezione diretta del Presidente delle Regioni e nel 2001 è stata approvata la legge costituzionale n. 3, che ha innovato il Titolo V della Costituzione, definendo le diverse competenze esclusive e concorrenti di Stato e Regioni.
La riforma del 2001, come tutte le riforme, ha dunque avviato un percorso positivo di rilancio delle Regioni, ma ha anche causato una serie di criticità rispetto alle competenze di Stato e Regioni sulle diverse materie; criticità che i successivi Parlamenti non hanno saputo superare. Sono stati, in tal senso, numerosi i ricorsi che le Regioni hanno fatto in questi anni alla Corte costituzionale contro il Governo, così come numerosi sono stati i ricorsi che il Governo ha fatto alla Corte costituzionale sulle leggi regionali. In questo modo la Corte è stata chiamata a sostituire il potere legislativo su tutte le competenze. La situazione è quindi oggi molto delicata.
Con il Decreto Legislativo 29/93 si è cercato di definire meglio le competenze tra il politico e il dirigente/funzionario pubblico. Questa seconda leva di cambiamento ha avuto una portata veramente rivoluzionaria, anche se non è stata applicata in tutte le istituzioni. In Lombardia, grazie ai politici che hanno governato la nostra Regione, è stata attuata con grandi risultati. Porto alcuni esempi.
1. L’esempio della riforma sanitaria
La sanità è la materia più importante tra le competenze regionali ed è la materia che assorbe la quota maggiore di risorse regionali: nel 2007 ha assorbito il 56,2% di tutte le entrate, comprese quelle europee.
Quando siamo arrivati, nel 1996, c’erano 85 tra aziende sanitarie locali e aziende ospedaliere; quella sanitaria era dunque un’organizzazione estremamente frazionata. La Lombardia è una regione enorme, che ha circa 9 milioni e mezzo di abitanti. E’ quindi la regione più popolata d’Italia, che ha certamente bisogno di articolazioni (infatti ha 12 province), ma anche di maggiore efficienza. Per questo, nel 1997, facendo leva sulla nuove Leggi in vigore (le Bassanini e il Decreto legislativo 29/93) abbiamo attuato una riforma veramente innovativa. Questo ci ha permesso, da un lato, di ridurre il numero delle aziende sanitarie locali e ospedaliere da 85 a 44; dall’altro di separare la gestione della sanità (l’ospedale) dall’acquisto delle prestazioni e di parificare il sistema pubblico con quello privato, introducendo la libertà di scelta- principio che in Italia c’è solo in Lombardia.
Questo ha comportato una grossa scelta politica sulla gestione della sanità; ma ha comportato anche un impegno poderoso per funzionari e dirigenti pubblici, che hanno lavorato per mettere in pratica la riforma, sviluppando responsabilità e incrementando l’efficienza.
Tra l’altro, nel nostro Paese le Regioni non hanno autonomia piena e totale su materie come la sanità; di conseguenza la riforma, così come altre scelte lombarde “rivoluzionarie”, ci è costata anche numerosi ricorsi.
E’ stato dunque un lavoro difficile, che oggi non è ancora concluso. Siamo infatti consapevoli, a livello tecnico e dirigenziale, di una serie di criticità e punti deboli. Per questo avremmo bisogno di una politica attenta e lungimirante, disposta a fare un ulteriore passo. Quella riforma è stata molto difficile; è costata un anno di lavori consiliari!
2. L’esempio del personale interno
Nel 1995 in Regione c’erano 4.431 funzionari e 548 dirigenti. Per me, che arrivavo da esperienze nel privato, questi numeri erano scioccanti. Grazie alla mobilità, introdotta dalla Bassanini e fino ad allora impensabile per funzionari con contratti a tempo indeterminato, siamo riusciti a ridurre l’organico e ad aumentare l’efficienza di Regione Lombardia. Oggi i funzionari sono 2.871 su un organico di 3.000 (non possiamo arrivare oltre i 3.000) e i dirigenti sono 250. Abbiamo quindi realizzato un’altra rivoluzione, questa volta all’interno dell’ente: abbiamo ridefinito le competenze, i compiti, le funzioni attribuite e abbiamo fatto leva sulla responsabilità. Oggi in Lombardia c’è un dirigente ogni 12 dipendenti; un rapporto che andrebbe ancora modificato; occorrerebbero meno dirigenti, pagati meglio. La contrattazione nazionale però non lo consente: in Italia il dirigente della Regione Basilicata prende esattamente quanto prende il dirigente della Regione Lombardia, senza tenere conto delle differenze nel costo della vita. Questo problema è ancora più evidente sugli stipendi dei funzionari.
3. L’esempio dei consulenti
Quanto siamo arrivati, nel 1995, i consulenti erano tantissimi. Per ogni cosa difficile da affrontare si faceva la delibera e si dava un incarico di consulenza. Noi abbiamo scelto di coltivare professionalità e responsabilità all’interno della Regione, investendo sul personale. Questo ha portato qualche danno a università e professionisti, ma ha creato una maggiore coesione, un migliore attaccamento all’ente e al proprio lavoro da parte dei dipendenti. E naturalmente ha comportato conseguenze positive anche nei bilanci regionali.
4. L’esempio dell’avvocatura
Tutti gli atti amministrativi di un ente come la Regione sono appellabili ed è possibile aprire un contenzioso presso il TAR. Questo ha sempre aperto decine, centinaia di atti di ricorso. Tutti ricorrono: un privato cittadino, un Comune, una Provincia, tutti coloro che ritengono che gli atti compiuti non siano stati rispettosi delle loro aspettative o dei loro interessi. Quando l’ente riceve una chiamata in giudizio, per non perdere, deve difendersi. Fino al 1995, la Regione affidava le cause in parte all’avvocatura dello Stato, ma il tasso di riuscita era bassissimo: su 10 ricorsi, cinque li perdevamo (con tutte le conseguenze, comprese le spese delle parcelle). In parte le cause erano affidate a diversi avvocati esterni.
Nella VI Legislatura regionale abbiamo istituito l’avvocatura regionale e non abbiamo più fatto ricorso, salvo casi eccezionali, ad avvocati esterni: oggi perdiamo una causa su dieci, a volte meno di una. Nel 2007, per esempio, abbiamo raggiunto il 96% di sentenze con esito positivo.
Ricorriamo ad avvocati esterni solo quando si tratta di un contenzioso che ha origine all’interno del sistema oppure quando siamo di fronte a situazioni particolarmente difficili (per esempio, in questi giorni, il caso AirOne e Alitalia: oltre a due nostri avvocati, la Giunta ha ritenuto di avvalersi anche di un legale esterno, stante la delicatezza e la complessità della materia).
Ordinariamente facciamo affidamento a 13 avvocati interni; quindi a 13 funzionari incentivati grazie a una forma di compartecipazione al risultato finale. Abbiamo istituito un fondo, costituito dagli introiti per le cause vinte, e in base al risultato dei ricorsi, gli avvocati attingono a quel fondo come premio di risultato. La scelta della Lombardia è, anche in questo caso originale. Altre Regioni hanno, infatti, le avvocature affidate ai dirigenti; noi abbiamo fatto una scelta diversa.
Le chiavi della trasformazione
Tutto quanto è stato realizzato in Lombardia è stato possibile grazie all’utilizzo di alcune chiavi di cambiamento.
1. Da burocrate a manager
La prima chiave è il passaggio da burocrate a manager. Il burocrate non è capace di assumere un’iniziativa fino in fondo perché l’impostazione del suo lavoro è molto parcellizzata e sopporta la responsabilità solo per quella piccola parte che dipende da lui. Il manager, invece, non solo non deve parcellizzare, ma deve assumere una responsabilità complessiva, che condivide con quelle dei suoi colleghi. Ed è proprio sul fronte della responsabilità che la politica si preoccupa del manager: il burocrate non da problemi; il manager richiama la politica alle sue responsabilità decisionali; davanti a un problema il manager trova le soluzioni e tra queste la politica deve scegliere quale attuare, assumendosene tutte le responsabilità.
Vi porto un esempio per chiarire meglio l’importanza di questa chiave di cambiamento.
Dal 1995 al 2000 in Lombardia non siamo riusciti a spendere un soldo del fondo nazionale per costruire nuovi ospedali, il fondo Donat Cattin. Il problema erano i burocrati, che bloccavano ogni iniziativa a causa di mille rivoli (un ricorso, una mancata decisione): la parcellizzazione impediva la realizzazione di obiettivi complessi.
Noi, però, dovevamo realizzare un nuovo ospedale a Varese, rifare buona parte dell’ospedale Niguarda, fare un nuovo ospedale a Como. Abbiamo quindi pensato di separare totalmente la responsabilità degli amministratori da quella dei tecnici e abbiamo così proposto ai politici di costituire una società, Infrastrutture Lombarde S.p.A. [http://www.ilspa.it], con capitale al 100% di Regione Lombardia.
Non abbiamo avviato, come qualcuno polemicamente ha detto, una esternalizzazione; abbiamo semplicemente superato un sistema interno e molto burocratizzato, sostituendolo con una società di diritto commerciale, che può assumere ingegneri e architetti a termine per realizzare opere pubbliche.
All’interno della società lavorano dirigenti interni, con contratti stabili, ma che hanno la possibilità di utilizzare strumenti, leve e tecniche proprie del mercato. In questo modo possono avvalersi delle migliori professionalità, possono rispettare i costi, i tempi e offrire la qualità richiesta.
Grazie ad un sistema di controlli efficacissimo, la Regione, inoltre, può garantire il rispetto delle scadenze. Ci siamo, per esempio, impegnati per consegnare a Como il nuovo ospedale Sant’Anna a dicembre 2009 e entro quella data l’ospedale sarà consegnato. Ne abbiamo la garanzia e abbiamo gli strumenti per pretendere il riconoscimento del danno nel caso di inadempienze.
2. Da ente di gestione a ente di governo
La seconda chiave del cambiamento è il passaggio da ente di gestione a ente di governo.
Quando sono arrivato in Regione, mi divertivo a dire “Benvenuti nel più grande Comune della Lombardia”, perché tutto assomigliava ad un’amministrazione comunale. Con tutto il rispetto per il ruolo fondamentale giocato dai Comuni, la Regione non può essere un sovracomune; il suo ruolo deve essere ben altro. La Regione deve essere un ente di governo che fa le leggi, che dà indicazioni, non che amministra nel senso tecnico del termine.
Si doveva quindi cambiare rotta. In Lombardia lo abbiamo fatto facendo leva sul decreto legislativo 29/93, che consegnava ai dirigenti l’autonomia dalla politica, e usando alcuni strumenti. Il più prezioso è stato l’accordo di programma, uno dei principali strumenti di programmazione di un ente di governo. Grazie all’Accordo di programma promosso nel 2000 abbiamo, per esempio, realizzato la nuova Fiera di Milano in quattro anni e mezzo, integrando il precedente Accordo tra la Giunta regionale uscente e la Provincia di Milano, siglato nel 1994.
Abbiamo così sostituito il metodo dell’imposizione come forma di regolazione e articolazione delle politiche pubbliche e abbiamo introdotto quello della responsabilità, anche economico-finanziaria, di tutti i soggetti coinvolti (quattro comuni, la provincia, il proprietario dell’area, etc.). Abbiamo individuato il sito più idoneo, lo abbiamo bonificato (questo ha comportato costi enormi) e abbiamo costruito la nuova fiera. In questo percorso, grazie all’Accordo di Programma, le redini sono state tenute dall’ente di governo; tutto il resto è stato fatto da soggetti esterni. Con legge regionale è stata, infatti, costituita una fondazione, che attraverso strumenti suoi, nei tempi stabiliti e nei costi stabiliti, ha realizzato l’opera.
Potrei fare molti esempi in questo senso. Tutte le maggiori realizzazioni della Regione, infatti, si sono fatte e si fanno in questo modo, mettendo d’accordo tutti gli attori coinvolti.
3. La formazione
La terza chiave di cambiamento è la formazione, strumento indispensabile per agire un cambiamento nelle persone che lavorano all’interno dell’ente.
I dipendenti della Regione non sono licenziabili; vanno quindi formati, affiancati e motivati.
Una delle finalità principali di questa poderosa azione formativa è stata quella di far accettare, comprendere e attuare il cambiamento da burocrate a manager.
Oggi che abbiamo un ente “diverso”, condividiamo questa peculiarità anche con le altre Istituzioni. Pochi giorni fa abbiamo, infatti, siglato un Accordo, unico in Italia, con il Ministero della Giustizia, per la mobilità dei dipendenti. Tra qualche mese un certo numero di dipendenti regionali si trasferirà negli uffici ministeriali presenti sul territorio lombardo (tribunali, preture, corti d’appello, etc.).
4. Il sistema
La quarta e ultima chiave di cambiamento è il passaggio da ente a sistema regionale.
Il sistema pubblico si concepisce come a se stante: per esempio, la Regione è divisa tra potere esecutivo (la Giunta) e potere legislativo (il Consiglio regionale). Le due strutture, a livello tecnico e a livello di dipendenti, non hanno molti rapporti, non dialogano. Questo è un difetto.
Per questo nel 2006 abbiamo definito la Legge 30, che ha messo a sistema tutte le diverse articolazioni in cui è strutturata una istituzione pubblica.
Alcuni esempi possono essere utili per comprendere l’importanza di questa decisione.
Le ALER (Azienda Lombarda Edilizia Residenziale) sono enti economici che provvedono all’abitazione sociale. Ce n’è una per ogni provincia (più quella di Busto Arsizio). Il governo regionale e le ALER definivano le proprie politiche per la casa – uno dei problemi più importanti e più delicati per la vita economica e sociale della nostra regione – senza fare sistema. In realtà i vertici dialogavano: l’ALER ha un Consiglio di Amministrazione nominato dalla Giunta regionale e dal Consiglio regionale. Il problema era che non dialogavano i livelli operativi.
Per risolvere questo problema, abbiamo messo a sistema le ALER, consentendo così l’apertura di un dialogo e di un confronto tra loro e la Regione.
Oggi noi collaboriamo moltissimo con l’ALER di Milano; abbiamo intensificato gli obiettivi comuni e le realizzazioni. Per esempio, il 10 maggio 2007 il Presidente Formigoni, l’Assessore alla Casa e Opere Pubbliche Mario Scotti, il Presidente dell’ALER Milano Luciano Niero e il sindaco di Pieve Emanuele, Francesco Argeri, hanno firmato il protocollo d’intesa relativo all’accordo di programma sulla riqualificazione dell’ex area Enpam di Pieve. L’intervento prevede la realizzazione di 375 alloggi di edilizia residenziale pubblica, con alcune quote di edilizia convenzionata ed una parte di libera vendita, un complesso commerciale, servizi (centro socio culturale, asilo nido e scuola materna, centro sociale sportivo e polifunzionale), modifiche della strada provinciale 28, opere stradali nel quartiere, verde, percorsi pedonali e centrale termica.
Dalla firma dell’Accordo, l’ALER dialoga con Infrastrutture Lombarde S.p.A. e con la Regione e mi auguro che, grazie a questo sistema coordinato, nel giro di due-tre anni, quell’enorme area sia trasformata e abitata.
Le condizioni del cambiamento
Tutto quello che è stato realizzato, è stato possibile grazie ad alcune condizioni particolari che non sono ricorrenti nel nostro Paese.
La prima è la stabilità. Noi abbiamo avuto una stabilità di tredici anni, con uno stesso Presidente, una giunta omogenea che, anche se ha cambiato maggioranza nel corso dei tre mandati, è rimasta salda.
La seconda è il rispetto delle responsabilità, pur nella convergenza degli obiettivi. Chi fa politica decide, sceglie, indica; chi è dirigente e funzionario elabora le soluzioni tecniche, sempre più di una. I dirigenti sanno che la Giunta non accetta mai una soluzione sola, altrimenti vuol dire che non si è capaci. La scelta definitiva deve però essere a livello politico; è, infatti, la politica che deve avere la responsabilità ultima, perché risponde delle scelte fatte al momento del voto.
Anche per questo, il Presidente Formigoni ogni anno partecipa a diversi momenti formativi con i dirigenti e con i funzionari. E chiede anche agli Assessori di fare lo stesso. Questo consente di sintonizzarsi rispetto al cammino, sempre però con quella netta distinzione tra politica e amministrazione che è fondamentale all’interno di una pubblica amministrazione.
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Per poter vedere le riprese registrate dell’intero incontro, visitate le pagine degli eventi video del CTU – Università degli studi di Milano.