Repetita juvant. Il caso dell’embrione uomo-animale già trattato nel precedente articolo, anche se non rappresenta un qualcosa di veramente innovativo, per il suo valore simbolico e per la capacità evocativa, che se per la promessa di debellare malattie degenerative come l’Alzheimer e il Parkinson rimanda alla “magnifiche sorti e progressive” de La Ginestra di Leopardi, d’altra parte suscita il timore e l’orrore di un approdo all’isola del dottor Moreau di Wells, non poteva non suscitare un ampio dibattito sul rapporto scienza e società.
In particolare ci è sembrato interessante proporre un dibattito apparso sulle pagine de il Riformista con articoli di Claudia Mancina, Paola Binetti e Anna Meldolesi. Una sorta di botta e risposta fra chi (Mancina, Meldolesi) ritiene che la governance etica della ricerca scientifica ha in sé stessa le proprie ragioni (trasparenza dei metodi, pubblicizzazione e confronto dei risultati) e chi, come la Binetti, ritene che la ricerca scientifica è vincolata a sensibilità estranee alla scienza.
Per inquadrare cosa sia l’embrione uomo-animale, e quali le prospettive della ricerca autorizzata dall’Autorità inglese, si è ritenuto di premettere una intervista di Giulia Innocenzi a Stephen Minger capo del team di ricerca sulle cellule staminali del King’s College apparsa su Il riformista del 10 settembre Sugli embrioni uomo-animale andremo avanti ripresa dal sito di Radio radicale.
In questo articolo, al di là degli aspetti tecnici sulle modalità della ricerca è da sottolineare la differenza tra la governance della ricerca nel nostro paese, dove le decisioni vengono assunte in sede politica, e la Gran Bretagna e gli Usa: “A ogni tappa del nostro percorso, abbiamo richiesto al governo di non legiferare sulla scienza, ma di permettere a un panel di esperti e di regolatori, come per esempio il Food and Drug Administration statunitense o il ministero degli interni britannico, di regolare la ricerca. Siamo d’accordo con
l’affermazione che la scienza si sta muovendo così in fretta che è impossibile, per il Parlamento o per il governo, conoscere i confini fra i vari campi della ricerca scientifica, a causa del loro cambiamento repentino. E’ naturale che tali organi statali non possano essere aggiornati tanto quanto i regolatori e gli esperti del panel, che sono invece specializzati nel monitorare specifiche questioni scientifiche. Spesso occorre fare degli sforzi per mantenere il focus sulla luce che c’è all’orizzonte, per questo penso che il governo non sarà mai sufficientemente equipaggiato per farlo. Pertanto, penso che dovrebbero essere i regolatori, piuttosto che i legislatori, a regolamentare la ricerca scientifica (…) Ritengo che la Gran Bretagna abbia la giusta cornice regolatrice per fare scienza accettabile anche a livello etico. Un esempio contrario, invece, sono gli Stati Uniti, che rappresentano un sistema sbagliato. Da una parte, infatti, i ricercatori finanziati dal settore pubblico possono fare molto poco, mentre nel settore privato possono fare tutto e, in alcuni casi, addirittura la clonazione umana riproduttiva.”
Per quanto riguarda il botta e risposta fra Mancina, Binetti e Meldolesi abbiamo di Claudia Mancina Chimere. Insensate certe polemiche dopo la decisione inglese sugli ibridi, di Paola Binetti
Non rinunciamo a un’etica della ricerca e di Anna Meldolesi Gli embrioni chimerici, la Binetti e la presunta saggezza della ripugnanza.
Come già detto in questi tre articoli emergono differenze culturali inconciliabili nel rapportarsi al problema scienza-società. Lascio ai lettori di queste note il giudizio. Mi limito solo a sottolineare come questa inconciliabilità culturale, potremmo dire incommensurabilità dei paradigmi di riferimento tende a interpretare anche i fatti in modo opposto.
Così per la Mancina il fatto che l’Authority inglese abbia impiegato molto tempo prima di decidere il via alla nuova sperimentazione è indice di serietà ed attenzione: “Ma davvero qualcuno può pensare che la serissima Autorità britannica preposta alla ricerca genetica, che ha affrontato il tema con un anno di lavoro, utilizzando una complessa procedura di consultazione (e non semplici sondaggi), pienamente consapevole della delicatezza della questione, sia eticamente irresponsabile, o peggio influenzata da interessi economici?”.
Per la Binetti invece: “pochi si sono soffermati a descrivere l’insistente rifiuto con cui gli inglesi hanno a lungo negato il proprio consenso a qualcosa che percepivano a livello viscerale come contrario alla natura e al buon senso. C’è stato bisogno di una crociata in cui forti interessi economici hanno mobilitato come testimoniaI scienziati disposti a forzare i dati scientifici finora ottenuti, confondendo il piano dei desideri con quello dei fatti”.
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