Molte volte i risultati dell’innovazione tecnologica non trovano risposte adeguate nel campo del diritto.
Nell’articolo “Speer e il potere della tecnica“, apparso su Il Corriere della Sera il 17 febbraio, Natalino Irti propende per un diritto che faccia da contraltare alla tecnica:
‘Giuridico è il conforme alla tecnica; antigiuridico, il difforme e il contrastante. La tecnica non è più materia disciplinata dal diritto, ma potenza conformatrice di esso. Da tale concezione, che attribuisce alla tecnica i caratteri già posseduti da antiche divinità, si discostano le tesi (dall’autore di questo elzeviro già proposte in dialogo con Emanuele Severino), volte a riconoscere nel diritto, e perciò nella sfera politico-ideologica, una diversa potenza. Sempre laica e terrena, ma capace di fronteggiare altre forme di potenza – biologia e fisica, economia e finanza – e di contendere ad esse il dominio del mondo. Non si tratta di banale riduzione della tecnica a strumento, ma piuttosto di configurare una pluralità di tecniche, o forme di volontà si potenza, che rivaleggiano nella storia, di tempo in tempo vinte o vincitrici. La storia si configura, insomma, o come luogo di conflitto fra volontà di potenza – conflitto di cui non si conosce né si prevede l’esito – o come terreno dominato dall’esclusiva potenza della tecnica, a cui nulla può sottrarsi e nulla ribellarsi’.
Sul citato dialogo con Severino si veda la rivista “Prometheus” del 18 febbraio 2002.
La riflessione di Irti trae spunto da un brano delle “Memorie del Terzo Reich” di Albert Speer:
‘Nella penultima nota tecnica del capitolo conclusivo, discorrendo del processo di Norimberga e della condanna al carcere del grande ammiraglio Karl Doenitz, Speer offre un inatteso tema alla riflessione del giurista. La condanna di Doenitz non è motivata con inosservanza del diritto bellico: l’imputato esibisce in discolpa una dichiarazione dell’ammiraglio americano Nimitz, provante il carattere “indiscriminato” della guerra sottomarina condotta dagli Stati Uniti nell’Oceano Pacifico. Speer commenta: “In questo caso uno sviluppo tecnico (impiego di aerei, migliori metodi di localizzazione) sopraffece, sconvolse, annullò la norma giuridica. Fu il primo esempio della possibilità che la tecnica ha oggi di stabilire nuove valutazioni giuridiche che possono avere come per conseguenza l’uccisione legalizzata di innumerevoli uomini’.
In tal modo la tecnica da mezzo diventa scopo:
‘Le “Memorie” di Speer, simboleggiando l’incontro fra tecnica e Stato totalitario assumono una tonalità presaga e funesta. La tecnica non è riducibile a strumento, che si lasci adoperare per scopi decisi dall’uomo; non è un qualsiasi mezzo, necessario per conseguire un certo risultato. La concezione strumentale immagina che l’uomo sia in grado di piegare la tecnica in proprio servizio, e non si avvede che essa è ormai dominatrice del proprio autore. Poiché l’uomo riduce l’intero mondo al fattibile, e considera anche il corpo come prodotto, ecco che la tecnica non sta più dinanzi come mezzo, ma rivela l’essenza stessa del suo fruitore.
La tecnica non è fuori dell’uomo, ma costituisce e determina l’uomo del nostro tempo’.
A giudizio di Irti l’affermazione di Speer anticipa alcune posizioni del moderno pensiero filosofico:
‘da Martin Heidegger a Emanuele Severino, per il quale la tecnica, come mai sazia volontà di raggiungere scopi, costruisce e demolisce, chiama le cose dal nulla e le risospinge nel nulla’.
L’articolo di Irti si chiude con una tragica alternativa:
‘Se il diritto, e dunque i giudizi di legalità e illegalità, siano determinati dal “progresso” tecnico; o se invece essi esprimano un autonomo criterio, capace di porsi di fronte alla tecnica, prescrivendone il grado di sviluppo e le forme applicative’.
- l’item “Umberto Galimberti: l’imperativo della tecnica è ‘Si deve fare tutto ciò che si può fare'”, nella sezione “Argomenti” (Gennaio 2003)
- e in calce alla Rassegna stampa del 18 marzo 2005