Nella seconda decade di novembre presso il Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace si sono svolte due giornate di studio per verificare la posizione della Santa Sede relativamente agli ogm. Mentre sono abbastanza note le perplessità della Chiesa Cattolica sull’uso delle biotecnologie nell’ambito della riproduzione umana, sugli ogm la linea ufficiale era più improntata al riserbo.
Più che di un’aperura vaticana al biotech, come scrive Francesco Peloso su La Sicilia del 12 novembre “La Santa Sede apre al ‘biotech’: gli Ogm non sono più un tabù”, si tratta dell’avvio di una strategia dell’attenzione verso le problematiche poste dall’uso degli ogm.
Scrive, infatti, ancora Peloso nell’articolo citato:
‘Naturalmente l’apertura dalla Chiesa è sottoposta a diverse condizioni. In particolare, si dice, bisognerà procedere a una valutazione caso per caso rispetto alle produzioni agricole modificate in laboratorio; il che vuol dire attenzione ai possibili rischi per la salute umana, rispetto della biodiversità come patrimonio universale, valutazione delle conseguenze economiche derivanti dall’uso di Ogm soprattutto per gli agricoltori dei Paesi poveri’.
‘Il ‘no’ puro e semplice non basta più, i problemi posti dall’innovazione tecnologica e scientifica su scala planetaria vanno governati, anche sotto il profilo etico, e per fare questo la Chiesa ha deciso di accettare la sfida. Un semplice rifiuto avrebbe finito con l’emarginare anche chi è portatore di una visone critica del fenomeno. Ora, al contrario, la Santa Sede vedrà crescere la propria autorità nel campo della bioetica proprio perché ha infranto lo schema, superato, di una Chiesa nemica della scienza’.
Da parte della Chiesa si sottolinea, anche, il rischio che l’uso degli ogm si trasformi in una egemonia economica verso i soggetti più deboli:
‘Laboratori e industrie impegnate nello studio delle biotecnologie non possono essere guidati dal solo interesse del profitto economico’.
Ma, nonostante queste precisazioni, la “svolta” della Santa Sede ha suscitato anche qualche critica nel mondo cattolico:
‘La Cimi (Conferenza degli istituti religiosi italiani), ha mostrato tutto il proprio disappunto per una scelta che potrebbe favorire i grandi gruppi agroalimentari e colpire i contadini dei Paesi poveri. I mercati più deboli verrebbero infatti investiti da prodotti a basso costo che affonderebbero le economie locali. Senza contare che le sementi modificate sono prodotte dalle stesse industrie del settore e da queste andrebbero acquistati creando un meccanismo di dipendenza’.
Sullo stesso argomento occorre soffermarsi su altri due articoli apparsi sempre il 12 novembre su L’Avvenire, “L’incognita Ogm? Gli scienziati in Vaticano” di Salvatore Mazza e parte di un’intervista a mons. Sgreccia, vice presidente della Pontificia Accademia della Vita, “Sgreccia: leciti se giovano all’uomo ma occorre un’informazione trasparente“.
Nell’articolo di Mazza si afferma come prioritaria la necessità di conoscere:
‘Raccogliere quanti più dati possibili, così da aiutare quel “discernimento etico e pastorale” che è “giorno dopo giorno sempre più necessario e indilazionabile”. Una ricognizione dunque ad ampio spettro, perché quando si parla di organismi geneticamente modificati “la posta in gioco è alta e delicata”, entrano in ballo “pressioni diversificate e, in qualche modo, incompatibili, a cui anche la Santa Sede è sottoposta”.
Da sottolineare inoltre come da parte della Chiesa viene interpretato il rapporto fra l’uomo e la natura, secondo quanto ha affermato il cardinal Martino, presidente del Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace:
‘Se secondo la Bibbia l’uomo deve “dominare il creato”, questo dev’essere “un dominio non dispotico e dissennato”, ma al contrario deve “coltivare e custodire i beni creati da Dio e cioè intervenire, decidere, fare, non lasciare che le piante crescano a caso, potenziare e perfezionare, affinché vengano frutti migliori e più abbondanti, ordinare, pulire, eliminare ciò che distrugge e rovina”‘.
Ma nelle due giornate di studio il problema ogm è stato trattato non solo sotto il profilo etico, ma anche secondo chiavi più pragmatiche. Così l’intervento del prof. Sala:
‘Entro il 2010 la Cina diventerà il primo produttore mondiale di prodotti geneticamente modificati, e a seguire ci saranno India, Pakistan e altri paesi asiatici, mentre l’Italia rischia di perdere anche questo treno. “Noi ha ricordato Sala, abbiamo fermi prodotti come il pomodoro San Marzano, il riso carnaroli, l’ulivo, che sono stati ingegnerizzati per difendersi dai virus che infettano le rispettive piante”. Di qui l’invito a “giudicare gli ogm caso per caso e decidere per ciascun prodotto se metterlo o meno in commercio”‘.
Mons. Sgreccia intervenendo con una intervista a Radio Vaticana, parzialmente riprodotta nell’articolo citato, ha puntualizzato come discriminante la verifica dell’utilità degli ogm:
‘Prima di metterli in commercio si deve verificare se non comportano rischi per la salute. Quando c’è un criterio per verificare il rischio e c’è una possibilità di governare quel tanto di rischio che rimane, allora c’è la possibilità di realizzare questi prodotti modificati, c’è la liceità’.
Parlando poi da bioeticista ha messo in luce l’importanza dell’informazione e della conservazione della biodiversità:
‘Dev’esserci comunque una informazione trasparente ad accompagnare tali prodotti. Infatti il pubblico deve sapere quale è il prodotto manipolato e quello che non lo è. Un’altra norma dev’esser di conservare le specie tradizionali, cioè la biodiversità’.