Su Il Manifesto del 19 giugno Matteo Bartocci, in “Il seme del dubbio”1, ha intervistato Mae-Wan Ho, biologa e attivista tra i ricercatori firmatari del documento “The Case For a Gm-Free Sustainable World”2, presentato a Roma nel corso del convegno su “Ogm, brevetti e fame nel mondo”‘.
Rimandando all’articolo di Bartocci e, nel sito della Fondazione Giannino Bassetti, alla pagina “Genetic Engineering: Dream or Nightmare?”:il libro di Mae-Wan Ho3 per una conoscenza più approfondita del pensiero di Mae-Wan Ho su Ogm e biologia molecolare, in questa sede si vuole sottolineare alcuni passaggi dell’intervista che toccano il tema del rapporto fra l’innovazione tecnico-scientifica e la democrazia.
Mae-Wan Ho rispondendo alle domande di Bartocci, afferma:
‘A livello internazionale gli Ogm sono regolati dal protocollo sulla biosicurezza di Cartagena4 firmato nel 2000 da 139 nazioni. [….] E’ vero però che il protocollo è costantemente minacciato e rischia di essere inefficace. L’aspetto più importante, a mio avviso, è cosa pensano i cittadini: i consumatori europei non vogliono prodotti Ogm e questo sentimento va tenuto in considerazione e accompagnato da conoscenze scientifiche valide’.
In un successivo passo dell’intervista, Mae-Wan Ho si sofferma sull’iniziativa lanciata dal governo britannico per un ampio dibattito, chiamato GM Nation5, aperto a tutti i cittadini sulle questioni sollevate dagli Ogm.
‘Finalmente il governo ha deciso di dare il via a una consultazione nazionale. E ha impostato il dibattito su tre filoni principali: cosa deve fare il Regno Unito nei confronti del transgenico, gli aspetti economici del biotech; le valutazioni scientifiche sugli Ogm. Il che, detto per inciso, si riduce a una serie di incontri poco pubblicizzati e a un sito web. Infatti ci sono state molte polemiche in Gran Bretagna, perché il governo ha destinato ai dibattiti fondi insufficienti e non ha fatto alcuna promozione agli eventi tenuti nelle varie città. Ma chi è andato, molte centinaia di persone, è riuscito comunque a esprimere la propria contrarietà.
[…] Le riunioni si svolgevano in alcune grandi sale allestite con tavoli e sedie. Non ci sono stati interventi diretti di esperti, attivisti o politici. All’inizio della riunione veniva proiettato un video abbastanza obiettivo preparato dal governo. E su questa semplice base, del tutto insufficiente a soddisfare le molteplici curiosità su questioni così complesse, i cittadini iniziavano a discutere tra di loro. Non c’è stata abbastanza informazione, specialmente scientifica. Né si potevano porre domande, perché non c’era nessuno a cui rivolgerle.
[….]
A mio avviso è più utile creare una serie di eventi pubblici in cui tutte le questioni siano presentate in modo chiaro. Riunioni in cui il pubblico possa fare domande e ottenere risposte sincere e attendibili. Un video non basta per farsi un’opinione… Il pubblico ha bisogno di avere un’informazione completa e non deve essere tenuto all’oscuro. Nessuno può dire: “Non ti preoccupare, io sono un esperto”, oppure “Tu non puoi capire perché non hai studiato biologia”. Chiunque può farsi un’idea sulla base di prove attendibili e scientificamente valide’.
Infine Mae-Wan Ho si sofferma su esperimento di consultazione popolare avvenuto in Zambia.
‘Vorrei raccontare il caso dello Zambia. L’anno scorso questo paese africano è stato colpito da una pesante carestia, ma rifiutò i semi transgenici inviati dagli Stati Uniti, una decisione che fu accolta come uno scandalo. Prima della decisione, però, il presidente dello Zambia invitò nel paese molti scienziati internazionali e alla fine del dibattito si votò democraticamente a favore del rifiuto degli aiuti “umanitari” americani. Il problema era che se li avessero accettati avrebbero perso lo status di paese “Ogm-free” e quindi le loro esportazioni agricole ne avrebbero risentito’.
Se sull’esperimento “democratico” dello Zambia è lecito nutrire qualche dubbio, anche perchè, come sottolinea la Mae-Wan Ho, la decisione presa era influenzata da rilevanti interessi economici, l’iniziativa GM Nation del governo britannico, pur nell’insuffcienza del progetto e con i limiti denunciati dalle Mae-Wan (sull’argomento avremo occasione di ritornare in una prossima rassegna proponendo un articolo apparso su Il Riformista il 20 giugno), rappresenta un primo momento di coinvolgimento dell’opinione pubblica in un paese in cui possiamo parlare di democrazia senza virgolette.