‘Anders costruisce su un’ “antropologia negativa”, cioè sulla convinzione che sussista una “asincronia” tra le diverse facoltà dell’uomo – il produrre, il pensare e il sentire – e dunque uno ‘scarto prometeico’ tra ciò che l’uomo può tecnicamente fare e ciò che riesce a pensare e sentire. L’uomo insomma è in permanente ritardo, è disfunzionale rispetto all’accelerazione tecnologica e alle sue continue innovazioni. E’ antiquato’
Così leggiamo nella recensione di Franco Volpi (La Repubblica, 17 maggio, “E’ questione di tecnica”) al testo di Gunther Anders “L’uomo è antiquato” (Bollati Boringhieri, vol. I pagg. 348, euro 26; vol. II, pagg. 434, euro 28). Essendo stato Gunther marito di Hanna Arendt, Volpi in questa recensione si sbilancia, forse eccessivamente, sui rapporti fra Heidegger, Gunther e la Arendt. Ciò non toglie che riusciamo a cogliere, in un testo pur non modernissimo, la problematica heideggeriana, recentemente riproposta da Umberto Galimberti (vedi in questo sito la Pagina 7 degli Argomenti e “Quale impresa per la sfida evoluzionista?“, di Piero Bassetti), di una tecnica che tende sempre più a rendersi indipendente dall’uomo:
‘Bisogna invece interpretare questo cambiamento, perché esso non porti a un mondo senza di noi, a un regnum hominis privo del suo monarca’.