Emanuele Severino è senz’altro uno dei maggiori epigoni di Heidegger critico della società tecnologica. In una intervista a Paolo Ferrandi, sulla Gazzetta di Parma del 18 aprile, “Lontano ma vicino”, il filosofo di Brescia analizza, alla luce dei recenti avvenimenti iracheni, i rapporti fra tecnica e capitalismo.
‘Indubbiamente la guerra contro l’Iraq è un aspetto della conflittualità economica. […] E’ la tecnica ad assicurare quella sopravvivenza che il capitalismo ritiene di dover esso stesso assicurare. Si sta andando da uno stato da cui il capitalismo crede di essere il difensore della normalità sociale e in cui si presenta come lo scopo fondamentale della società ad uno stato in cui le forme primarie della volontà di potenza tendono a servirsi esse stesse del capitalismo. Così il capitalismo diventa un mezzo invece di perpetuarsi come scopo, anzi lo scopo per eccellenza della società. Le forme determinanti tendono a servirsi esse stesse del capitalismo che non è più uno scopo, ma solo un mezzo’.
Dalla constatazione, inoltre, delle comuni origini razionalistiche della cultura cristiano-occidentale (San Tommaso) e di quella islamica (Avicenna), Severino giunge alla conclusione che il fondamentalismo non è che una una fase di transizione verso una società dominata dalla tecnica:
‘Dopo un periodo in cui sembrerà che le istanze di tipo fondamentalistico abbiano la prevalenza, accadrà che queste istanze verranno subordinate alla dominazione dalla tecnica. Naturalmente quando parliamo di tecnica non dobbiamo intenderla in senso ingenuo, ma come alleanza tra pensiero tecnologico e filosofia contemporanea’.