Nei mesi e negli anni successivi alla Liberazione, Milano affrontò, con la partecipazione delle rinate rappresentanze civili, imprenditoriali, culturali e politiche, la sua ricostruzione. Materiale, con nuove case, scuole, ospedali; ma anche valoriale, con la rinascita, sulle macerie dei bombardamenti, dei simboli di una nuova cultura tecnico scientifica, artistica, civile. Questa la riflessione cardine del convegno La libertà di reinventare Milano. Quando rappresentanze e società civile pensarono la città nuova che Fondazione Giannino Bassetti ha curato all’interno del palinsesto Tempo di pace e di libertà. Ottanta anni di Liberazione promosso dal Comune di Milano nell’ambito del progetto Milano è memoria. Di seguito, l’intervento del dottorando Giulio Antonucci che si focalizza su quelle istanze, rintracciate anche nell’archivio Bassetti, che anticipavano i principi fondativi dell’Europa (qui una sintesi completa dell’evento con video, podcast e immagini)
Tra i documenti del neonato Centro di Documentazione Digitale dell’Archivio della Fondazione Giannino Bassetti, c’è un dialogo tra Piero Bassetti e Altiero Spinelli. Uno dei tre dell’isola di Ventotene, ideatore del manifesto sul federalismo europeo, pietra miliare dell’europeismo nato proprio dall’esperienza del confino, dagli ideali della Resistenza.
È proprio in questo scambio di idee con Bassetti che Spinelli trova un punto in comune: «Io e Bassetti, è vero, abbiamo prospettive diverse, a Bruxelles si ha una visione sullo sviluppo dell’unità europea, mentre a Milano ci si proietta sullo sviluppo delle Regioni. Ma questi – dice Spinelli – sono dibattiti, filoni di pensiero, nati entrambi nella Resistenza e affondano le loro radici comuni proprio nella liberazione dei popoli. Nonostante le due dottrine siano restate autonome – si tenga presente che questo dibattito si svolge nel 1971, momento in cui Bassetti è al suo primo anno come primo Presidente della Regione Lombardia e Spinelli è a Bruxelles nel ruolo di Commissario europeo per gli affari industriali, per la ricerca generale e la tecnologia – nonostante ciò le due dottrine si sono incontrate».
Oggi però, una vera politica regionale sembra essere debole in seno all’impalcatura istituzionale dell’Unione, così come sembra esserlo all’interno della sua agenda politica. La mia lettura è proprio quella di dimostrare che un incontro teorico prima, e politico poi, tra Regionalismo ed Europeismo è possibile, auspicabile, avendo come profetica base proprio il pensiero di Piero Bassetti.
La Resistenza aveva capito chiaramente che il problema italiano, da cui era nato il fascismo, era quello dello Stato accentrato e aveva fatto cosa? Per fare uno Stato democratico, la Costituente aveva ideato uno Stato delle autonomie con il Titolo V della Costituzione, uno Stato regionale, basato sulle autonomie e che per essere basato sulle autonomie poneva un livello che fosse veramente un livello di garanzia delle autonomie, cioè un livello a carattere regionale.
Lo sviluppo delle Regioni si integra con lo sviluppo dell’unità europea. Entrambe le azioni hanno un avversario comune: il vecchio Stato-Nazione. L’attuazione di una politica regionale europea dipenderà dal modo e dalla misura in cui le regioni si sentiranno Regioni d’Europa e non solo Regioni dei loro vecchi Stati nazionali. Per far ciò, bisognerà intraprendere una politica “delle” Regioni, la quale è diversa da una politica “per” le Regioni, che ha come semplice fine quello di tentare di attenuare i disequilibri esistenti.
La costruzione dell’Europa non può non passare che per i popoli e fondamentali sono le autonomie, luoghi veramente democratici nel senso di istituzioni popolari.
Quando si parla di Europa delle Regioni non si deve pensare di fare l’Europa fra Lombardi e Bavaresi, scavalcando quindi la nazione. Regione e Stato devono coesistere, senza commettere l’errore di voler distruggere l’ordinamento centrale. La nazione servirà come dimensione culturale, linguistica e storica. Il ruolo della regione sarà quello di organizzare il suffragio popolare e di premere contro gli Stati nazionali.
La Lombardia, ad esempio, è una regione di frontiera con funzioni di cerniera tra mondo mitteleuropeo e mediterraneo. Un progetto deve essere la creazione di un autogoverno tra le regioni che hanno in comune qualcosa che trascenda i vecchi confini nazionali: le regioni Alpine, ad esempio, accomunate da valori e interessi economici. La Lombardia ha la possibilità di svolgere un ruolo cruciale nella costruzione dell’unità europea avendo avuto sempre alta capacità di adattamento ai processi evolutivi. A livello nazionale la Lombardia ha svolto un ruolo di guida economica e grazie a questo anche politica. Stessa importanza l’ha avuta a livello internazionale, negli scambi commerciali, finanziari e di know how. Se la Lombardia riuscirà a far convergere internamente l’azione popolare con quella della cultura, della tecnica, dell’iniziativa economica, in vista di porre lo sviluppo economico al servizio di quello civile, essa potrà ribaltare la crisi italiana ed europea.
Contestualizzando questo disegno in un quadro più geopolitico, solo una casa europea costruita sulle fondamenta dei valori della libertà e del pluralismo, e sostenuta dai contenuti politici del regionalismo, può rivolgersi all’Europa nel suo insieme non in termini di provocazione, ma in termini di pace associativa. E qui, per Europa, si intenderanno gli irrisolti Balcani, la Turchia, il Mediterraneo, si intende anche l’Ucraina, anche la Russia.
Vi lascio con una questione: è con il metodo tradizionale degli Stati nazionali che l’Europa può presentarsi al grande tavolo negoziale degli affari mondiali con un’unica voce, forte e autorevole tale da farsi udire? È con le velleità delle potenze nazionali, con la dipendenza militare che ci deriva dall’esterno, sottovalutando la possibilità di un’Europa capace di difendere sé stessa, che gli europei pensano di costruirsi un proprio ruolo nel futuro?
Pensate che siamo in dirittura d’arrivo nella soluzione a questi problemi? Queste domande sono state poste esattamente 52 anni fa proprio da Piero Bassetti. Le frizioni con gli Stati Uniti per la fine di Bretton Woods e la convertibilità del dollaro da ovest, le minacce sovietiche e del blocco di Varsavia da est, l’immobilismo dell’integrazione europea, l’assetto mediterraneo in continua evoluzione, tutte variabili che in termini diversi rendono i quesiti di ieri, i quesiti di oggi.
Al convegno hanno preso parte anche l’Assessore del Comune di Milano Emmanuel Conte, Fiorenzo Marco Galli, Direttore del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia, Fiorella Imprenti di Fondazione Aniasi, Maria Canella e Paolo Zanini dell’Università degli Studi di Milano, Luca Stanzione per la Camera del Lavoro, Massimo Minelli di Fondazione Triulza, Per fondazione Bassetti sono intervenuti Dario Baldini, Giulio Antonucci, il Segretario generale Francesco Samorè e il Presidente Piero Bassetti (i link rinviano ai loro interventi).