Il 19 febbraio, nella sede di Fondazione Giannino Bassetti, abbiamo presentato Rivoluzioni.ai, un nuovo portale dedicato alle innovazioni indotte dall’intelligenza artificiale che si propone di essere un punto di riferimento per chi intende adottare un approccio sostenibile e responsabile. Presenti i fondatori Claudio Vergini e Federico de Ambrosis, il segretario generale di Fondazione Bassetti Francesco Samorè, e Rebecca Pedrazzi.
Associarsi a un’iniziativa digitale che ha l’ambizione di essere permanente come un portale dedicato all’intelligenza artificiale è cosa inedita per Fondazione Bassetti, eppure, dice Francesco Samorè introducendo Rivoluzioni.ai: «L’idea di generare uno spazio di informazione e formazione dalle caratteristiche inclusive, nel quale si possano scambiare non soltanto informazioni ma esperienze, e nel quale si possa attingere in modo responsabile a strumenti, è vicino alla nostra missione. Fondazione Bassetti ha sempre interrogato il sapere per comprendere come cambia il potere; in altre parole, la dinamica delle innovazioni, “la realizzazione dell’improbabile” per citare il presidente Piero Bassetti, ci ha sempre interessato perché riteniamo che in un mondo immerso nell’innovazione la domanda “A quale sapere andrà il potere?” sia perennemente irrisolta. Nella pratica, per Fondazione Bassetti promuovere la responsabilità dell’innovazione ha sempre significato da una parte cercare di includere i cittadini nei processi di innovazione non semplicemente in quanto attori-innovatori, ma in quanto cittadini che hanno il diritto di esprimersi sulle scelte politiche ed economiche; dall’altra, interrogare direttamente il potere, le istituzioni che normano, pur consapevoli che l’innovazione non è “normale” e quindi difficile da normare. Sono d’altra parte sotto gli occhi di tutti, in un mondo di tecnocrazie, i rischi per le stesse democrazie. Cito a questo proposito il libro Connessi a morte. Guerra, media e democrazia nella società della cybersecurity di Michela Mezza, saggista vicino alla Fondazione, in cui ricorre una considerazione fatta dal capo di Stato Maggiore russo Gerasimov sulla guerra ibrida che oggi si combatte manipolando il senso comune del Paese avversario. Perché l’intelligenza artificiale sta modificando non soltanto i nostri sistemi produttivi, il modo di organizzare le informazioni, ma anche le nostre relazioni e la struttura stessa del potere. Il ruolo di un’organizzazione della società civile come la nostra, è quello allora di creare alleanze».
La rivoluzione del moto terrestre rappresentata nel logo è il simbolo di una rivoluzione generale che riguarda i rapporti di forza in essere nella società. Rivoluzioni.ai ha l’ambizione di alimentare una discussione critica, intelligente e costruttiva su una trasformazione considerata epocale; e fornire strumenti per un’adozione consapevole che fa tesoro di un approccio interdisciplinare alla tecnologia risultato di un dibattito tra informatici, sociologi, psicologi sociali ed esperti di visualizzazione dei dati. Dibattito cresciuto in seno al gruppo di ricerca di N.i.n.a., Né Intelligente Né Artificiale, formatosi a Milano quindici mesi fa; tra i suoi fondatori c’è Federico de Ambrosis, docente in informatica, esperto in machine learning e data science, attivista civico e politico-culturale, responsabile dei contenuti del portale di cui ha spiegato la struttura: «Una prima sezione principale tratta l’impatto dell’intelligenza artificiale nel mondo del lavoro, una seconda si occupa di legislazione ed etica, e una terza cerca di interrogarsi su quello che sarà il futuro di questa tecnologia. In una quarta sezione del blog vengono invece affrontate problematiche inerenti ai bias ereditati dagli algoritmi IA. Gli aspetti e gli strumenti che riguardano le attività e la formazione sono il cuore della seconda parte del portale, con una selezione ragionata di chatbot, motori di ricerca, software per trascrizioni, ricerca online, strumenti di scrittura o per controlli ortografici. Ma ci sono anche tool per multimedia come i generatori di immagini e per operazioni comuni come scheduling, gestione di mail o dei social media, customer service… In tutto sono un centinaio gli strumenti analizzati, perché l’obiettivo di Rivoluzioni.ai è quello di mettere ordine a un tema frammentato nel dialogo quotidiano, investito da notizie sensazionalistiche mentre», conclude de Ambrosis, «le due domande importanti da porsi oggi sull’intelligenza artificiale riguardano la provenienza di questa innovazione, quindi come è stata istruita, chi l’ha finanziata, quali tecnologie sono state usate, e riguardano il dove e il come si genera l’enorme ricchezza».
La lettura economica, anche attraverso grafici e tabelle, che Rivoluzione.ai fa dei movimenti delle risorse dei capitali, degli investimenti, della creazione di ricchezza, è uno dei modi per spostare l’attenzione sulla disconnessione tra l’hype generato intorno all’intelligenza artificiale e la sostenibilità vera del modello di business, e cercare una strada per una sorta di contro narrazione rispetto a quella sensazionalista offerta dai media mainstream. Un recente report di Goldman Sachs, a fronte a previsioni di spesa di oltre un trilione di dollari in intelligenza artificiale nei prossimi anni, titola Gen AI: Too Much Spend, Too Little Benefit?, ma sono anche i recenti fatti di cronaca come l’annuncio dell’arrivo di Deep Seek a sollevare alcuni nervi scoperti. «Parlare di intelligenza artificiale e futuri macroeconomici è un terreno abbastanza scivoloso», dice de Ambrosis. «Ma mettere in fila i dati che abbiamo, cercare di leggere in proiezione queste informazioni, può aiutarci a comprendere meglio il fenomeno IA. Se guardiamo ad esempio la panoramica generale delle nostre infografiche sugli otto settori di investimento dell’intelligenza artificiale, vediamo che sono i dati l’ambito intorno al quale si genera maggiore ricchezza. È minima invece la parte che riguarda l’intelligenza artificiale generativa. Questo ci dice che il massimo dell’hype raccontato, da un punto di vista di ritorno economico è in verità qualcosa di molto marginale, ma ci fa anche capire che queste tecnologie sono state disegnate sostanzialmente per estrarre dati ed estrarre valore dal possesso di dati. L’arrivo di DeepSeek, ci indica ancora un’altra cosa: per la prima volta un intero software lavora con circa un centesimo rispetto a quello che ci era stato raccontato, grazie soprattutto a grossa alleanza di cervelli e risorse umane. Sono circa ventimila gli ingegneri che lo hanno sviluppato, mentre, mettendo insieme tutti gli LLM del mondo, forse possiamo contare circa 500 persone che lavoravano a software utilizzati da qualche miliardo di persone. Un chiaro esempio di grossa concentrazione di potere, che lo stesso Sergio Mattarella ha chiamato “tecnofeudalesimo”».
In questo scenario complesso, emerge la concretezza di chi, come le aziende e i professionisti, si confrontano con questa nuova tecnologia. Dall’ultimo report dati Istat anno 2024 e dalla recente ricerca dell’Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano, un terzo delle grandi imprese utilizza tecnologie di Intelligenza Artificiale ma più lentamente rispetto ad altri Paesi europei: solo il 59 per cento ha già infatti un progetto attivo di IA contro una media europea del 69. In relazione poi agli aspetti etici (leggi AI Act), solo il 28 per cento delle grandi realtà ha adottato delle misure concrete, mentre il 52 per cento dichiara di non aver compreso a pieno il quadro normativo. Per le PMI la fotografia è ancora più severa: solo il 7 per cento delle piccole e il 15 delle medie imprese ha approcciato progetti di intelligenza artificiale. La situazione italiana si spiega, secondo Claudio Vergini, imprenditore del mondo digitale dagli anni Ottanta, da un’innata difficoltà a fare network e creare linee comuni. «La sanità digitale è uno dei classici esempi di questo approccio a macchia di Leopardo, che sembra nel DNA del sistema Italia. Un “sistema” in cui le grandi aziende tendono a fare i progetti in autonomia sperando di influenzare anche le istituzioni e la legislazione, mentre le medie e piccole imprese sono destinate a rimanere indietro. La verità è che per approcciare in maniera strutturata e direzionale queste tecnologie serve formazione, serve creare una cultura imprenditoriale sul digitale che preceda la necessità e l’urgenza comprensibile del fare. Prima della tecnologia, insomma, ci sono la sostenibilità ambientale e sociale, ci sono processi e gli esseri umani, infine la tecnologia».
Quando l’umanesimo incontra l’innovazione e la tecnologia, in Fondazione Bassetti si parla di innovazione poiesis intensive. Come dice Francesco Samorè: «La capacità di immaginare e di applicare alle arti i processi di innovazione rappresenta qualcosa che nella storia della nostra civilizzazione ha avuto anche un significato politico». In sala c’è Rebecca Pedrazzi, storica e critica dell’arte, esperta di tecnologie e prompt engineering, a cui spetta il difficile compito di riflettere sul ruolo della creazione della bellezza, dell’immaginazione, nell’indirizzare i destini della società. «Ciò che ho imparato da quando, nel 2016, mi sono avvicinata alle pioneristiche sperimentazioni che utilizzavano software di programmazione delle immagini come Deep Dream o Morphing, l’ho imparato dagli artisti. Da sempre, anche ai tempi del Canaletto e della sua camera oscura, arte e innovazione tecnologica si sollecitano a vicenda, ma oggi, l’accesso a grandi dataset, la collaborazione con informatici e scienziati, trasforma la figura dell’artista in un interprete di tematiche sensibili come la natura, l’etica, i bias ancora prima che le stesse diventassero di trattazione comune. L’arte, digitale o meno, fa questo. Per citare una bellissima frase di John Dewey, la scienza afferma significati, l’arte li esprime. Quando si parla di arte e di intelligenza artificiale, sia parla di diritto d’autore, di etica, di filosofia. In Italia abbiamo degli artisti straordinari che sollecitano riflessioni molto importanti. Artisti come Deborah Hirsch che sta facendo una ricerca meravigliosa sulle piante in via d’estinzione per restituirci attraverso l’arte la memoria di una pianta, perché l’arte, che è idea più tecnica, è portatrice di una bellezza che è anche comunicazione violenta e potente, di un nuovo racconto, di un nuovo mondo. Oggi è sempre più importante collaborare, mettere in campo tutte le competenze e il nostro pensiero critico affinché questa rivoluzione tecnologica sia anche una rivoluzione culturale».