Il 14 e 15 settembre 2024 si è svolta la seconda edizione di Mag to Mag, il festival del magazine indipendente organizzato da Frab’s Magazines & More, portale specializzato nella vendita di riviste di nicchia. Per due giorni, nelle sale espositive di LAMPO — realtà nata da un progetto di riqualificazione di Scalo Farini a Milano — si sono svolti workshop e masterclass a pagamento o numero chiuso dove gli operatori del settore potevano ottenere informazioni approfondite sul mercato dei magazine e sviluppare competenze specialistiche, dai metodi per attirare sponsor alle tecniche di stampa artigianali. A queste si aggiunge un ciclo di sette talk in cui sono stati trattati gli aspetti più vari del mondo dell’editoria di nicchia e non solo, focalizzandosi, come riportato in questo resoconto, sugli effetti della rivoluzione digitale.
Sono intervenute personalità molto diverse, dai professionisti del settore che hanno spiegato quanto sia cambiato il modo di fare informazione negli ultimi decenni, ai nuovi editori a cui è stata data l’occasione di presentare le loro riviste e raccontare la loro esperienza, cosa significhi davvero lanciare un progetto editoriale con gli strumenti innovativi che si hanno oggi a disposizione.
Un’intera sala era poi adibita all’area market dell’evento, dove 58 espositori provenienti da 12 paesi diversi hanno avuto l’opportunità di presentare le loro riviste a editori, rivenditori e a un numeroso pubblico di appassionati. Due presentazioni in particolare hanno mostrato l’interesse degli organizzatori per il mondo accademico, cioè quelle dei lavori degli studenti dello IED di Milano, e di Mag Jam, la rivista sulle riviste nata da una collaborazione tra la RUFA di Roma e Frab’s Magazines & More.
Le discussioni non potevano non affrontare anche il tema dell’intelligenza artificiale, tanto che proprio il talk che ha inaugurato la giornata di sabato, intitolato non a caso “Futuro prossimo: AI e magazine di carta”, era completamente incentrato su questa tecnologia, che sta impattando in modo divisivo le attività creative. I tre relatori — Roberto Maria Clemente, designer e docente Naba, Davide Mottes, art director della rivista Maize, e Pietro Minto, giornalista — hanno fin da subito concordato sul fatto che sia ancora difficile definire gli effetti che la AI sta avendo e avrà sull’editoria, trattandosi di una rivoluzione tuttora in atto, se non ancora in fase embrionale. Tuttavia, l’utilizzo di sistemi generativi nei processi di fattura dei prodotti editoriali è un fatto noto e molto diffuso, sia nelle attività di produzione grafica e audiovisiva che, in misura minore, in quelle autoriali. Ciò può ovviamente avere effetti dal punto di vista occupazionale, in un settore già segnato dalla precarietà. A questo proposito, Pietro Minto fa l’esempio delle cosiddette “content farm”, quelle aziende che pubblicano grandi quantità di contenuti con l’unico obiettivo di sfruttare gli algoritmi dei motori di ricerca per essere consigliati agli utenti e guadagnare dalle inserzioni pubblicitarie. Dato che si tratta di scrivere testi che probabilmente non saranno mai letti, strumenti in grado di produrne molti e velocemente, anche se di bassissima qualità, possono sostituire il lavoro dei copywriter freelance in genere impiegati per questi lavori. I Large Language Model, per quanto addestrati su una grande varietà di documenti, rimangono sistemi generalisti e quindi i risultati sono spesso insoddisfacenti o scorretti per ambiti di conoscenza tecnici e specialistici.
Riguardo a questo, Roberto Maria Clemente condivide una sua preoccupazione per quella che potrebbe essere una tendenza nel futuro, ovvero la normalizzazione di contenuti vaghi e imprecisi, chiedendosi come sarebbe possibile evitarla. Come spiega Pietro Minto, fenomeni come le allucinazioni sono sistematici in queste tecnologie, che per il loro funzionamento tendono sempre a generare un output nonostante la mancanza di informazioni da cui attingere. Una possibile soluzione è riaddestrare i modelli preesistenti utilizzando nuovi set di dati specifici, processo chiamato “fine-tuning” che può richiedere investimenti anche molto alti.
Davide Mottes aggiunge che per ottenere risultati adeguati è anche fondamentale strutturare le proprie richieste in modo preciso e completo, fornire tutte le informazioni di contesto necessarie e eventualmente esempi da prendere come modello, attuando cioè delle strategie di prompt engineering. Facendo riferimento in particolare ai modelli per la generazione di immagini, la qualità dei prodotti finali è spesso discreta, anche se va contestualizzata. Tutti gli strumenti tecnologici di grafica hanno sempre determinato l’affermazione, più o meno duratura, di un’estetica derivante dalle caratteristiche tecniche. È il caso anche con le immagini e i video creati con AI, in cui colpiscono la precisione “matematica” e la totale assenza di originalità e buon gusto. Collegandosi a questo discorso, Pietro Minto menziona il fenomeno dello “AI slop”, cioè l’inondazione dei social media di immagini dozzinali create con AI per aumentare l’interazione ai post, a volte spacciate per creazioni di artisti reali.
La normalizzazione di contenuti vaghi e imprecisi potrebbe essere una tendenza nel futuro
L’ultimo talk della prima giornata, “Se un magazine indipendente diventa digitale”, ha visto la partecipazione di quattro personalità con background molto diversi: Diego Valisi, CEO di Milano Fashion Library e per anni direttore del settore pubblicità di Uomo Vogue, che si è quindi formato prima della rivoluzione digitale; Andrea Rasoli, co-founder di Vice Italia e attualmente di The Vision, che ha vissuto a pieno il passaggio da cartaceo a digitale; Maria Stanchieri e Walter D’Aprile, rispettivamente managing editor e editor-in-chief di nss magazine, rivista pubblicata esclusivamente su canali digitali. È proprio Maria Stanchieri a aprire la discussione con una domanda decisamente calzante, quali caratteristiche deve avere oggi un prodotto per poter essere definito un magazine. Diego Valisi risponde dicendo che fino a qualche anno fa si era più cauti nel chiamare magazine prodotti che non nascevano in forma fisica, mentre oggi si riconosce la validità editoriale di contenuti digitali, ovviamente tenendo in considerazione le ovvie differenze; sottolinea come la più importante sia la velocità di diffusione delle notizie, e per questo la stampa tradizionale non può più porsi l’obiettivo di essere il principale canale di informazione giornaliera.
Andrea Rasoli parla della sua esperienza e di come ha deciso di puntare unicamente al digitale con il suo ultimo progetto The Vision, reduce dalla parabola di Vice Italia che ha aumentato drasticamente il suo pubblico grazie all’apertura del sito web nel 2014. Negli ultimi tre anni, l’ascesa dei social media l’ha costretto a adeguarsi alle regole di questi ultimi, scegliendo la pubblicazione giornaliera di molti contenuti brevi.
Walter D’Aprile aggiunge che i magazine indipendenti, trattando spesso di argomenti fortemente estetici come moda e arte, devono enfatizzare la dimensione grafica e per questo non possono trascendere dall’utilizzo di questi canali, a loro volta prevalentemente orientati all’immagine. Secondo praticamente tutti i relatori, la comparsa dei social media ha avuto importanti ripercussioni economiche sull’industria editoriale, cambiandone radicalmente la natura. Innanzitutto, la diminuzione generalizzata dei guadagni derivanti dalla vendita delle riviste ha spinto molte realtà a trasformarsi in media company, agenzie operanti principalmente con la comunicazione. La pubblicazione di contenuti editoriali, su canali digitali o meno, diventa un’attività di facciata votata a aumentare il proprio seguito e attirare marchi con cui collaborare per la creazione di campagne pubblicitarie o eventi promozionali. A tutto ciò si aggiunge il fatto che è aumentata la concorrenza per la comparsa di professioni quali il content creator e l’influencer, che possono facilmente raggiungere e superare i numeri social di testate affermate con contenuti di qualità inferiore, più economici e facili da creare.
Un ulteriore tema analizzato riguarda invece il principale effetto culturale derivante dalla frammentarietà dei social media. In passato i media tradizionali avevano come target dei precisi gruppi di individui, dei cluster estetico-culturali, oggi sostituiti da un ambiente caratterizzato da una estrema specializzazione degli interessi e quindi da una “moltitudine di unicità”, che soltanto degli algoritmi possono identificare e raggiungere. Questo ha sì un effetto economico, perché è molto difficile convertire in partecipazione fisica — per esempio a eventi a pagamento — i numeri dei social media, ma soprattutto impedisce ai progetti editoriali di avere risonanza mediatica e diventare culturalmente rilevanti.
La diminuzione generalizzata dei guadagni derivanti dalla vendita delle riviste ha spinto molte realtà a trasformarsi in media company, agenzie operanti principalmente con la comunicazione
L’ultimo talk legato a questi argomenti si è svolto nel pomeriggio della domenica. Intitolato “Progettare i giornali di domani”, ha ripreso molti degli argomenti già trattati, e anch’esso ha visto la partecipazione di personalità molto diverse tra loro: Luca Sofri, giornalista e direttore del Post, Francesco Franchi, art director di Repubblica, e Valentina Ardia, head of content di Linkiesta Etc, in sostituzione del direttore Christian Rocca. Questo ultimo dibattito ha innanzitutto segnalato inversioni di rotta nei progetti in cui sono inseriti due dei relatori, Luca Sofri e Valentina Ardia. Infatti, il Post è pubblicato online perché inizialmente era il modo più conveniente per lanciare un progetto editoriale, mentre nel 2021 hanno deciso di collaborare con la casa editrice Iperborea e lo studio grafico Tomo Tomo per la pubblicazione in cartaceo di Cose Spiegate bene. In modo simile, il quotidiano online Linkiesta ha ricevuto anche una versione a stampa, con periodicità non fissa, per la volontà di investire nella creazione di un prodotto di alta qualità, sia dal punto di vista materiale che contenutistico.
Riguardo a aspetti più tecnici e economici, Luca Sofri spiega che l’editoria digitale ha risentito anche del declino del mercato delle inserzioni pubblicitarie — in passato la principale forma di ricavo dei magazine online — iniziato tra il 2015 e il 2016 negli USA. Molti quotidiani online hanno reagito adottando il sistema del paywall, ovvero rendendo i contenuti disponibili sotto pagamento, per singoli articoli o nella forma di abbonamenti. Questi meccanismi informatici sono complessi e di difficile implementazione, e in quegli anni hanno richiesto investimenti non trascurabili. È evidente che oggi l’industria editoriale sia caratterizzata da una forte multicanalità, proprio perché è necessario differenziare i propri canali di comunicazione per arrivare a un range di pubblico più ampio. Sono sempre più numerosi poi i progetti che sperimentano linguaggi diversi, e in aggiunta ai contenuti prettamente testuali si cimentano nella produzione di video e podcast.
In questo i magazine indipendenti sono avvantaggiati dal fatto che le proprie scelte editoriali e imprenditoriali non sono controllate dai grandi investimenti di cui in genere godono le testate affermate. Ciononostante, anche i grandi editori hanno dovuto riorganizzare il proprio organico integrando professioni specializzate nel funzionamento algoritmico di social media e motori di ricerca, mettendo in secondo piano l’autorialità. Secondo Francesco Franchi, questa è una delle cause che hanno portato a un impoverimento generalizzato dei contenuti editoriali.
Sono sempre più numerosi i progetti che sperimentano linguaggi diversi, e in aggiunta ai contenuti prettamente testuali si cimentano nella produzione di video e podcast
In chiusura di questo resoconto, vorrei menzionare tre magazine presentati durante la fiera che potrebbero risultare interessanti anche per il lettore. Il primo è Nodes, pubblicato da Numero Cromatico, collettivo formato da artisti e ricercatori di varie discipline. Questo gruppo studia dal 2011 il legame tra arte e neuroscienze, promuovendo il dibattito proprio grazie alla rivista e a altre pubblicazioni, oltre che con installazioni artistiche. ARCHIVIO è invece il magazine prodotto da Promemoria Group, azienda che opera nel settore della valorizzazione digitale di fondi archivistici aziendali e istituzionali. Il loro interesse è sostenere la diffusione della cultura archivistica con un approccio contemporaneo, e dal 2017 hanno descritto più di 200 archivi inediti. Infine, MAIZE, dell’omonima azienda di strategic design nata dal centro di innovazione H-Farm, tratta di tecnologia, focalizzandosi in particolare sul rapporto che le persone hanno con essa. Lo sviluppo tecnologico e i suoi effetti vengono interpretati in modo consapevole con l’obiettivo di creare una coscienza responsabile nella popolazione.