Il nuovo libro di Matthew Cobb sull’ingegneria genetica, qui recensito, si inscrive in un filone di riflessione cui Fondazione Bassetti da anni dedica attenzione. Insieme all’intelligenza artificiale, proprio l’editing genetico e l’eventuale trasmissibilità delle sue conseguenze alle generazioni future sono stati oggetto delle principali richieste di moratoria, espressione di una società che chiede regolamentazione su aspetti centrali dell’innovazione.
Crediamo di esser stati tra i primissimi a sperimentare pratiche partecipative coi cittadini sulla controversia che ha diviso la comunità scientifica internazionale intorno all’opportunità di pubblicare i dati delle sperimentazioni condotte sul genoma di embrioni umani utilizzando la tecnica CRISPR/Cas9: già nel 2015, nella cornice del progetto Responsible Research and Innovation Tools abbiamo promosso un laboratorio in cui ciascuno ha potuto indossare i panni del ricercatore e confrontarsi, provette alla mano, con biotecnologi e bioeticisti;
nello stesso anno abbiamo dato conto sul sito della Fondazione del primo summit internazionale sul gene editing, in cui esponenti della comunità della ricerca americana, inglese e cinese si confrontarono per redigere uno statement su come procedere nella ricerca e nella clinica del gene editing;
nel 2018 abbiamo riferito il parere deontologico dell’Associazione Nazionale Biotecnologi Italiani (ANBI);
per poi discutere, nel 2019, di come staminali e terapia genica stanno cambiando la medicina a partire dal libro di Valentina Fossati e Angela Simone.
Tutto materiale disponibile nell’Archi-Vivo della Fondazione, utile anche per introdurre questa recensione del libro di Cobb firmata da Elisa Mariani.
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L’età genetica. La rischiosa ambizione di modificare la vita (Einaudi, 2023) di Matthew Cobb, negli Usa è stato pubblicato con un titolo che non ammette repliche: As Gods, è la storia di una rivoluzione sotto gli occhi di chiunque eppure misconosciuta ai più perché velata da un linguaggio tecnico che ci riporta sui banchi del liceo e alle affascinanti quanto oscure illustrazioni della doppia elica.
Ma se il 2020 ci ha globalmente costretti ad avere una conoscenza superficiale di cosa sia uno spillover e come funzioni un vaccino a Rna, il professore di zoologia dell’università di Manchester ci richiama alla necessità come opinione pubblica di avere una idea un po’ più che minima su cosa sia l’ingegneria genetica. Quali siano stati i suoi esordi, quali le caratteristiche peculiari dell’unica tecnologia i cui ricercatori in poco più di cinquant’anni hanno bloccato le sperimentazioni quattro volte per responsabilità e quali interrogativi e anche paure suscitino oggi i suoi sviluppi, editing mediante la tecnologia CRISPR/Cas9 in testa.
Il CRISPR/Cas9
Che cosa sia il CRISPR/Cas9 e quale impatto abbia avuto e stia avendo sulla ricerca lo spiega diffusamente Matthew Cobb nel capitolo “Redattori del genoma”. Cobb ricostruisce con minuzia come, nei primi anni Dieci del Duemila, la tensione alla comprensione del modo in cui funzionasse un frammento bizzarro del genoma microbico – CRISPR infatti sta per Clustered Regularly Interspaced Palindromic Repeats (brevi ripetizioni palindrome raggruppate e separate a intervalli regolari) – si sia trasformata nella scoperta di un sistema di straordinarie potenzialità e flessibilità per editare i geni di qualsiasi organismo. Anche umano.
Sulle fasi della scoperta del modo in cui un enzima Cas, il Cas9, funzioni come forbice molecolare sulla molecola di Dna non ci dilunghiamo: le pagine in merito di Matthew Cobb sono avvincenti anche per chi non ha mai messo piede in laboratorio come le descrizioni degli slam di Andre Agassi di Open lo sono per chi non ha mai preso in mano una racchetta.
Resta che nel giro di meno dieci anni si arrivò all’impensabile. Se infatti, nel 2012, la biochimica americana dell’università della California a Berkley Jennifer Doudna e la biochimica francese Emmanuelle Charpentier guidarono il gruppo internazionale che si aggiudicò il merito della scoperta delle potenzialità del CRISPR, nel 2018 il giovane ricercatore cinese He Jiankui rivelò al mondo di aver impiegato la tecnica per modificare il gene Ccr5 di due embrioni, al fine di impedire che in futuro contraessero l’Hiv. Erano nate due bambine.
Quello che seguì fu la ferma condanna generale della comunità scientifica del folle esperimento di He – peraltro fallito: la mutazione desiderata non si è verificata, ma quello che è certo è che, per le leggi del Dna, riguarderà anche i loro figli. Eppure – diversamente dal 1971, nel 1974 e dal 2012 – la richiesta del gennaio 2019 di una moratoria di cinque anni sull’impiego clinico dell’editing germinale (non sarebbe valso per la ricerca accademica sugli embrioni precoci, o per operare su embrioni evolutivi) non ha trovato un consenso globale.
Il via libera alla prima terapia basata sulla tecnica dell’editing genetico tramite CRISPR/Cas9
Proprio nelle ultime settimane, il sistema CRISPR/Cas9 è tornato ad affacciarsi anche nelle cronache dei quotidiani generalisti a causa della prima approvazione mondiale – prima in Gran Bretagna, a cui agli inizi del dicembre scorso è seguita anche quella della U.S. Food and Drug Administration – di una terapia basata su questa tecnica di editing genetico.
Certamente una speranza per chi è affetto da anemia falciforme e beta-talassemia – i trial di chi è stato sottoposto alla terapia somatica sperimentale sono positivi e mostrano che i dolori cronici che provavano i pazienti sono spariti e i livelli del gene editato sono rimasti stabili nei dodici mesi successivi al trattamento – ma una possibilità di cura che al momento negli Usa costerà quasi due milioni di dollari a paziente.
Una cifra che rende bene anche la discriminazione economica a cui andrà incontro chi non ha un’assicurazione in grado di coprire i costi. Senza contare la discriminazione che riguarda l’accesso alle cure, data dalla loro disponibilità nel Paese: considerato per esempio che, come ricordato sul New York Times da Gina Kolata lo scorso 8 dicembre 2023, lo stato in cui l’incidenza della malattia è più alta non sono gli Stati Uniti ma la Nigeria.
La responsabilità dell’innovazione in chi si occupa di genetica
Una cosa di cui parla a più riprese nel libro Matthew Cobb e che afferma con decisione nelle “Conclusioni” è che la responsabilità dell’ingegneria genetica non appartiene solo ai ricercatori che se ne occupano. Ed è cristallino quando afferma che “la questione essenziale dei decenni a venire sarà non tanto la nostra capacità di sviluppare nuove forme di tecnologia genetica […] quanto la capacità di controllare queste innovazioni, garantendo un loro impiego appropriato a vantaggio dei molti, non dei pochi” (pag. 399).
Se è vero che i genetisti sono l’unico gruppo di ricercatori dell’unica scienza che abbia mai interrotto volontariamente il proprio lavoro temendo le conseguenze di eventuali scoperte, in un mondo in cui sono già nate due bambine geneticamente modificate, l’autoregolamentazione – per quanto meritoria – può essere considerata abbastanza?