Lunedì 27 novembre 2017 Fondazione Giannino Bassetti ha avuto il piacere di ospitare “La pace, la guerra e l’orologio dell’innovazione”, un dialogo con Raul Caruso, autore del libro “Economia della Pace”, moderato da Guido Romeo, giornalista specializzato sul tema dell’innovazione.
Raul Caruso insegna Politica economica ed Economia internazionale presso l’Università Cattolica del S.Cuore di Milano. Dirige negli USA la rivista specializzata Peace Economics, Paece Science and Public Policy, il Network of European Peace Scientist e il capitolo italiano degli Economists for Peace and Security. Collabora, inoltre, con il quotidiano Avvenire.
Guido Romeo è un giornalista specializzato in start-up, innovazione, data journalism, Foia e accesso all’informazione. Ha co-fondato Diritto Di Sapere ed è autore di Silenzi di Stato, storie di trasparenza negata e di cittadini che non si arrendono. Interviene come docente di data journalism, giornalismo digitale e accesso all’informazione allo Iulm, alla Business School del Sole24Ore, alla Sissa di Trieste e in corsi riconosciuti dall’Ordine dei Giornalisti.
Rendiamo disponibili video, sintesi e foto dell’incontro.
Per comodità di visione abbiamo suddiviso la registrazione in tre parti. La prima e la seconda propongono il dialogo tra Raul Caruso e Guido Romeo, la terza parte è relativa al dialogo con il pubblico. Il quarto video è una breve intervista a Raul Caruso che presenta i temi dell’incontro.
Secondo la definizione proposta da Brauer e Caruso (2013) l’economia della pace «studia gli aspetti economici e il design delle istituzioni politiche, economiche e culturali, le loro interrelazioni e le loro politiche per prevenire, mitigare o risolvere qualsivoglia tipo di conflitto distruttivo latente o in corso nelle società (1)». Primo obiettivo dell’economia della pace è quindi quello di «fornire gli strumenti teorici e le evidenze empiriche per integrare i tradizionali campi di indagine della scienza economica (2)», analizzando le cause e le conseguenze economiche dei conflitti. Secondo obiettivo è quello di «suggerire politiche economiche idonee a rimuovere le cause dei conflitti, favorendo, in ultimo, un percorso equilibrato di sviluppo (2)».
Come si inserisce l’innovazione in questo campo di ricerca? O ancora: qual è il rapporto tra ricerca, nuove tecnologie, generazione e risoluzione dei conflitti? L’innovazione in ambito militare porta ad innovare anche in ambito civile? L’incontro del 27 novembre ha provato a rispondere proprio a domande come queste, partendo da alcuni esempi concreti, portati all’attenzione da Guido Romeo.
Il primo “caso” trattato nella conversazione con Raul Caruso è quello dell’origine di ARPANET, la prima rete di computer, il cui sviluppo viene spesso connesso a interessi di tipo militare, perché, siamo in piena Guerra Fredda, gli americani avevano bisogno di una struttura resiliente in caso di attacco nucleare. Come ha spiegato l’autore di Economia della Pace, questa narrazione è in realtà frutto di un’inesattezza storica, che dà all’ambito militare il merito di avere accelerato l’innovazione in ambito civile. Come spiega Caruso, infatti, la diffusione di ARPANET tra i cittadini è stata al contrario rallentata da interessi militari.
Ma cosa è accaduto esattamente? Siamo sul finire degli anni ’60 e il presidente Johnson stabilisce che tutte le agenzie federali hanno l’obbligo di finanziare la ricerca di base, un obbligo da cui derivano benefici tanto in ambito civile quanto in ambito militare. In questo contesto, si ha il primo scambio di informazioni tra due computer e, più precisamente, tra due università, con l’obiettivo di facilitare lo scambio di conoscenza scientifica. Considerata pericolosa per la sicurezza nazionale, questa tecnologia viene sottratta agli scienziati e viene consegnata ai militari, che ne hanno una gestione disastrosa. Gli scienziati stringono allora un’alleanza e, dopo aver sollecitato la presidenza, riescono a rientrare in possesso della tecnologia in questione e a ottenere di poterne usufruire liberamente. In questo senso, secondo Caruso, la rete a 56k rappresenta un caso di rivalsa dello scienziato civile nei confronti dei militari.
Questo episodio ci aiuta quindi a fare chiarezza su un primo punto: la ricerca in ambito militare è necessariamente alimentata da segreti. Quando si parla di conflitti o sicurezza nazionale, il fatto di possedere – o non possedere – un’arma o una tecnologia è strettamente connesso alla segretezza. Questo chiarisce immediatamente che, anche quando un’innovazione generata da un conflitto è riproducibile in ambito civile, le necessità dell’ambito militare ne rallentano la diffusione in ambito civile.
Negli USA questo è particolarmente vero, perché l’Innovation Secrecy Act prevede che il Governo Federale abbia la facoltà di interrompere la diffusione dell’innovazione in ambito civile quando essa possa avere un impatto sulla sicurezza nazionale. E non stiamo parlando di una legge poco applicata. Secondo la rivista Wired, le innovazioni tenute segrete negli USA sono circa 5 mila. Nel caso di ARPANET gli scienziati si sono battuti per la diffusione di un’innovazione che poi si è rivelata rivoluzionaria, ma quali altre innovazioni sono chiuse in un cassetto nel nome della segretezza? E quali?
Per dimostrare che la spesa militare non è necessariamente generatrice di innovazione, anzi, Caruso ha riportato anche un altro episodio: quello dello schermo piatto. All’inizio degli anni ’80 il Pentagono si rende conto che la tecnologia dello schermo piatto è fondamentale per i radar e per altre macchine belliche, ma è pressoché prerogativa dell’azienda giapponese Sharp. Preoccupate della concorrenza asiatica, le forze armate americane decidono di finanziare delle aziende statunitensi per sviluppare questa tecnologia, ovviamente in cambio di segretezza. Dopo circa dodici anni, queste aziende decidono di rifiutare i finanziamenti pubblici, perché la chiusura dello scambio con imprese di altri paesi ha un effetto di depotenziamento sullo sviluppo tecnologico troppo importante.
Secondo Caruso, questo episodio dimostra come oramai nel privato si è raggiunta una tale innovazione e capacità di sviluppo, che ai militari conviene sempre meno drenare risorse pubbliche per chiudere gli scienziati nei laboratori. Quello che conviene anche ai dipartimenti di difesa è sempre più spesso il contrario: osservare ciò che avviene nel civile e adattarlo alle esigenze militari. Persino i citatissimi F35, in un certo senso considerati dei capolavori dal punto di vista dell’avanzamento tecnologico, sono frutto di questo meccanismo inverso e hanno preso in prestito dei sistemi di risveglio del pilota dall’ambito biomedicale.
In altre parole: la guerra necessita di segretezza e chiusura per limitare la vulnerabilità. La scienza e l’innovazione, invece, fioriscono là dove c’è comunicazione e scambio. Come a dire: in un mondo iperconnesso il perdente è colui che rimane chiuso, isolato.
Ma in che modo questo discorso si connette alla responsabilità nell’innovazione? Pensiamo ad esempio a quanto accaduto in Europa, dove un centinaio di esperti si sono riuniti e hanno chiesto di procrastinare l’adozione di armi a guida autonoma, cioè di sistemi bellici il cui sviluppo è in una fase avanzata, ma che pongono enormi problemi in termini di responsabilità e controllo. Se è vero che l’innovazione è la realizzazione dell’improbabile, essa ci pone di fronte a un dilemma sul rapporto tra sviluppo tecno-scientifico e controllo sociale (Dilemma di Collindrige). Nel momento in cui hai una tecnologia a uno stadio iniziale di adozione sei in grado completamente di controllarla, e di normarla. Dopo non sai come si svilupperà. Ma una volta che essa si è sviluppata e diffusa, i suoi effetti imprevisti sono meno controllabili. Il dilemma riguarda la prevedibilità dei processi, i tempi di sviluppo e l’innovazione, che per definizione si porta dietro un tasso di inconosciuto. Come risolvere questo dilemma?
Siamo di fronte a enormi scelte politiche. Sulla scienza e sull’innovazione. Ma anche sulla pace e sulla guerra.
Note:
1. Brauer, J., Caruso, R., 2013. Economists and Peacebuilding in R. Mac Ginty (a cura di), Handbook of Peacebuilding, Routledge, London, vol.11 pp. 147-158. (torna al testo)
2. Caruso, R. Economia della pace, 2017. Il Mulino editore, p. 20. (torna al testo)
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Alcune fotografie dell’evento:
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