Innovazioni, rischi e promesse della “nanomedicina”: le questioni giuridiche.
Nell’era della c.d. post-genomica, le nanotecnologie si distinguono per le importanti e promettenti novità ed innovazioni prospettate nella ricerca medica. Utilizzando l’espressione di autorevole dottrina italiana, è importante rendersi conto che «torna l’antica immagine dell’homo machine, e ad essa si affianca quella di un corpo come nanomachine» [Rodotà, 2006].
Definite dalla Commissione Europea come un modo di operare «trasversale», nanotecnologie e nanoscienze contribuiscono a sviluppare, in medicina, prodotti dalle più svariate funzioni diagnostiche e terapeutiche, ovvero prodotti che combinano le due, c.d. theranostics [Comunicazione della Commissione, Verso una strategia a favore delle nanotecnologie, COM(2004) del 12 maggio 2004, COM (2004) 338 def.].
Tale tipo di ricerca congiunta ha prodotto risultati di notevole interesse al punto tale da generare, anche grazie a sempre più ingenti investimenti di natura pubblica e privata, un nuovo ambito di studio identificato con l’espressione «nanomedicina». Sebbene la ricerca nonomedica sia per lo più in fase sperimentale, essa preannuncia una vera e propria rivoluzione in campo medico, in grado di apportare significative diminuzioni degli stati patologici, attraverso l’utilizzo di strumenti minimamente invasivi.
Ancora priva di una definizione legislativa, la nanomedicina viene identificata con i procedimenti di monitoraggio, riparazione, costruzione e controllo dei sistemi biologici umani a livello molecolare, procedimenti realizzati per mezzo di nanodispositivi e nanostrutture ingegnerizzate.
Applicazioni di questo tipo sono già numerose e, molto spesso, si presentano come versioni avanzate delle biotecnologie medicali. Tra queste: il lab-on-chip, strumento diagnostico che permette uno screening cellulare minimante invasivo; i sistemi di somministrazione mirata di farmaci (c.d. smart therapies); i dispositivi medici contenenti sistemi nanoelettronici; gli scaffolds, formati da nanostrutture, funzionali alla riparazione del tessuto; i dispositivi contenenti nanotubi e nanofibre di carbonio ed i nuovi materiali biocompatibili.
Mentre aumentano le tipologie dei nanomateriali e delle nanoparticelle (silicio, oro, argento etc.) impiegate in applicazioni biomediche, gli studi diretti a conoscerne gli effetti tossici sul corpo umano sono ancora pochi. La scienza ha dimostrato che, su scala nanometrica, la materia assume proprietà diverse e, per lo più, ancora ignote rispetto a quelle che caratterizzano gli stessi materiali su più ampia scala. Non sono, tuttavia, ancora disponibili evidenze, rilevanti e precise, circa i rischi per la salute legati all’ingestione, all’inalazione ed all’assorbimento di nanoparticelle [tra i tanti documenti vedi United States Environmental Protection Agency (EPA), Nanotechnology White Paper, EPA 100/B-07/001 February 2007; vedi anche “Perché il futuro non ha bisogno di noi” in questo sito].
L’impatto che tale condizione di incertezza può avere sul piano regolatorio è già oggetto di studio [Pariotti, 2010; McHale, 2009; Brownsowrd 2009; Dorbek-Jung, 2009; Guerra 2008 e 2011]. Sovente gli stakeholders, sia italiani che stranieri, si chiedono se il proprio ordinamento giuridico e quello europeo siano pronti per regolare la nuova tecnologia.
Analogamente a quanto avviene per le biotecnologie, le criticità principali consistono nella mancanza, o scarsità, di informazioni attendibili circa la probabilità del verificarsi di un danno.
L’agenda europea ha riconosciuto il problema ed ha promosso, per tempo, numerosi interventi regolatori. L’obiettivo è quello di accompagnare gli ingenti finanziamenti stanziati per la ricerca, con politiche attente a mantenere un elevato livello di protezione della salute dei consumatori e dei lavoratori.
Dalla lettura dei documenti europei – si pensi alla Risoluzione del Parlamento Europeo sugli aspetti normativi in tema di nanomateriali del 24 aprile 2009 – emerge, infatti, che l’attenzione prioritaria è rivolta alla gestione dei rischi, derivanti dall’impiego di nanomateriali e dalla manipolazione delle nanoparticelle. Mentre l’orientamento di massima è stato quello di mantenere la normativa già in essere adattandola, laddove si rende necessario a disciplinare le applicazioni nanotecnologiche.
L’impegno del legislatore europeo e della dottrina si sono concentrati sull’analisi delle conseguenze che l’impatto del rischio può avere nella fase ex ante, rispetto al momento dell’immissione in commercio di un prodotto innovativo.
Non è stata, invece, dedicata altrettanto considerevole cura allo studio dei potenziali effetti del rischio nella fase ex post della commercializzazione, al fine di esplorare quali regole di responsabilità civile interverrebbero a garantire un’idonea riparazione del danno eventualmente patito dal consumatore [Howells, 2009].
Le prime difficoltà, riscontrate nel regolamentare i nuovi prodotti biomedici, hanno origine interpretativa: si tratta, infatti, di prodotti, per natura, combinati, in quanto incrociano effetti meccanici, chimici, immunologici [Guerra, 2006]. Da ciò, ne consegue la difficoltà di classificarli e disciplinarli entro le categorie tradizionali di prodotti biomedici, il farmaco ed il dispositivo.
La questione interpretativa ostacola l’individuazione degli standard di sicurezza a cui il produttore deve conformare i suoi artefatti. E’ quest’ultima una condizione che influisce su tutto il ciclo di vita del prodotto: dai premarketing tests, necessari all’immissione in commercio dei prodotti, alla sorveglianza post-market ed all’impiego di metodi di tracciabilità industriale.
Tuttavia, non meno preoccupanti sembrano le questioni, finora poco esplorate, relative a ciò che avviene quando, nonostante il rigoroso sistema a garanzia della sicurezza, il rischio si materializza ed assurge a causa del danno.
In pratica, molto dipenderà dall’esatto stato delle conoscenze. Un aspetto di preliminare importanza su questo fronte riguarderà, infatti, la determinazione della difettosità o meno di un prodotto nella circostanza in cui, né il produttore, né il consumatore abbiano esatta conoscenza del rischio specifico che si è concretizzato. Assumerà, pertanto, molta importanza la differente caratterizzazione del rischio nelle singole fattispecie concrete.
In generale si può constatare che entusiasmo e preoccupazione dell’Unione Europea si esprimono fin dalla prima Comunicazione della Commissione del 12 maggio 2004 intitolata “Verso una strategia a favore delle nanotecnologie” e dal primo Action Plan 2005-2009, emanato dalla stessa Commissione il 7 giugno 2005. Tali linee guida sono permeate dall’obiettivo di integrare la dimensione etico-sociale nelle scelte decisionali da intraprendere e prospettano quali sono le aree del diritto maggiormente interessate dai cambiamenti attesi con lo sviluppo della ricerca nanomedica [vedi su questi temi il focus dedicato dalla Fondazione alle nanotecnologie, entro il quale assumono particolare rilievo il seminario di Sheila Jasanoff e l’intervista a Wiebe Bijker].
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(fotografia: Nanotech di Will Folsom da Flickr)
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