I timori si appuntano, in particolare, sulla possibilità che questi dispositivi non si disattivino in modo automatico (o quasi) una volta che il cliente lasci il perimetro del negozio –come invece viene dichiarato dalle aziende che li producono. In tal caso, essi consentirebbero di tenere traccia degli spostamenti della persona, soprattutto se quest’ultima avesse utilizzato per l’acquisto una carta di credito o uno strumento analogo, che permetta di associare le informazioni identificative del singolo oggetto etichettato col radiochip a una persona determinata.
A me sembra che l’allarme per la privacy non dovrebbe più di tanto essere legato al fatto che si possa venire a sapere che cosa è stato acquistato da una certa persona, perchè il problema è analogo a quello che si pone in innumerevoli altri casi già presi in esame in diverse sedi: a partire dalla carta di credito stessa– anche uno scontrino o un codice a barre lo permetterebbero.
Pertanto è senza alcun falso pudore che la VISA ha reso noto di volere servirsi dell’identificativo RFID come carta di credito.
Un problema di riservatezza che mi pare invece più consistente emerge in quella conseguenza dell’utilizzo dei radiochip che già fa intendere Bartoli col titolo del suo primo post in argomento: Sapranno dove sei. Infatti un radiochip è un tracciatore di un preciso prodotto che se associato a una determinata persona diviene tracciatore di quel ben preciso individuo, dei suoi spostamenti. Per associarlo a dati identificativi basta che il prodotto al quale esso è associato venga acquistato con un mezzo che implichi l’utilizzo di dati personali: per esempio una carta di credito o un bancomat.
Il radiochip, a differenza dell’etichetta con un codice a barre, individua un preciso prodotto. Lo scopo per cui viene utilizzato è infatti diverso da quello del codice a barre, perché serve per seguire i prodotti singoli. Dunque mi sembra che sia più in rapporto a questo profilo di utilizzo che dovrebbe essere sollevato un problema di privacy specifico, visto che seguendo il prodotto l’ “etichetta intelligente” permette anche di “pedinare” il singolo consumatore. Tuttavia, i termini dell’utilizzo legittimo mi sembrano individuabili senza troppe difficoltà: la stessa cosa avviene con le telecamere, quindi la soluzione in termini giuridici è di genere analogo a quella adottata per esse e consiste nell’informare preventivamente il consumatore che all’interno di un determinato perimetro egli viene osservato e, in altre parole, anche controllato.
Se poi si verifica un misuse, la questione è di diverso ordine, anche se è assolutamente comprensibile che l’allarme suscitato dai radiochip sia motivato proprio dalla pratica constatazione che sono le prestazioni della tecnologia ad aumentare i rischi di un suo misuse.
In conclusione, confermo che dal mio punto di vista ciò che dovrebbe essere soprattutto oggetto di attenzione è l’eventualità di un funzionamento (o di un utilizzo) difforme da quello dichiarato e ammesso: il radiochip dovrebbe essere inserito in elementi asportabili dal prodotto acquistato e dovrebbe essere possibile verificarne l’effettiva disattivazione.