La clonazione viene definita “riproduttiva” se volta a dare luogo alla formazione di un essere umano. Altrimenti viene definita “terapeutica”. Qualora l’embrione venga considerato “essere umano”, ricade nella definizione di “riproduttiva” anche la clonazione che dia luogo a un embrione (metodo “Dolly”). E’ chiaro, quindi, che i confini tra l’una e l’altra definizione derivano da sottostanti convinzioni etiche.
In altre parole, ammettere la clonazione, anche se meramente terapeutica, comporta ammettere la soppressione di un embrione per prelevarne cellule staminali. Ne deriva che per chi ritiene che l’embrione non sia da considerarsi “essere umano” la distinzione tra “riproduttiva” e “terapeutica” ha significato, mentre per chi non segue tale convinzione etica, la distinzione è priva di senso e, anzi, è fuorviante e pericolosa.
Il fatto è che un metodo per derivare cellule staminali da altre cellule senza passare dall’embrione, esiste: è il metodo TNSA descritto nella Relazione conclusiva della Commissione Dulbecco (v., qui, il Percorsonodo.gif (891 byte) dedicato), accettato anche da chi difende l’embrione. Il problema è che, a rigore, non può essere chiamato “clonazione”, tanto è vero che, più correttamente, viene definito “riprogrammazione cellulare” (*).
Dunque, chi è convinto che l’embrione è un essere umano e tiene conto del fatto che una “clonazione terapeutica” che non conduca alla formazione di un embrione non è clonazione in senso proprio, non può che ritenere che l’accostamento dei due termini “clonazione” e “terapeutica” sia inaccettabile: se non è possibile parlare in senso proprio di clonazione meramente terapeutica la tutela dell’embrione comporta il divieto assoluto della clonazione.
Per tale motivo il Progetto di legge approvato a fine luglio 2001 dalla Camera USA (vedi “Divieto di clonazione” nel relativo Percorsonodo.gif (891 byte)) vietava la clonazione “tout court”, cioè a prescindere dalle modalità e dai fini.
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(*) In parole povere, si tratta di riprogrammare il nucleo di cellule somatiche prelevate dal paziente, tramite il contatto con il citoplasma di un ovocita. Nel metodo TNSA, l’ovocita ricostituito non dà spontaneamente luogo allo sviluppo embrionale, poiché ciò può avvenire solo grazie a stimolazioni artificiali che lo forzano a svilupparsi in blastocisti (solo poche tra queste blastocisti hanno poi l’effettiva capacità di formare un embrione e quindi un feto se trasferite in utero).
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