Rassegna stampa
commentata da Vittorio Bertolini [ * ]

Maggio - Giugno 2001

Il conflitto di interesse nella scienza

Su Repubblica del 7 giugno nell'articolo "Quelle supersocietà unite contro i deboli", Giorgio Bocca esprime tutte le sue perplessità per l'affermarsi, secondo la sua opinione, di modelli sociali e politici incentrati sul profitto e gestiti dalle espressioni dei grande capitale, multinazionali, organizzazioni economiche sovranazionali, ecc. Nella stessa data, il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari, sotto il titolo "Il futuro è già qui", riporta il resoconto di una conferenza tenutasi a Modena e a cui hanno partecipato, con la moderazione di Vittorio Zucconi, Jeremy Rifkin e Umberto Eco.

Il filo che lega i due articoli, è che ambedue affrontano il problema dell'innovazione e della globalizzazione nell'ottica degli scenari. La logica che presiede alla creazione degli scenari è che si dà come già realizzato qualcosa che è solo vagamente possibile, ma spesso anche molto improbabile, e sulla base di queste ipotesi viene immaginato il futuribile. Si tratta senz'altro di un approccio accattivante, che proprio per l'assenza di ogni criterio di verificazione consente a tuttologi, opinionisti da talk show e quant'altri inesperti animano il sottomondo dell'informazione mediatica da un lato di solleticare nell'opinione pubblica il timore a confrontarsi con il nuovo, e dall'altro di creare l'illusione di essere partecipe di un grande discorso culturale.

Negli anni '60 John Kenneth Galbraith aveva coniato il termine "tecnostruttura" per indicare l'insieme dei rapporti che legavano gli interessi dell'apparato militare degli Usa a quelli dell'industria aero-spaziale e bellica. Lo scenario che oggi si propone è quello di una nuova grande alleanza che vede le multinazionali insieme agli uomini della ricerca scientifica, ma sempre con la finalità di conculcare i diritti e le aspirazioni della democrazia partecipativa.

Ma se negli anni '60 dietro la "tecnostruttura" sembrava far capolino il fantasma, in una forma più edulcorata, dei totalitarismi della prima metà del secolo, dietro la "tecnoscienza" si vuol lasciare intravedere il mito di Faust o di Frankenstein, dimenticando che la scienza moderna deriva i suoi paradigmi più dalle "sensate esperienze" di Galileo che dall'"ermetismo" di Paracelso ed i moderni laboratori di ricerca hanno poco da spartire con le botteghe alchemiche di Praga.

Perciò, più che confrontarci con il futuribile è necessario rapportarci ai problemi del futuro prossimo. Nell'articolo citato, ad un certo punto Rifkin afferma "Faccio un altro esempio. Il governo britannico ha concesso il brevetto al laboratorio che ha clonato la pecora Dolly che ora potrà clonare tutti gli esseri umani dal concepimento allo sviluppo neoplastico". Vale la pena ricordare quanto Ian Wilmut, l'inventore di Dolly ha scritto su Il Sole 24 Ore del 25 marzo: "Com'è fragile la mia Dolly". Se dobbiamo confrontarci con la scienza, teniamo conto allora della scienza vera e non di uno stereotipo mutuato da un qualche film futuristico.

Poiché la tecnoscienza ha assunto, anche nell'ambito della vita quotidiana, una rilevante importanza, è altrettanto importante avere verso i risultati dell'impresa scientifica un atteggiamento consapevole e responsabile, che sappia andare al di là dello schema "apocalittici o integrati", per cogliere, con spirito critico, in ogni singola innovazione pericoli e vantaggi, costi e benefici.

Ma se una volta, almeno per le persone dotate di una buona cultura di base, era abbastanza semplice comprendere e far comprendere che la relatività einsteiniana non era la versione scientifica di "ogni scarrafone è bello a mamma sua", per addentrarsi oggi nei meandri della meccanica quantistica e delle biologia molecolare occorre la guida di quei moderni mentori che sono gli "esperti".

Su "il manifesto" del 5 aprile, Rocco Quindici, nell'articolo Esperti, ma di chi?, denuncia che alcuni dei massimi esperti italiani, da Edoardo Boncinelli e Renato Dulbecco --che in un modo che vorrebbe essere ironico, ma che invece è solo di cattivo gusto, viene definito nazional-popolare-- per finire a Leonardo Santi, sono consulenti della Novartis. Non c'è affatto da scandalizzarsi se una grande multinazionale come la Novartis si avvale delle competenze di ricercatori come Dulbecco, Boncinelli ecc., tanto più che Quindici, per scoprire i rapporti di consulenza denunciati non ha fatto altro che esplorare, su quella bacheca pubblica delle modernità che è internet, il sito della Novartis. In margine mi sia concessa una piccola malignità: ho cercato la pagina "www.novartis.it/biotecnologie/esperti.htm" citata nell'articolo ma non ho trovato nulla. Non è che la Novartis, a seguito dell'articolo de "il manifesto" ha modificato il proprio sito? Se l'avesse fatto avrebbe contravvenuto a quella che è la regola fondamentale per superare il problema del conflitto di interesse nella scienza, e cioè la trasparenza dell'informazione. Su il Sole del 3 giugno è apparso l'articolo di Edoardo Boncinelli "Ogm? Una volta li chiamavano incroci"; sapere che Boncinelli è un consulente della Novartis può forse indurmi a riguardare le sue affermazioni con una certa attenzione (ma non a leggere in esso ciò che non vi è scritto), ma sapere che il suo rapporto con la multinazionale del farmaco ci è stato volutamente nascosto mi induce più che all'esercizio dello spirito critico (in senso popperiano) ad una certa diffidenza e a dare maggior credito al popolo di Seattle e alle affermazioni di Josè Bovè (confronta La Stampa del 12 giugno).

Ma a parte ogni facile scandalismo, il problema del conflitto di interessi nell'ambito della ricerca scientifica ci induce a chiederci se un ricercatore che esce dal laboratorio e utilizza la sua qualificazione professionale in un ambito pubblico --consulente governativo, componente di un comitato etico, redattore di una pubblicazione specializzata, o più semplicemente, opinionista della stampa quotidiana-- sia, come la moglie di Cesare, al di sopra di ogni sospetto.

Sul tema del conflitto d'interessi ho già svolto alcune considerazioni in un precedente commento per la Fondazione Bassetti. Ma se allora l'orizzonte visualizzato era quello di un conflitto di interessi in cui non era affatto chiaro il rapporto fra uomini di scienza ed industria privata, occorre ora esaminare quel tipo particolare di conflitto generato dall'interesse politico.

Sull'elettrosmog ha ragione Mattioli o ha ragione Veronesi (il manifesto del 10 aprile)? E quanto nelle ragioni dell'uno o dell'altro, rispetto ai dati scientifici, ha influito l'interesse elettoralistico o il desiderio di recuperare un rapporto politico con le gerarchie cattoliche? Per giudicare delle conseguenze dell'effetto dei gas - serra dobbiamo fare riferimento a quanto dicono l'esperto tedesco Ulrich Berner (Avvenire, 6 giugno) e il fisico italiano Franco Battaglia (Il Giornale, 8 giugno), o invece al documento di Ralph Cicerone e della National Academy of Science (L'Unita, 8 giugno - il manifesto, 8 giugno - La Stampa 8, giugno)?

Carlo Alberto Redi in un intervista all'Unità del 1° giugno, già dal titolo "Il rischio maggiore? Che tutto vada in mano ai privati" riafferma, non per la prima volta, una impostazione culturale che privilegia l'intervento pubblico come garante di una ricerca scientifica indipendente e autonoma rispetto agli "interessi" particolari. L'onestà intellettuale e morale di Redi è senz'altro al di sopra di ogni sospetto, ma non possiamo non chiederci quanto nella distinzione pubblico-privato vi sia di manicheismo ideologico e se veramente il problema del conflitto d'interesse possa essere risolto demandando la ricerca scientifica all'iniziativa pubblica. Infatti il controllo pubblico significa pure ingerenza della politica e se nell'articolo de "il manifesto" del 13 aprile "La matematica a volte è un'opinione", si fa riferimento a una realtà politica lontana e superata, non dobbiamo però neppure dimenticare che la madre degli imbecilli è sempre incinta. E infatti è di pochi giorni fa la notizia che da parte di alcuni politici si è riproposta la sperimentazione Di Bella (L'Unità 8 giugno).

Il rapporto fra scienza e politica viene esaminato da Pietro Greco su L'Unità del 9 giugno nell'articolo "Se il politico fa lo scaricabarile", in cui viene approfondito il tema della strumentalizzazione da parte della classe politica delle conoscenze scientifiche in funzione di interessi estranei alla ricerca. Il punto nodale delle considerazioni di Greco è il tentativo dei politici di cercare nella scienza un avallo a posteriori di decisioni prese prima per tutt'altri interessi. Visto che, come scrivono Bobbio e Viroli in "Dialogo intorno alla repubblica" (Laterza 2001) (confronta L'Unità del 1° giugno) il successo politico negli Usa (ma solo negli Usa?) dipende dalla capacità di finanziamento delle campagne elettorali, chi ci garantisce che dietro alla ritrosia di Bush nei confronti di Kyoto non ci sia l'intenzione di ripagare un favore alla lobby petrolifera texana?

Particolarmente interessante nell'articolo di Greco il tentativo di chiarire le regole della ricerca in una società democratica. Le verità scientifiche sono sempre incerte, il loro utilizzo pubblico deve essere perciò nell'ambito di un sistema di regole chiare e condivise. Una maggiore informazione su quelli che sono gli standard internazionali sulla sperimentazione (in quanti sanno cos'è un doppio cieco?) ci eviterebbero la rincorsa di un consenso politico basato sulla speranza e sulla disperazione dei malati neo plastici e dei loro terminali (vedi ancora sul caso Di Bella L'Unità del 6 giugno).

A chiusura di questo commento, non è del tutto inutile un richiamo all'articolo apparso su Il Messaggero del 13 aprile, "E, nel laboratorio, sotto la scoperta niente". In esso viene esaminato il sensazionalismo di un certo giornalismo --a volte, come nel caso Folkman nonostante il chiaro dissenso del ricercatore-- nei confronti dell'impresa scientifica. Indubbiamente di tratta di un aspetto marginale rispetto ai condizionamenti economici ed ideologici, ma se in molti casi il problema del conflitto d'interesse consiste nel trasmettere una informazione distorta, anche il sensazionalismo si pone come un elemento di discredito dell'attività scientifica favorendo quel clima di incomprensione fra opinione pubblica e ricerca scientifica. Clima distorto su cui allignano gli interessi, senza nessun conflitto, di guru e ciarlatani.

(20 giugno 2001)

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[*]Vittorio Bertolini (right-sfondochiaro.gif (838 byte)Scheda biografica) collabora con la Fondazione Giannino Bassetti

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