Conflitti di interesse nella scienza
Su " il manifesto" del 30 marzo Gianni Moriani ripercorre la vicenda del talidomide, un sedativo che agli inizi degli anni '60 portò alla nascita di migliaia di bambini focomelici. Una vicenda di insipiente criminalità che può essere esemplare del come a volte l'innovazione, quando non è accompagnata dal senso di responsabilità, da strumento di progresso diviene mezzo di dolore e di regresso.
Nella sua tragicità la vicenda del talidomide rappresenta un caso limite difficilmente ripetibile oggi, almeno in tutte le sue caratteristiche; poiché però, per dirla alla Brecht, la madre degli imbecilli è sempre incinta, vale la pena verificare se gli ingredienti che hanno contribuito al dramma del talidomide - ricerche di laboratorio approssimative, sottovalutazione ed occultazione dei dati negativi e per finire ricerca di consulenti che attraverso expertise compiacenti negassero l'evidenza empirica - seppure parzialmente tuttora sussistano.
Su Avvenire del 3 maggio Alberto Oliverio con un articolo dal titolo significativo "Conflitto d'interessi" analizza, a partire da uno studio di sociologia della scienza, come il conflitto di interessi sia una nuova dimensione dell'etica che assume una particolare rilevanza nella ricerca biomedica. La pratica scientifica non è sempre o solo competizione fra teorie ma anche (o soprattutto) fra ricercatori per accaparrarsi fondi, fama, prestigio, visibilità sociale ecc. Tutto ciò, unitamente al fatto che la ricerca scientifica e le sue applicazioni è sempre più coinvolta in processi commerciali, comporta un coinvolgimento anche economico: ad esempio, possedere azioni di un'azienda direttamente interessata a un particolare risultato, esserne consulenti, aver ricevuto finanziamenti di qualsiasi tipo e via dicendo. Sullo stesso tema "il manifesto" del 24 aprile, con l'articolo "Arsenico e vecchi trucchetti", Marco D'Eramo riprende dal Wall Street Journal alcuni casi che mostrano come esistano sempre esperti e competenti disposti ad avallare con la propria autorevolezza dati e soglie di tollerabilità indipendentemente da ogni rigorosa analisi dei dati.
Al di là dei danni materiali veri e propri che possono essere generati da un comportamento mercenario di un'autorità scientifica rimane il fatto che, poiché la complessità delle conoscenze rende impossibile al sapere comune districarsi fra ciò che è scienza e ciò che è scienziaggine, fra ciò che è dannoso e ciò che è innocuo, assistiamo ad una rivalutazione del principio ex autoritate. Sulla necessità appunto che l'autorevolezza di una affermazione richiede che la fonte, oltre a godere naturalmente del riconoscimento della competenza, risulti anche indipendente, ritorna Marina Forti su "il manifesto" del 23 maggio con l'articolo "La scienza del conflitto d'interesse" in cui analizza alcune questioni italiane. Quello che occorre sottolineare nell'articolo della Forti è la sottolineatura della chiarezza e della trasparenza.
Clonazione umana
Nell'ambito dell'irresponsabilità rientra anche l'atteggiamento di quei ricercatori che inseguono ad ogni costo la propria visibilità sulla base di ricerche non ancora completamente accettate dall'opinione pubblica e sulla cui innocuità la stessa comunità scientifica nutre dei dubbi. E questo avviene regolarmente ogni volta che viene riproposto il problema della riproduzione della vita umana.
Non possiamo non chiederci quali siano le motivazioni (interesse economico? un ego frustrato dal fatto che la ricerca sta seguendo strade diverse dalle proprie competenze? spirito di filantropia verso il desiderio di maternità indipendentemente e al di sopra di qualsiasi altra considerazione etica e di fattibilità scientifica?) che hanno indotto il prof. Severino Antinori ad annunciare di voler proseguire negli esperimenti di clonazione umana.
Sylvie Coyaud su Il Sole 24 Ore del 4 marzo, "No ai clonatori da talk show", e Mariuccia Chiantaretto su Il Giornale dell'8 marzo, "Scienziati Usa ad Antinori: "E' criminale clonare l'uomo"", illustrano come da varie fonti si nutrano profonde perplessità sulla clonazione umana, non tanto per questioni morali ma in quanto, come dice la Coyaud: "Il prodotto del package è tutt'altro che garantito".
Pur senza riferirsi direttamente al caso Antinori, Ian Wilmut, il creatore di Dolly, su Il Sole 24 Ore del 25 marzo sottolinea tutte le incertezze e i pericoli dei procedimenti di clonazione. Chi segue con preoccupazione le difficoltà che incontra la clonazione terapeutica non può non essere d'accordo con Wilmut quando scrive: "Chi propone la clonazione riproduttiva spaventa inutilmente l'opinione pubblica e getta discredito sulle ricerche promettenti per curare malattie gravi". Stefano Rodotà, su La Repubblica del 1° aprile "No alla clonazione umana ma non fermiamo la ricerca" cerca di riportare il dibattito alla giusta distinzione, anche sul piano giuridico, fra clonazione a fini riproduttivi e clonazione a fini terapeutici.
Su Il Corriere della sera del 5 maggio viene riportata la notizia dei 30 bambini (17 secondo altri articoli) impropriamente assimilati agli Ogm (si veda l'articolo di Boncinelli su Il Corriere della sera del 6 maggio scritto appunto per richiamare gli organi di informazione alla chiarezza terminologica, senza cadere nella tentazione delle titolazioni allarmistiche). Ma al di là dei titoli con cui l'argomento è stato affrontato dalla stampa quotidiana, qui ci interessa sottolineare l'aspetto più strettamente legato al tema della responsabilità e dell'irresponsabilità nella ricerca. Eleonora Porcu, dell'équipe di Carlo Flamigni (Corriere della sera, 5 maggio), Gilberto Corbellini (Il Sole 24 Ore, 6 maggio), Renato Dulbecco (La Repubblica, 6 maggio) e Edoardo Boncinelli (vedi sopra), pur con considerazioni differenti, e in un certo senso indifferenti sul piano etico, mettono in evidenza però i possibili rischi della nuova tecnica. Altri dubbi vengono espressi negli articoli di Marina Forti (il manifesto, 6 maggio), Antonio Polito (La Repubblica, 5 maggio) e Alessandra Farkas (Il Corriere della Sera, 5 maggio). Da un punto di vista metodologico tutti i dubbi espressi rimandano ad una sorta di principio di precauzione motivato. La sollecitazione ad approfondire le ricerche di laboratorio prima di proseguire sull'uomo nasce infatti non da un generico non sapere, ma da un non sapere che ha un'origine dalla conoscenza di possibili esiti avversi.
Sullo stesso argomento vale la pena di segnalare gli articoli di Giuseppe Sermonti ( Il Giornale, 21 maggio) e di Luca Landò (L'Unità, 7 maggio). Il primo pur esprimendo i dubbi riportati sopra si muove nella direzione della contrapposizione ideologica: "Queste ricerche non vanno, come è stato suggerito, riprese con più cautela. Vanno escluse per principio". Ma escludere (o includere) per principio significa astrarre da qualsiasi altra considerazione sulla beneficenza o maleficenza dei nostri anni, con buona pace della responsabilità individuale. L'articolo di Landò, che nel sottotitolo recita "la vicenda ha evidenziato la mancanza di controlli ma il vero organismo geneticamente modificato è il mondo dell'informazione" evidenzia come il problema dell'informazione, che è essenziale affinché le decisioni siano la conseguenza di un dibattito ampio e documentato, sia ancora piuttosto carente.
(26 maggio 2001)
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[*]Vittorio Bertolini (Scheda biografica)
collabora con la Fondazione Giannino Bassetti
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