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Questo dialogo risponde alla seguente
Domanda: Chi è stato ad avere questa bella idea!? -- Ambientazione -- «Uno dei dialoganti, quando era ragazzino, con il fratello ha voluto fare una sorpresa alla mamma: per cena, prima che lei rientrasse dal lavoro, a dimostrazione che stavano diventando grandi e autonomi, le avevano preparato una grossa frittata di cipolle. Lui, che era il più piccolo, aveva dettato la ricetta e il fratello grande aveva di fatto cucinato. Ma l'esclamazione della madre appena rientrata, rimase ambigua e misteriosa per loro: non avevano capito se era di ammirazione per la sorpresa, o di fastidio per la puzza e il disastro in cucina... Così, era rimasto indeciso se prendersi la responsabilità del fatto, scaricarla sul fratello o condividerla con lui, oppure inventare una storia che li discolpasse entrambi. I dialoganti meditano sulla frase della madre (e sulla responsabilità): Chi è stato ad avere questa bella idea!?» |
Due amici o fratelli, forse compagni di studio, o persone che si incontrano per caso; evidentemente hanno un mucchio di tempo e niente da fare. Tant'è che giocano.
Luigi: Ho un'idea. Facciamo un gioco.
Carlo: Che gioco?
L. Io dico una cosa e tu dici il suo contrario. Tutto.
C. Niente!
L. Caldo.
C. Freddo!
L. Silenzio.
C. Rumore!
L. Ordine.
C. Confusione!
L. Piccolo.
C. Grande!
L. Grande.
C. Mediocre!
L. Aspetta. non è giusto: se "grande" è il contrario di "piccolo", il contrario di "grande" deve essere "piccolo".
C. Non è vero. Quando hai detto piccolo ho pensato a un quaderno; quando hai detto grande mi è invece venuto in mente un eroe come Ulisse.
L. Forse hai ragione. Proviamo, allora: vero
C. Falso!
L. Falso.
C. Onesto! Come prima.
L. Come prima, ho capito. Allora. "io".
C. Io!
L. Scusa, non ho capito, come fa "io" a essere il contrario di "io". Una cosa non può essere il contrario di se stessa.
C. Già però quando hai detto "io" intendevi "tu", e io invece intendevo "io".
L. Però così sciupi il mio gioco.
C. Aspetta: se lo giochiamo insieme è il nostro gioco.
L. A me non piace più.
C. Va bene, allora provo io: intelligente.
L. Stupido!
C. Geniale.
L. Stupido!
C. Non vale, l'avevi già detto.
L. A me piaceva dire così. È il mio gioco.
C. Uffa. Chi ha avuto questa stupida idea?
L. Non ne ho la più pallida idea.
C. No, dico sul serio: tu hai proposto un gioco. Però le regole erano insufficienti. Insomma: l'idea c'era, ma dovevamo giocarlo per capire quali altre regole servivano. Allora chi ha inventato il gioco? Chi ha messo la prima idea o noi, ogni volta che cercavamo nuove regole?
L. Potremmo dire che non esistono giochi in astratto: che diventano veri solo quando qualcuno li gioca.
C. E che quando vengono giocati, tutto diventa più complicato.
L. Più semplice.
C. Ehi, stai giocando ancora?
L. No, dicevo sul serio: più semplice, perché non dobbiamo dire le regole, ma le scopriamo giocando. E poi l'idea era mia. E basta.
C. Aspetta: il tuo gioco, da solo, non voleva dire niente. Con le mie idee il gioco è diventato più interessante.
L. Vuoi dire che allora le idee non valgono niente? Che poi, arriva qualcuno, le mette in pratica, e si prende tutto il merito?
C. Sì e no. Voglio dire che se qualcuno costruisce insieme a te gli sviluppi di un'idea, questi valgono quanto l'idea stessa. Nel bene e nel male.
L. Come fai a distruggere un'idea?
C. Te lo faccio vedere. Rifacciamo il tuo gioco, dì qualunque cosa.
L. Gatto.
C. Niente.
L. Come niente?
C. Beh, il gatto fa un sacco di cose, il niente no.
L. Uhm. Sento puzzo di fregatura. Musica.
C. Niente.
L. Come, niente di nuovo?
C. Quando non c'è musica, può anche non esserci niente.
L. Ho capito: mi vuoi dire che se questa era la nostra prima partita, non avremmo mai giocato al mio gioco.
C. Al nostro gioco.
L. Sì, vabbeh, è la stessa cosa.
C. È quello di cui stiamo parlando, quindi non è la stessa cosa. Più o meno volevo dirti questo, ma volevo anche farti vedere come il tuo compagno di giochi può mostrarti un difetto evidente, un bug da risolvere.
L. E allora per te le idee non valgono finché non sono perfette?
C. No, semplicemente che le idee non basta "averle": bisogna anche "farle". Come i giochi.
L. Possibile.
C. Sicuro!
[ad libitum]
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