ovvero: il blog di Tommaso Correale Santacroce (pagina personale dell'autore)
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Perché questo blog si chiama
"Quel che poi un metal detector..." ?
Poi la notte, in quelle poche ore in cui l'aereoporto rimane chiuso, in cui le grandi sale restano completamente sgombre e gli altoparlanti restano silenziosi, i metal detector stanno come monoliti in fila e raccontano... [ continua ]
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Quel che poi un metal detector...
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20031107
Effetti speciali
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I. Carlo Rambaldi, famoso per la creazione del pupazzo di ET per l’omonimo film di Steven Spilberg, deve la sua arte, oltre che al suo gusto personale, agli studi approfonditi di anatomia umana, elettronica e meccanica. Nelle interviste si dichiara ancora fortemente legato alla disciplina attraverso cui è diventato noto in tutto il mondo, l’elettromeccanica; in questo campo si è imposta la sua creatività e conoscenza tanto da porre i propri diritti di copyright su alcuni meccanismi per il movimento di quadrupedi, esseri alati e espressioni facciali. Eppure sempre più spesso si trova a dover affrontare la domanda: “pensa che in futuro passerà all’utilizzo dei computer per la realizzazione delle sue creature?” Sostenendo che ancora oggi la realizzazione di scene al computer rimane più costosa della realizzazione di un modello reale animabile, Rambaldi lascia capire che si tratta di una modalità d’approccio completamente differente: sia a livello creativo, che di gestione della macchina produttiva, fino alla modalità di fruizione del pubblico. Elettromeccanica e simulazione al computer sono strumenti differenti per realizzare scene differenti. II. Un’opera d’arte è strettamente connessa al suo processo di costruzione. La tecnica con cui viene realizzata è la sua ossatura, in alcuni casi diventa addirittura l’elemento fondante il senso dell’opera. Nel caso dell’uso del computer nel cinema, ma anche nella stessa computer art, si è potuto notare come uno strumento giovane e già potente inizialmente prendesse la scena su altri significati: il fatto di usare quello strumento era una cosa così particolare che spesso sovrastava qualunque altra motivazione d’utilizzo. Era come avere un motore formula uno dentro una carrozzeria per go-cart. La sproporzione tra potenzialità dello strumento e capacità d’utilizzarlo era evidente. Ora che vi sono generazioni cresciute a stretto contatto con i computer e che si sono esplorate le possibilità più scontate, si possono vedere prodotti dove il computer è utilizzato là dove serve. Ci vuole del tempo e molto “utilizzo” per assorbire un nuovo strumento. Dal punto di vista fisico, l’abilità del corpo può arrivare a controllare ogni sua appendice artificiale in un tempo relativamente molto breve, ma la mente ha bisogno di un processo molto più complesso per assorbire una mutazione nella tecnica dell’espressione. III. Se la tecnica espressiva è veramente innovativa si può osservare un fenomeno particolare: scienziati e artisti si osservano e seguono con interesse le vicendevoli mosse. Immagino che i primi siano interessati ai portati evocativi di ciò che scaturisce dalle loro ricerche, i secondi cerchino di cogliere ogni possibilità per aggiornarsi, consci che ogni nuova tecnica porta con sé un carico di possibilità che le altre non hanno. Credo anche che gli artisti in molti casi spingano ricercatori scientifici a portare le loro scoperte o invenzioni verso sviluppi imprevisti. Non è per un caso che il Dipartimento di Ingegneria Chimica e Alimentare e il Dipartimento di Filosofia dell’Università di Salerno si siano alleati per organizzare un convegno dal titolo “Tecnologie e forme nell'arte e nella scienza”, ben presentato in questo sito nel blog Segnalazioni di Paola Parmendola. Attorno all’apporto artistico gravitano studi scientifici e filosofici, quasi che l’oggetto opera d’arte sia la forma concreta che permette la visione dell’esplorato, una zona media, non neutra, tra le possibilità tecniche e di significato. Visione tecnica e visione poetica s’inseguono e partecipano come una doppia elica.
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