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ovvero: il blog di Vittorio Bertolini (pagina personale dell'autore)

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Una nuova ottica per guardare allo sport
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L'articolo Attenzione alle nuove scarpe ripreso dalla rubrica Attualità della rivista Darwin di luglio-agosto, per un certo aspetto, ci riporta al tema dell'item precedente L'innovazione nello sport. Al di là del merito specifico dell'innovazione descritta nell'articolo: «L'ultima diavoleria sfoggiata è una tecnica nuovissima nel disegnare le scarpe dei calciatori per migliorare una serie di parametri quali l'aderenza al piede, la leggerezza della calzatura, l'irrobustimento asimmetrico della tomaia in corrispondenza dei punti di forza del piede quando si calcia il pallone. Una società inglese, la Prior2Lever, ha sviluppato una tecnologia che sembrerebbe in grado non solo di migliorare questi parametri, ma di costruire «addosso» al piede la calzatura come forse non è stato mai possibile in passato. Il piede del calciatore, ad esempio, viene scannerizzato per ottenere un modello digitale, poi si sottopone il piede a una serie di sforzi per avere un parametro di distorsione della forma e a partire da questi dati si realizza un calco. Una macchina utensile governata da un software appositamente sviluppato sarà poi in grado di costruire la coppia di scarpe in circa un paio d'ore. Per sviluppare questa tecnologia è stato coinvolto l'University College di Londra e per i materiali è scesa in campo addirittura una industria aerospaziale, la British Aerospace System». Mi pare importante sottolineare come, implicitamente, l'adozione di tecnologie innovative, a volte anche marginali, nella pratica sportiva, ma non solo, non sia contemporaneamente accompagnata da una uguale innovazione nei nostri schemi cognitivi. Infatti guardiamo ancora all'atleta come se fossimo ancora ai tempi delle panatenaiche, trascurando che l'impresa sportiva è il risultato sia di una interazione fra atleta e attrezzature, sia del condizionamento dovuto alle pratiche sociali. Così spesso vengono stilate classifiche o riportate cronostorie di record dove capita ad esempio che il risultato di 1 10"3 di Owen alle Olimpiadi di Berlino del 1936 venga paragonato ai 9"7 dell'ultimo recordman centometrista, trascurando che le modificazioni avvenute nel frattempo rendono improponibile ogni paragone. La bioetica ci ha insegnato che di fronte alle trasformazioni scientifiche e tecnologiche dobbiamo revisionare i nostri schemi etici, così dovrebbe essere parimenti opportuno riguardare i nostri schemi cognitivi.
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mercoledì, agosto 30, 2006  |
L'innovazione nello sport
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Chi guarda allo sport nell'ottica di Olimpia, difficilmente riesce a cogliere lo spirito dell'innovazione nell'attività sportiva. Fra un Dorando Petri che cade sfiancato a pochi metri dal traguardo nell'Olimpiade di Londra del 1904 e un Abebe Bikila che vince la maratona ai giochi olimpici di Melbourne del 1956 correndo a piedi nudi, la differenza riguarda solo il costume. Tralasciando, almeno per il momento, le ipotesi avveniristiche sull'uomo bionico, cioè integrazione del corpo umano con elementi artificiali, e guardando alla quotidianità degli sport che si avvalgono di strumenti e apparecchiature ad hoc, si osserva che sia la pratica sportiva che i risultati sono profondamente influenzati dall'innovazione tecnologica. L'articolo di Paolo Conti Strumenti di gloriaapparso su Nòva 24, supplemento de Il Sole 24 Ore dedicato a ricerca, innovazione e creatività, ha come argomento appunto il ruolo dell'innovazione tecnologica nelle varie discipline sportive. «Ci è bastato guardarci un po' intorno per trovare un numero sorprendente di iniziative imprenditoriali nate grazie all'applicazione della tecnologia alle discipline sportive più diverse: dalla vela al calcio, dall'hockey al ciclismo. Iniziative nate in piccolo, che senza la forza evocativa dello sport e le sue potenzialità economiche sarebbero probabilmente rimaste chiuse in un laboratorio.» L'articolo di Conti, oltre che per il valore documentario ed esemplificativo, è interessante nel momento in cui coglie la relazione fra innovazione nello sport e la sua ricaduta in ambiti più vasti. «Come avviene a Maranello, dove c'è un ufficio chiamato Technology Transfert che si occupa proprio di trovare la strada per trasformare le innovazioni delle Ferrari da competizione in soluzioni adatte alle auto destinate al mercato. Cosa che è già avvenuta con l'innovativo cambio al volante FI, il differenziale elettronico e alcune soluzioni aerodinamiche particolari.» L'altro aspetto da sottolineare è quello del rapporto non ideale fra mondo della ricerca (Università) e mondo imprenditoriale. «Il problema è che in Italia manca un collegamento effettivo fra le università e l'industria, che parlano lingue diverse e spesso non si capiscono», aggiunge Visconti (direttore di Technology Transfert). «Gli industriali contattano le università sperando di ottenere idee già pronte, ma quando si rendono conto dei tempi di implementazione spesso rimangono delusi e si ritirano sull'Aventino. Lo stesso vale per gli accademici, che sono convinti (sbagliando) che una volta trovata l'idea il 90% del lavoro sia fatto. Nel caso del cambio F1 ci sono voluti vent'anni per passare dal tavolo da disegno alle concessionarie: non tutti sono disposti ad aspettare tanto». In conclusione: «Il fatto è - spiega Alfonso Fuggetta del Cefriel- che le tecnologie capaci di migliorare lo sport non mancano certo. Il problema di noi italiani è che sottovalutiamo l'information technology». «La chiave per innovare sono le persone», aggiunge Amedeo Visconti della Ferrari. «Di strutture che distribuiscono l'innovazione in Italia ne sono state create tante, ma non sempre con successo. Perché le idee possano trasformarsi in prodotti ci vuole soprattutto umiltà. Da entrambe le parti».
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mercoledì, agosto 16, 2006  |
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