Rassegna stampa del sito della Fondazione Bassetti  

ovvero: il blog di Vittorio Bertolini (pagina personale dell'autore)

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 Medicina: arte o scienza ?

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«Ma la medicina è davvero una scienza? O è una pratica basata su scienze? E il suo oggetto non è forse soggetto? E il sapere di questo soggetto è o non è fonte di conoscenza oggettiva? E il patire che lo rende paziente è un dato soggettivo dal quale prescindere o di cui tener conto?»

Così scrive Giorgio Cosmacini (Il Corriere della Sera, 20 gennaio, "Medicina, i confini di una scienza morale") in una breve recensione del libro "L'Etica medica nello Stato liberale" (Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Venezia, pagine 242, 26 euro) di Giovanni Felice Azzone, medico, patologo generale, promotore di ricerca biologica, accademico linceo.
In particolare Azzone analizza il nodo fra il "modello bio-psicosociale" della medicina e la "difesa dell'epistemologia scientifica della medicina".
E' vero che:
«i medici dovrebbero prendere in considerazione lo stile di vita, le interazioni sociali, le condizioni economiche, gli ambienti, le aspettative culturali e le reazioni psicologiche ed emotive dei loro pazienti».

Occorre d'altra parte considerare che questa concezione soggettivistica è stata:
«largamente contrastata dalla scienza medica poiché, scrive Azzone, "la fondazione della medicina scientifica sulla conoscenza oggettiva" esclude dall'ambito del suo sapere "la conoscenza medica di natura soggettiva" che è "preclusa alle scienze naturali" cui la medicina per statuto appartiene.»

Di qui perciò le domande cruciali:
«Ma la medicina è davvero una scienza? O è una pratica basata su scienze? E il suo oggetto non è forse soggetto? E il sapere di questo soggetto è o non è fonte di conoscenza oggettiva? E il patire che lo rende paziente è un dato soggettivo dal quale prescindere o di cui tener conto?»

A queste domande Azzone dà risposte ad alto livello che spaziano dal:
«conflitto ideologico e morale come insufficienza di comunicazione alla moralità del rispetto reciproco e dell'integrazione del giusto con il bene».


domenica, febbraio 22, 2004  

 Differenze culturali e innovazione tecnico-scientifica

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In una Rassegna Stampa dell'aprile 2002 mi sono soffermato sul come i problemi etici dell'innovazione tecnico-scientifica fossero recepiti in modo diverso a seconda del contesto socio-culturale (nel caso specifico la ricerca biogenetica in Cina): vedi I fantasmi di Frankenstein non appartengono all'immaginario cinese.
Su Avvenire dell'8 gennaio, nell'articolo "Giapponesi artificiali", partendo dalla domanda "Come mai i giapponesi sembrano avere più familiarità di noi occidentali con i robot? Perché, in una parola, li accettano meglio" Daniele Lepido ha illustrato come il tema della differenza culturale di fronte all'innovazione tecnologica è stato discusso a Parigi, alla casa della Cultura del Giappone, all'interno della manifestazione "Uomini e robot, tra utopia e realtà".
Frederic Kaplan ricercatore nei laboratori di computer science della Sony parigina ha sostenuto che:
«Gli europei sono più imbarazzati di fronte a robot umanoidi degli abitanti del Sol Levante perché i due popoli hanno una concezione diversa di umanità, dell'essenza dell'uomo, che deriva anche dal loro diverso retaggio religioso».

Per Kaplan, infatti:
«la tradizione giudaico-cristiana, che porta con sè il concetto di uomo come creatura-creata dalla divinità, è il primo ostacolo all'accettazione e quindi alla produzione di androidi. Nello shintoismo, invece, la religione storica del Giappone, non esiste la creazione ex nihilo.... per i nipponici naturale e artificiale non sono in contrasto».

Quest'ultima affermazione, distinzione fra naturale e artificiale, va, a mio parere, sottolineata.
Infatti al di là di quello che ci ha insegnato Leopardi (Dialogo fra la natura e un islandese), secondo una certa vulgata, a cui non sa sottrarsi nemmeno una mente raffinata come Habermas (si veda su questo sito Rassegna stampa su Habermas e "Il futuro della natura umana: i rischi di una genetica liberale"), il naturale, al contrario dell'artificiale, proprio perché determinato da processi casuali è intrinsecamente etico.
L'opinione di Kaplan non è però condivisa da Aaron Sloman, docente di intelligenza artificiale e scienze cognitive all'Università di Birmingham, che afferma:
«Non sono per niente convinto che i popoli del Vecchio continente abbiano un disagio maggiore dei giapponesi verso i robot, o che siano meno interessati a questi progetti. Anzi, credo che si tratti di una generalizzazione un po' grossolana. Personalmente sono più interessato al funzionamento di una cosa e non tanto alla sua origine e certo non ho paura dei robot. I veri mostri, in certi casi, sono proprio gli umani. Basta leggere i giornali e guardare la tv...».

A sua volta Marco Gori, professore presso il dipartimento di Ingegneria dell'informazione dell'Università di Siena e presidente dell'Associazione italiana intelligenza artificiale:
«La maggiore disponibilità della cultura giapponese rispetto alla nostra a "ospitare" androidi si manifesta soprattutto nella disponibilità di finanziamento verso questo tipo di ricerche. Non credo invece che nel ricercatore la fede e la cultura giudaico-cristiana possano imbrigliare il desiderio di esplorare, di porre domande per carpire i segreti della creazione e replicarli nelle macchine. Non credo, insomma, che la religione possa circoscrivere il dono della razionalità».

Mi sembra opportuno notare che mentre Kaplan parla della cultura diffusa, Sloman e Gori si riferiscono alla loro sensibilità di ricercatori, tra l'altro specialisti del settore.




martedì, febbraio 03, 2004  
Fondazione Bassetti -- Informazioni e contatti Questa Rassegna stampa appartiene al sito della Fondazione Giannino Bassetti: <www.fondazionebassetti.org>

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