ovvero: il blog di Vittorio Bertolini (pagina personale dell'autore)
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Longo e il simbionte
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Giuseppe O. Longo è autore noto a chi da un po' di tempo visita questo sito. Si veda ad esempio il forum e il seminario da lui condotto (10-15 febbraio 2003) su "Progresso e responsabilità: il passaggio dalla scienza alla tecnologia". E' ora in libreria il suo ultimo lavoro: «Il simbionte. Prove di umanità futura» (Meltemi, pagine 262, euro 20,50), in cui Longo approfondisce il tema dell' homo technologicus, che da sempre si trova in un inscindibile rapporto con i suoi stessi manufatti. Il libro è stato recensito in un breve redazionale di Avvenire del 21 settembre "Ricchezze e rischi della vita in simbiosi con la tecnologia". Come scrive l'estensore della nota editoriale, Giuseppe O. Longo: «con "Il simbionte" ci offre l'immagine di una singolare figura "che porta sulla fronte il simbolo di una piastrina di silicio o la piastrina stessa impiantata"; senza bocca e con gli occhi appena accennati, è l'avvio di una ricerca che muove dalla riflessione storica sullo sviluppo della tecnica e giunge al confronto, spesso conflittuale, tra l'uomo e il computer».
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mercoledì, ottobre 29, 2003 |
Quando la politica vuol fare scienza
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«Queste intrusioni dell'Europarlamento in questioni puramente scientifiche, per di più con toni tanto perentori, spingono l'eurodeputato Ds Massimo Carraro a dire che "siamo di fronte a un precedente pericoloso e che a forza di seguire Liese si rischia di tornare a Lysenko"». Questa citazione è stata tratta da un articolo di Anna Meldolesi apparso su Il Riformista del 10 ottobre con il titolo "Lo zar della bioetica che comanda a Bruxelles". L'articolo in questione tratta del dibattito in corso al Parlamento europeo relativo al finanziamento della ricerca sulle cellule staminali; in pratica sull'utilizzo o meno degli embrioni sovrannumerari criocongelati. Si tratta di una problematica oltremodo controversa, dove al di là del merito scientifico, intervengono considerazioni di natura sociale, morale, filosofica e religiosa. Una problematica che in sè stessa esula dai temi di questa rassegna stampa. In questa sede, perciò non interessa tanto approfondire il discorso bioetico, ma vedere come il politico si pone di fronte ai problemi della ricerca scientifica in generale. Se per un verso è legittimo che i politici si interroghino sui risvolti etici delle loro decisioni, è per lo meno discutibile che queste si possano giustificare riferendosi ad una oggettività scientifica che molte volte non esiste. In particolare, l'articolo citato mette in risalto come il relatore designato dal PPE, Peter Liese, abbia introdotto nel testo originiario, predisposto dal Commissario alla ricerca Busquin, emendamenti in cui la ragione scientifica, con tutti i suoi distinguo e le sue incertezze, viene strumentalizzata in funzione della ragione politica. «Uno degli emendamenti di Liese afferma che "non esiste alcun argomento convincente a sostegno dell'affermazione secondo la quale le cellule staminali già esistenti non sono sufficienti per portare avanti la ricerca"» Leggiamo ancora nell'articolo della Meldolesi: «Che dire per esempio del tentativo di ghettizzare lo studio delle staminali embrionali sottoponendo i relativi progetti di ricerca alla valutazione di un organismo ad hoc in cui almeno il 50% dei membri sia estraneo alla ricerca sulle staminali embrionali? Per non parlare della richiesta che i singoli progetti vengano finanziati solo se gli scienziati hanno raggiunto un accordo indiscusso - ma nella scienza non si smette mai di discutere - sul fatto che non esistono strade alternative». Per quanto riguarda, come si legge all'inizio di questo item, il riferimento a Lysenko, il genetista che, al tempo di Stalin, affossò la genetica russa volendo assoggettarla alle teorie del materialismo dialettico, è decisamente troppo forte. Infatti Liese vuole solo proibire alcune linee di ricerca sulle cellule staminali, e non mandare gli scienziati dissidenti in qualche gulag. Tuttavia --a mio parere-- l'intrusione della politica nel dibattito scientifico non fa bene nè alla scienza, nè alla politica. Vedi, nel sito FGB il dibattito " Conflitti di interesse nella scienza: parliamone", collegato al Percorso omonimo. Si veda anche, sul sito dell'Enel, " Lysenko, scienziato staliniano"
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martedì, ottobre 21, 2003 |
Comunicazione scientifica e attivismo politico
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Se la scientific governance riguarda il ruolo degli scienziati in tema di decisioni pubbliche, non possiamo non prendere in considerazione il modo in cui un ricercatore comunica i risultati del proprio lavoro. Infatti ogni volta che uno scienziato si esprime attraverso una rivista specializzata non solo fa opinione verso il grande pubblico ma, probabilmente proprio perchè fa opinione, influenza le decisioni politiche in tutti quei settori della vita pubblica che sono toccati dalle sue ricerche. Non è, perciò, fare della dietrologia chiedersi se, a volte, la comunicazione scientifica sia determinata anche da motivazioni non scientifiche. Nei due articoli riportati in calce e pubblicati, senza indicazione dell'autore, su Il Riformista vengono riportati alcuni casi che rimandano, appunto, al come l'attivismo politico possa essere influenzato dalla, e influenzare, la comunicazione scientifica. 12 settembre - Science e Nature sotto accusa per conflitto di interessi tra libera ricerca e business Science e Nature sono finite nel mirino di una organizzazione dal nome altisonante: il Center for Science in the Public Interest (Cspi). L'accusa? Le loro policies sul conflitto di interessi non sarebbero all'altezza della situazione e non tutti gli articoli pubblicati dalle due riviste scientifiche più influenti del mondo sarebbero corredati dalle opportune postille su eventuali legami fra gli autori e il mondo del business. Ma l'intera vicenda ricorda la vecchia storia del bue che dice cornuto all'asino. Denunciare il connubio tra scienza e mercato è una moda dilagante ormai negli ambienti politicamente corretti: si è affermata come la mania del nuovo millennio. Di più, per il Cspi e decine di altre organizzazioni è diventato un utile stratagemma per guadagnarsi la ribalta mediatica oltre che una comoda scusa per scartare dati scientifici solidissimi ma in conflitto con la propria filosofia politica. Basta insinuare il dubbio che fra gli autori dello scomodo studio ce ne sia uno che 10 anni prima ha collaborato con industria. Magari vanta anche una lista di pubblicazioni da fare invidia a un premio nobel, ed è considerato un'autorità assoluta nel suo campo, ma cosa volete che conti: lo scienziato ormai è blacklisted. Il Cspi ospita persino sul suo sito web un motore di ricerca per smascherare gli scienziati collusi o presunti tali. Peccato che il centro sembri assai meno interessato a denunciare i conflitti di interessi di diversa natura, per esempio quello tra scienza e mondo dell'attivismo che ha caratterizzato alcune delle bufale scientifiche più grosse dell'ultimo decennio. Come il lavoro di Ignacio Chapela sulla contaminazione genetica del mais messicano, pubblicato e poi ritirato da Nature con grande clamore. E peccato che vada ancora meno di moda indagare su certi perversi legami tra attivismo e industria. Se lo si fa, per esempio utilizzando il motore di ricerca Activist Cash, si scopre che anche il Cspi ha i suoi scheletri nell'armadio. L'organizzazione fondata dall'attuale direttore Michael Jacobson insieme a due avvocati del Center for the Study of Responsive Low di Ralph Nader è diventata famosa per le sue crociate contro quasi tutto ciò che c'è di nuovo (dai soft drink alle patatine fritte), ma per molte di queste campagne ha ricevuto finanziamenti dall'industria. Il peso del peccato evidentemente dipende dal nome del peccatore. 20 settembre - Riviste scientifiche in ecstasy. Troppe pressioni politiche e fame di scoop a tutti i costi Mettete due scienziati insieme al bar e con ogni probabilità si scambieranno battute al vetriolo sulla politica editoriale delle riviste scientifiche, sempre più tentate dalle sirene dello scoop. Ripetete l'esperimento con due farmacologi e la conversazione finirà sullo scandalo che sta investendo Science in questi giorni. Due anni fa la rivista dell'American Associatìon for the Advancement of Science (Aaas) ha rilanciato il rischio ecstasy pubblicando un lavoro apocalittico Severe Dopaminergic Neurotoxicity in Primates After a Common Recreational Dose Regimen of MDMA ("Ecstasy") : una dose pari a quella assunta in una sola notte di sballo sarebbe bastata a uccidere 2 scimmie su 10 e danneggiare i neuroni che controllano movimento ed emozioni nelle altre. Molti specialisti avevano sentito puzza di bruciato fin da subito: i giovani che consumano ecstasy ogni weekend sono decine di milioni, possibile che un'ecatombe di queste proporzioni sia passata inosservata? Dobbiamo davvero attenderci un'epidemia di Parkinson? Poi finalmente è arrivata la risposta: George Ricaurte della Johns Hopkins University non è più riuscito a riprodurre i propri risultati e si è accorto di aver commesso un grossolano errore: a causa di uno scambio dì etichette le scimmie non erano state trattate con l'ecstasy ma con lo speed, che notoriamente danneggia i neuroni di dopaminergici. Il lavoro dì Science perciò è stato ritirato, e pare che altri studi pubblicati da Ricaurte su riviste minori faranno la stessa fine. Tutto a posto dunque. Niente affatto. L'allarme generato dal lavoro incriminato ha dato benzina alla campagna proibizionista, soprattutto in Usa, aiutando il passaggio del cosiddetto Anti-Rave-Act. E poi su Science continuano ad addensarsi nuvole di tempesta. Grandi nomi del mondo scientifico che avevano contestato da subito gli strani risultati - tra cui Colin Blakemor del Medical Research Council - non si limitano a sollevare la domanda di rito: com'è possibile che un simile studio abbia superato la peer-review? Ma pretendono una risposta, chiedono che Science pubblichi i giudizi dei reviewer che hanno esaminato e promosso il manoscritto. E c'è anche chi solleva dubbi sull'indipendenza politica del National Institute of Drug Abuse che ha finanziato il lavoro e dei vertici dell'Aaas che l'hanno difeso. Le responsabilità individuali restano tutte da provare ma un fatto è certo: le pressioni politiche e lo scoopismo partoriscono cattiva scienza. Questa potrebbe essere l'ennesima dimostrazione.
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mercoledì, ottobre 01, 2003 |
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