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Democrazia deliberativa: Bosetti, Amato, Enzensberger, Lehmann
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Sulla rivista Reset attualmente in libreria viene riportato un dossier che ha come tema la democrazia deliberativa. Repubblica del 19 luglio riporta un ampio stralcio dell'articolo del direttore di Reset Giancarlo Bosetti, "Tutti insieme per ragionare appassionatamente". Già in un item precedente di questa rassegna, Democrazia e sondaggi. Il "metodo Fishkin", si è esaminata la sostanza della democrazia deliberativa; nell'articolo di Bosetti è da sottolineare l'accentuazione del concetto di democrazia deliberativa come metodo per favorire l'informazione consapevole. «Per capirsi su quel che è, bisogna anzitutto mettere in chiaro una questione linguistica: in inglese, to deliberate, ha un significato diverso che deliberare in italiano, dire esaminare attraverso una discussione i pro e i contro di una scelta, prima di decidere. Il significato italiano mette invece l'accento sul dopo, sul decidere. E questo fa una bella differenza». E', però, riduttivo considerare la democrazia deliberativa un metodo: «Il dialogo razionale tra eguali è alla base della concezione deliberativa, della democrazia. Questa affermazione potrebbe essere sottoscritta da una lunga lista di autori: John Rawls, Ioshua Cohen, Iris Mariom Young, Bruce Ackerman. Tutti americani, ma ci si potrebbe aggiungere, e forse in testa, il tedesco Jürgen Habermas». Se i fondamenti di una democrazia basata sul dialogo hanno una lunga genealogia, la novità della democrazia deliberativa nasce anche da: «un altro gigantesco fenomeno: la trasformazione delle opinioni pubbliche, il passaggio dall'era "tipografica" a quella della politica-videoclip : l'accelerazione della comunicazione, il montaggio dei telegiornalí con battute di sette-dieci secondi dei politici, dei commentatori, degli speaker. Nessun problema in queste condizioni può essere approfondito dal pubblico». Nella stessa edizione di Repubblica vengono riportati tre brevi interventi, rispettivamente di Giuliano Amato, Hans M. Henzensberger e Karl Lehmann, che in questa sede vengono riportati, qui sotto,integralmente. Giuliano AmatoSE LA SCIENZA DECIDE DA SOLA Io credo che lo scienziato non possa esser lasciato solo a decidere quando sta facendo ricerca applicata, è solo lo scienziato che può e si deve porre il problema degli effetti che produce sugli altri perché il legislatore non ne sa niente; ma per quanto riguarda gli embrioni, la clonazione, lo scienziato deve dialogarne nel sistema democratico. E qui devo dire che non sempre il sistema democratico è migliore della Chiesa che colpì Galileo, perché un sistema democratíco, se è una maggioranza che impone le sue idiosincrasie, può essere non meno pericoloso di quanto fu per Galileo l'istituzione che lo fermò a suo tempo. Quindi, quando parlo di dialogo democratico intendo qui la democrazia al suo meglio e non la volontà della maggioranza: intendo equilibrio, rispetto dei diritti e non solo "chi ha più voti decide perché ha ragione". Ma certo, una discussione è necessario che ci sia. Hans M. EnzensbergerLA RICERCA E LE ESAGERAZIONI Mi ricordo dei tempi in cui l'energia atomica era considerata la soluzione a tutti i mali del mondo. (... ) Nel frattempo si è avuta una maggiore consapevolezza del problema. Forse si può aggiungere che non solo i cosiddetti ciarlatani e le pecore nere si macchiano di tali esagerazioni: ci sono anche istituti rinomati, come il Massachusetts Institute for Technology ad esempio o Stanford, o anche biologi molto radicali, da noi a Bonn, che promettono l'immortalità. E' una bella pretesa! A mio parere, nell'ambito scientifico esiste una carenza di volontà di confrontarsi con queste e sagerazioni. Sono dell'opinìone che esista anche un problema di democrazia. Sistemi come la scienza o l'arte non sono organizzati in modo democratico: non si può decidere per alzata di mano cosa è arte e cosa no, e cosa è scienza tanto meno. In altre parole, la logica interna di istituzioni come l'arte o la scienza è intrinsecamente immune alla democrazia.Karl LehmannQUAL E' IL PREZZO DEL PROGRESSO Qual è il prezzo di un progresso sostenibile? Se è vero che gli embrioni hanno uno status morale, hanno il diritto di essere e restare persone, allora si pone la domanda se sia lecito in nome di un progresso forse possibile, forse addirittura reale, uccidere deliberatamente la cifra x di embrioni. (...) La società non può risolvere queste questioni attraverso dei decreti, di qualunque parte essi siano, nemmeno di parte ecclesiastica. Ci si deve invece inserire in un dialogo: non è un caso che in una materia così delicata sia stato raggiunto un limite, laddove i Parlamenti avrebbero potuto decidere compiendo magari scelte politiche. Per questo in Germania l'istituzione del Consiglio etico nazionale ha inaugurato nuove forme di consulenza politica: ma d'altra parte vediamo anche che questi organi sono politicizzati e non possono essere soltanto espressione di un'etica: in questa direzione è pertanto necessario il dialogo dell'intera collettività.Su Hans Magnus Enzensberger vedi in Mediamente (Rai) " Hans Magnus Enzensberger" e, nel sito della Fondazione Bassetti: " Hans Magnus Enzensberger". Su Karl Lehmann vedi, nel sito del Vaticano: " Karl Lehmann". [ Si veda anche l'item di questa Rassegna "Scelte della scienza e scelte della società" (4 aprile 2003) -- 30 luglio 2003, G.M. Borrello ]
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martedì, luglio 29, 2003 |
Fine del progresso lineare: intervista a Bodei
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Nell'intervista a Remo Bodei, "Geometrie del futuro", apparsa su Il Mattino del 14 luglio a firma Salvo Vetrano, in occasione di una serie di lezioni tenute a Napoli, all'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici intitolate "Pensare il futuro" leggiamo: «Dalla caduta del muro di Berlino alla dissoluzione dell'impero sovietico e all'attacco alle Torri Gemelle, il futuro è diventato sempre più opaco, si è rivelato imprevedibile, pieno di sorprese. Il tempo non è più pensabile come il procedere lungo una retta. [...] Non possiamo più immaginarci di seguire una retta in cui s'era inserita, nella moderna civiltà occidentale, l'idea della necessità di un progresso» Ciò comporta la dissoluzione del mito illuminista di un progresso continuo e illimitato. «Da quando cominciarono a sparire in Europa le grandi malattie epidemiche e a diffondersi nuove tecniche agricole. Via via, con la vaccinazione antivaiolosa, con i fratelli Montgolfier che nel 1783 conquistarono simbolicamente il cielo, si è sempre più diffusa l'idea che l'uomo potesse progredire illimitatamente, senza neanche l'aiuto di una provvidenza». Ma se il progresso non scorre più in un tempo linearmente definito, si accentua, per Bodei, la necessità di confrontarsi con le prospettive del futuro in modo non episodico. «Non possiamo farci illusioni sul futuro se non si affronteranno sul serio quattro grandi emergenze: quella demografica, quella di un'economia globalizzata che sfugge a ogni attuale previsione e regolazione, quella dello sviluppo tecnologico, in particolare per le biotecnologie, e quella dell'ambiente. L'accelerazione del tempo quotidiano, altra trasformazione che ha subito il tempo nella nostra epoca, spinge spesso invece i politici ad operare giorno per giorno, senza visioni di lungo periodo». Su Remo Bodei vedi il sito Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche
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giovedì, luglio 24, 2003 |
Coinvolgere i non esperti?
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In un item precedente, " Democrazia e OGM: un'intervista alla biologa Mae-Wan Ho", si è parlato di un articolo sull'iniziativa britannica GM Nation. «Per sei settimane uomini e donne della porta accanto dovrebbero discutere tra loro per poi compilare un questionario che dovrebbe contribuire alla decisione del governo dì aprire o meno le porte agli organismi transgenici». Così descrive l'iniziativa del governo britannico Anna Meldolesi su Il Riformista del 20 giugno nell'articolo "La scienza partecipativa ? Un bluff". A differenza di Mae-Wan Ho, le cui critiche erano più che altro rivolte al modo in cui l'iniziativa si è svolta, le critiche della Meldolesi investono la filosofia stessa dell'iniziativa: «D'accordo, la gente deve avere voce in capitolo. Ma tanto per cominciare siamo sicuri che abbia davvero voglia di dire qualcosa? Se si presta fede ai resoconti della stampa britannica i cittadini qualsiasi non hanno fatto la fila per partecipare agli incontri, segno che l'interesse dell'opinione pubblica per il dibattito sugli Ogm è sovrastimato. A questo riguardo l'Economist ricorda che nel 2002 il 41 % dei britannici ha affermato di condividere l'affermazione: "La distinzione tra prodotti Gm e Gm free non mi interessa". E chi conosce i sondaggi sulle biotecnologie [ndr: si veda l'esempio (*) qui in calce] sa che non si tratta di dati anomali né per la Gran Bretagna né per l'Europa. Se [da un lato] casalinghe e impiegati hanno disertato l'appuntamento, [dall'altro lato] si sono puntualmente presentati i militanti anti-Ogm di professione, decisi a rappresentare l'opinione pubblica. Ma questo è un classico del genere "scienza e democrazia", si finge di discutere dei dubbi della gente comune, mentre in realtà si parla delle tesi dei gruppi di pressione» [...] E poi siamo davvero sicuri che questo genere di consultazioni siano il sale della democrazia? In questo caso le persone coinvolte hanno dimostrato di avere le idee confuse al punto da non distinguere scienza e fiction. D'altra parte, alla fine del proprio articolo la Meldolesi deve ammettere che in assenza di appropriati metodi di consultazione dell'opinione pubblica, il decisore politico opera sotto l'influenza dei gruppi di pressione, siano essi di derivazione ideologica o facciano riferimento ad interessi economici: «Hanno ragione Greenpeace e Friends of the Earth: la consultazione nazionale è una commedia, perché le decisioni saranno prese altrove, a Downing Street e a Bruxelles». Riguardo al coinvolgimento dell'opinione pubblica su questioni abbastanza complesse dal punto di vista tecnico scientifico riportiamo, qui un intervento apparso nel forum recentemente promosso nell'ambito della trasmissione di Radio 24 "Il volo delle Oche", raggiungibile nel sito del programma (il tema è quello della sperimentazione sulle cellule staminali e l'autore dell'intervento è Aroldo Mariani - titolo "Wittgenstein"): «Ma, ora mi chiedo, che senso ha voler conoscere l'opinione di un ignorante? Ovvero: perché stare ad ascoltare la voce di un non addetto ai lavori? Per l'amor d'iddìo, non è che voglia riservare agli happy few il diritto a manifestare opinioni, solo che preferisco di gran lunga stare ad ASCOLTARE chi ha scienza e validi argomenti, e a mia volta eventualmente parlare delle cose di cui mi occupo e che conosco». In ultima analisi per avviare una discussione consapevole è necessario conoscere. Con ciò intendo dire, però, un qualcosa di più che l'einaudiano "conoscere per deliberare". Infatti in una democrazia rappresentativa deve essere chiaro il rapporto tra "sapere e democrazia". Il decisore politico deve assumere a pieno titolo le proprie responsabilità, ma è altresì moralmente obbligato ad attivare tutti gli strumenti necessari affinchè ci sia convergenza fra le sue decisioni e e il sapere condiviso nell'opinione pubblica. Sui modi di favorire una conoscenza pubblica condivisa si veda, in questa Rassegna, " Democrazia e sondaggi. Il 'metodo Fishkin'". (*) Si veda il sondaggio Poster/Fondazione Giannino Bassetti " Opinione pubblica, biotecnologie e società del rischio" (nel Percorso sulle Biotecnologie). [Nel sito della FGB è presente una pagina interamente dedicata al libro di Anna Meldolesi, "Organismi geneticamente modificati. Storia di un dibattito truccato" - 21 luglio 2003, G.M. Borrello]
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giovedì, luglio 17, 2003 |
A chi giova la scienza inutile?
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Più di una volta è capitato di constatare come il rapporto fra scienza e opinione pubblica non sia del tutto lineare. Si veda, ad esempio, nel sito FGB i risultati del sondaggio promosso dalla Fondazione Giannino Bassetti, in collaborazione con Poster, Opinione pubblica, biotecnologie e "società del rischio". Insieme alla speranza nelle "magnifiche sorti e progressive" la scienza suscita anche diffidenze, specialmente nel caso delle bioscienze, quando i mass-media concentrano l'attenzione su progetti fantasiosi e pseudo-scientifici come, ad esempio la clonazione raeliana (vedi nel sito FGB: Rassegna stampa gennaio 2003), oppure se vengono portate avanti sperimentazioni che, pur condotte secondo i protocolli della scientificità, oltre a scontrarsi con valori etici ampiamente condivisi, e che non paiono aprire l'orizzonte né a nuove conoscenze né a nuove terapie. Scrive Edoardo Boncinelli sul Corriere della Sera del 4 luglio nell'articolo "Un embrione e due sessi L'autogol della scienza". «Non abbiamo bisogno di questa scienza, inutile oltre che inopportuna. Ci sono ancora tante altre belle cose da fare che non presentano problemi di sorta [...] O che presentano qualche problema ma aprono al contempo fantastiche prospettive. Purtroppo esistono moltissimi esempi di scienza inutile, soprattutto nel campo della riproduzione umana e delle cosiddette cellule staminali. Boncinelli si riferisce a un esperimento presentato a Madrid, al congresso della Società europea di riproduzione umana. «Un paio di gruppi di ricerca statunitensi hanno unito le loro forze per produrre un embrione umano che contiene cellule di due tipi diversi e che sono anche di sesso diverso. Hanno prodotto cioè un ermafrodito, un organismo che contiene tanto cellule maschili che femminili, anche se in potenza. L'embrione non è stato fatto crescere oltre un certo stadio e non condurrà a nessun neonato». Al di là delle implicazioni etiche che un simile esperimento è destinato a suscitare, Boncinelli afferma: «Si tratta di un imbarazzante esempio di scienza inutile, un tipo di scienza di cui si parla poco, ma che appesta tutti i laboratori del mondo». «La produzione di un embrione ibrido, ottenuto fondendo cellule di due diversi embrioni, non è una novità. E' stata ripetutamente ottenuta in diversi mammiferi e non si vede perché replicarla utilizzando embrioni umani». Il caso citato da Boncinelli ci obbliga, più che a chiederci cui prodest, a riflettere su a chi spetti la responsabilità di individuare la direzione della ricerca. Su quest'ultimo tema può essere utile il rimando a una rassegna stampa precedente: Una "Camera Alta" per la responsabilità della scienza. La proposta di Veronesi e le osservazioni di Bassetti.
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venerdì, luglio 11, 2003 |
Democrazia e OGM: un'intervista alla biologa Mae-Wan Ho
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Su Il Manifesto del 19 giugno Matteo Bartocci, in "Il seme del dubbio", ha intervistato Mae-Wan Ho, biologa e attivista tra i ricercatori firmatari del documento "The Case For a Gm-Free Sustainable World", presentato a Roma nel corso del convegno su "Ogm, brevetti e fame nel mondo"». Rimandando all'articolo di Bartocci e, nel sito della Fondazione Giannino Bassetti, alla pagina "Genetic Engineering: Dream or Nightmare?":il libro di Mae-Wan Ho per una conoscenza più approfondita del pensiero di Mae-Wan Ho su Ogm e biologia molecolare, in questa sede si vuole sottolineare alcuni passaggi dell'intervista che toccano il tema del rapporto fra l'innovazione tecnico-scientifica e la democrazia. Mae-Wan Ho rispondendo alle domande di Bartocci, afferma: «A livello internazionale gli Ogm sono regolati dal protocollo sulla biosicurezza di Cartagena firmato nel 2000 da 139 nazioni. [....] E' vero però che il protocollo è costantemente minacciato e rischia di essere inefficace. L'aspetto più importante, a mio avviso, è cosa pensano i cittadini: i consumatori europei non vogliono prodotti Ogm e questo sentimento va tenuto in considerazione e accompagnato da conoscenze scientifiche valide». In un successivo passo dell'intervista, Mae-Wan Ho si sofferma sull'iniziativa lanciata dal governo britannico per un ampio dibattito, chiamato GM Nation, aperto a tutti i cittadini sulle questioni sollevate dagli Ogm. «Finalmente il governo ha deciso di dare il via a una consultazione nazionale. E ha impostato il dibattito su tre filoni principali: cosa deve fare il Regno Unito nei confronti del transgenico, gli aspetti economici del biotech; le valutazioni scientifiche sugli Ogm. Il che, detto per inciso, si riduce a una serie di incontri poco pubblicizzati e a un sito web. Infatti ci sono state molte polemiche in Gran Bretagna, perché il governo ha destinato ai dibattiti fondi insufficienti e non ha fatto alcuna promozione agli eventi tenuti nelle varie città. Ma chi è andato, molte centinaia di persone, è riuscito comunque a esprimere la propria contrarietà. [...] Le riunioni si svolgevano in alcune grandi sale allestite con tavoli e sedie. Non ci sono stati interventi diretti di esperti, attivisti o politici. All'inizio della riunione veniva proiettato un video abbastanza obiettivo preparato dal governo. E su questa semplice base, del tutto insufficiente a soddisfare le molteplici curiosità su questioni così complesse, i cittadini iniziavano a discutere tra di loro. Non c'è stata abbastanza informazione, specialmente scientifica. Né si potevano porre domande, perché non c'era nessuno a cui rivolgerle. [....] A mio avviso è più utile creare una serie di eventi pubblici in cui tutte le questioni siano presentate in modo chiaro. Riunioni in cui il pubblico possa fare domande e ottenere risposte sincere e attendibili. Un video non basta per farsi un'opinione... Il pubblico ha bisogno di avere un'informazione completa e non deve essere tenuto all'oscuro. Nessuno può dire: "Non ti preoccupare, io sono un esperto", oppure "Tu non puoi capire perché non hai studiato biologia". Chiunque può farsi un'idea sulla base di prove attendibili e scientificamente valide». Infine Mae-Wan Ho si sofferma su esperimento di consultazione popolare avvenuto in Zambia. «Vorrei raccontare il caso dello Zambia. L'anno scorso questo paese africano è stato colpito da una pesante carestia, ma rifiutò i semi transgenici inviati dagli Stati Uniti, una decisione che fu accolta come uno scandalo. Prima della decisione, però, il presidente dello Zambia invitò nel paese molti scienziati internazionali e alla fine del dibattito si votò democraticamente a favore del rifiuto degli aiuti "umanitari" americani. Il problema era che se li avessero accettati avrebbero perso lo status di paese "Ogm-free" e quindi le loro esportazioni agricole ne avrebbero risentito». Se sull'esperimento "democratico" dello Zambia è lecito nutrire qualche dubbio, anche perchè, come sottolinea la Mae-Wan Ho, la decisione presa era influenzata da rilevanti interessi economici, l'iniziativa GM Nation del governo britannico, pur nell'insuffcienza del progetto e con i limiti denunciati dalle Mae-Wan (sull'argomento avremo occasione di ritornare in una prossima rassegna proponendo un articolo apparso su Il Riformista il 20 giugno), rappresenta un primo momento di coinvolgimento dell'opinione pubblica in un paese in cui possiamo parlare di democrazia senza virgolette.
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mercoledì, luglio 09, 2003 |
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