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Tutti gli interventi di Maggio 2005
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trattati da Aprile 2000 (avvio del sito) ad Agosto 2005

Gli indici coprono il periodo che va fino ad Agosto 2005, mentre da Settembre 2005 gli Argomenti possono essere seguiti, in progressione cronologica, accedendo agli ARCHIVI (mensili) che si trovano in questa pagina, sotto l'elenco degli interventi.
I BLOG
e i
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che orbitano attorno a questa sezione

DiaBloghi
Blog di dialoghi sull'innovazione "poiesis intensive"

[25 maggio 2005]
"Rinnovare, cambiare o innovare?" è la nuova domanda apparsa in DiaBloghi!

[10 settembre 2005]
Leggi il "commento" scritto da Gavino Massidda in relazione al dialogo Cosa vuol dire che una cosa vale, e che vale poco o tanto?

BIBLIOGRAFIE
presenti in questo sito

Gli aggiornamenti nei BLOG - BLOG Updates

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Novità in DiaBloghi (Blog collettivo sull'innovazione "poiesis intensive")

( 25 Maggio 2005 )

Come anticipato nel precedente articolo su DiaBloghi (dove ho provato a tirare un po' le fila), sono al via tre nuove domande. La prima, che trovate già pubblicata nel blog, chiede ai dialoganti di avvicinarsi ai pilastri della discussione e di andare a cercare nelle zone indistinte dei significati che giacciono tra termini differenti ma spesso assimilati. Non è un distinguo di lessico che si cerca, ma una vera esplorazione nei "luoghi pericolosi" in cui si mischiano, si sovrappongono e si confondono le idee e le parole.
I termini in questione sono, ovviamente, "innovazione", "rinnovamento" e "cambiamento". Sempre da vedere, se possibile, attraverso i filtri del tema principale di DiaBloghi, l'innovazione poiesis intensive e della responsabilità delle scelte che si compiono.
Nel precedente post riguardante DiaBloghi, proprio nella conclusione, ho segnalato la definizione che Marco Imperadori dà di innovazione nel suo dialogo "Tutti hanno le idee?". È una interpretazione che mi sembra "di base": "Ogni volta che l'uomo ha una idea buona, egli vede e crea, dopo aver pensato tantissimo, qualcosa che sarà utile e positivo per tanti, o aprirà nuove opportunità. Questa cosa si chiama innovazione, e l'uomo ha la fortuna di poter unire questo modo di cambiare a quello che è legato alla sua evoluzione naturale."
È mia opinione che se proviamo a dare un'ambientazione a questa "idea buona", un luogo e un tempo, allora ci accorgiamo che la parola innovazione si adatta a qualcosa di complesso, che nel processo della sua formazione, esplicazione e messa in azione, non coinvolge una sola persona, ma più persone, intere strutture, "entità" come la società in cui avviene, il luogo e il tempo.
Possiamo parlare di innovazione su più dimensioni, in relazione alla "portata" che l'innovazione ha, in relazione al fatto che può essere qualcosa che rivoluziona il piccolo mondo di un singolo individuo oppure il mondo intero... Io penso che quando parliamo di innovazione poiesis intensive, si parli di qualcosa di piuttosto vasto, che supera i confini di una nazione e l'arco di una generazione, di qualcosa che, una volta superata o "integrata" rimane almeno in qualche libro di storia sociale, artistica, economica.
Ma qualcuno potrebbe non essere d'accordo.
I° Domanda:
Ambientazione:
La parola "innovazione" pare essere molto fortunata. È difficile che in qualche settore produttivo non si parli di innovazione. Quando si parla di innovazione poiesis intensive, invece pare che ci si riferisca a qualcosa di diverso, che coinvolge la creatività, la visione del futuro, un'ambientazione sociale della propria innovazione. In caso di innovazione poiesis intensive sembrano più marcate le differenze fra i termini "rinnovare", "cambiare" e, appunto, "innovare". Penso possa accadere che un rinnovamento abbia un forte carattere poietico, ma in molti casi i tre termini sono poco chiari.
I dialoganti allora, potrebbero "litigare" sul significato di essi.
Rinnovare, cambiare o innovare?

Le altre due domande, che seguiranno questa a breve distanza di tempo, avranno come fulcro una la capacità di cogliere l'attimo e l'altra la consapevolezza del proprio fare.

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Genomica e medicina sostenibile : Intervista al Presidente dello Hastings Center, Thomas Murray

Genomics and sustainable medicine : Interview with President of The Hastings Center, Thomas Murray [21 May 2005]

( 20 Maggio 2005 )

( scritto da Redazione FGB Cliccare sul link per scrivere all'autore )

Il 14 aprile 2005 Thomas Murray, presidente dello Hastings Center, ha rilasciato un'intervista a Cristina Grasseni e Piero Bassetti in occasione della sua visita alla sede di Bellagio della Rockefeller Foundation per partecipare a una working conference sugli usi della genetica e della conoscenza genomica nell'innovazione medica.

On 14 April 2005 Thomas Murray, president of The Hastings Center, was interviewed by Cristina Grasseni and Piero Bassetti during his visit to the Rockefeller Foundation headquarters in Bellagio (Como, Italy) to take part in a working conference about genetics and genomics knowledge in medical innovation

Thomas H. Murray è attualmente Presidente dello Hastings Center, ed è stato Direttore del Center for Biomedical Ethics alla Facoltà di Medicina presso la Case Western Reserve University (Cleveland, Ohio), nonché Presidente della American Society for Bioethics and Humanities. E' tra i fondatori della rivista Medical Humanities Review, e siede nel comitato redazionale di The Hastings Center Report; Human Gene Therapy; Politics and the Life Sciences; Cloning, Science, and Policy; Medscape General Medicine; Teaching Ethics; the Journal of Law, Medicine & Ethics. Tra i suoi libri più recenti The Worth of a Child, e Healthcare Ethics and Human Values, con Bill Fulford e Donna Dickenson, The Cultures of Caregiving: Conflict and Common Ground among Families, Health Professionals and Policy Makers, con Carol Levine. Ha curato con Maxwell J. Mehlman la Encyclopedia of Ethical, Legal and Policy Issues in Biotechnology, (John Wiley & Sons, 2000). Attualmente appartiene ai seguenti comitati: Ethics Committee of HUGO, the Human Genome Organization NIH Blue Ribbon Panel on Conflict of Interest Center for Strategic & International Studies' Council on Biotechnology Research, Innovation and Public Policy Advisory Committee for the Genomics Institute at the Wadsworth Center Affiliated Scholar of the Institute for Bioethics, Health Policy and Law at the University of Louisville U.S. Food and Drug Administration's Biological Response Modifiers Advisory Committee Board of Directors of Physicians and Lawyers for National Drug Policy Chair, Ethical Issues Review Panel, World Anti-Doping Agency. I dettagli del lavoro di Thomas Murray e degli attuali progetti dello Hastings Centre nel campo della genetica e genomica sono consultabili sul sito www.thehastingscenter.org

Thomas H. Murray

Biographical details
(on The Hastings Center Web Site)

Some other links: [21 May 2005]

2001. The Human Genome Odyssey Conference
University of Akron, April 5-7, 2001
(Murray was one of the Speakers)

The Human Genome Organisation (HUGO)
(Murray is a member of the HUGO Ethics Committee)

Privacy and Security Working Group of "Connecting for Health"
Connecting for Health is a public-private collaborative designed to address the barriers to development of an interconnected health information infrastructure. Connecting for Health was established by the Markle Foundation and receives additional funding and support from the Robert Wood Johnson Foundation.
(Murray chaired the group)

Gustavus Adolphus College's 38th Nobel Conference, titled "The Nature of Nurture"
October 1-2 2002
«The past 30 years of research in behavioral genetics, cognition, and neuroscience have begun to clarify how life experiences contribute to individual development relative to biological makeup ...»
Seven noted experts in the field have accepted the College's invitation to participate in the 2002 conference: Murray was one of them.

Cristina Grasseni - Maybe we could start by outlining, which are the themes in your research that relate to the problem of responsibility in innovation?

Thomas Murray - I began to investigate the topic of responsibility very early on. I was able to show that philosophically speaking we can attach many different meanings to responsibility, i.e. physical responsibility, causal responsibility, or moral responsibility. "This person is responsible for this accident" can be taken to mean different things. This was my own introduction to philosophy.

Piero Bassetti - The question is also, responsible to whom, and for what? Now that God is not anymore a point of reference for everybody, this raises the problem of where to find a referee...

Murray - ...And what is the standard. It's an old idea, but for many of the questions we try to answer at the Hastings Centre the criterion is some notion of a world in which human flourishing is possible. We want to make decisions based on whether in fact they create the kind of world, human, material, legal, that enables human flourishing and fulfillment - the creation of mutually fulfilling relationships as with children and parents; a life in which physical health is important but also capable of love. A lot of my own writing is about family and I think the fact that I was raised by an Italian-American mother has influenced my research.

Grasseni - Would you like to sum up the main topics of your research and how they relate to the issue of innovation?

Murray - I don't think I can give a fully satisfactory answer to these challenging questions in a few words, I came to recognise that I do research in few topics, all connected with the impact of innovation in health medicine and the life sciences, and also with our social and moral responses to innovation and how they affect our ability to live a fully human life, one that should lead us to live a life of fulfilment and creativity. This connects organ transplantation to genetics and the genome project to parents-children relationships and reproductive technologies.

Grasseni -  How would you explain your own take to these research topics?

Murray - I always think about the ethical implications, but ethics is not just abstract philosophy. Rather the impact on the life of people and the contents of ethics are very broad and I am very interested in social arrangements, including politics and policy. For me it all intertwines.

Grasseni - We discussed the issue of sustainable medicine with Callahan. Are there any obvious connections between this topic and the idea of genomic knowledge?

Murray - This working conference at the Rockefeller Foundation is about the impact of genetics and the genome project on public health, and whether we can look at more efficient ways to promote health rather than to work with the most expensive medical technologies, but working instead at the more local public health level. I am very interested in the concept of sustainable medicine.

Bassetti - Do you think that genomics will favour the achievement of sustainable medicine?

Murray - That is the question. It will do some of both. It may be possible to more rapidly develop more effective immunisations. If we can rapidly study the genome of a new infectious organism and then work at strategies of immunisation, the possibilities are beyond my capacity to fully comprehend. The other end of the scale is to personalise genomic medicine and to do it in a way that would be enormously costly. Doctors will tell you that for any one drug roughly one third of the patients find it effective, for one third it does little, for one third it hurts. If there was a way of knowing in advance in which group you fall it would be possible to avoid spending a lot of money on something that does not work for you. If we could work it out like that it would be a saving.

Bassetti - Do you refer to humankind or to the Americans? How do you think we'll be able to face the generalisation of such problems?

Murray - The divide is between all of those who are relatively wealthy and those who are not.

Bassetti - Do you think we can go on assuming a split or that we shall be forced by the rationality of medicine itself to take the whole of mankind into consideration? The effects of a genetic change for instance cannot be controlled once introduced.

Murray - This conference will explore the impact of genomics on the developing world. Sadly most of the effects of genetic and genomic technologies will not spill over rapidly from one world to another. For instance take gene therapy: we still can't do it reliably. Right now I am on our Food and Drug administration panel that reviews all gene therapy and cell stem therapy and I have a fairly good grasp on how good the technology is right now. It's probably on the threshold of a breakthrough but it may take quite a while to provide results that are predictable and reliable. Our knowledge base has been growing for 20 years but we are still at the threshold.

Grasseni - Genomic knowledge to me looks like an example of knowledge that creates new situations that were unthinkable of. I am thinking of privacy and disclosure and informed consent, of the bio-banks that have been set up or are about to be...

Murray - There is too much to say about that. The scientists are driving for the creation of bio-banks. Utah has an amazing bio-bank already because of the Mormons noting down their genealogies very precisely, and this information has been entered in a database. Researchers have been taking tissue samples from the families with their consent. You can have very broad but also very deep and rich bio-banks that are good for answering different questions. If you have a very rich pedigree for each generation, with information about what happened to each of them and tissue samples, you can ask questions about complex diseases. The diseases that are simple to define in genetic terms are very rare, like Huntingdon disease. But diabetes and the autoimmune diseases or cancer, which affect statistically large sectors of the population, are the most complex. Cancer is now understood as a genetic disease but not necessarily inherited. It may take up to 7 mutations to develop before one gets cancer, you may be born with 2 of them but you need to develop the others in your lifetime to get cancer. Even the famous breast cancer gene only accounts for about 2 per cent of the people struck by breast cancer.

Grasseni - Can you relate all this to the idea of a risk society, as explained by sociologist Ulrich Beck for instance?

Murray - I chaired the US genome project task force on genetic information and insurance. We created a report in 1993 that was submitted to our government. And like most reports it was well received and then ignored. I can send you articles that I have written about that and one that was very controversial when I published it, based on my work on insurance. I maintain that it is a mistake to think of genetic information as completely different from all other kinds of information - the concept of genetic exceptionalism. And in fact it has some dangerous implications, it leads people to fear genetic information more that it should and also not to be concerned about other types of information that they should be worried about. People think they have been protected in all other cases and they have not. The insurance industry wrote most of those state laws.

Bassetti - When we discuss public opinion, mythology is relevant. There is a myth that some conditions can be radically different from other diseases, such as sexually tramsitted diseases. But I think you have already been too generous with your time, thank you very much for the conversation.

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Principio di precauzione (proposta di un percorso di lettura) 05/07/05

( 14 Maggio 2005 )

( scritto da Gian Maria Borrello Cliccare sul link per scrivere all'autore )

5 luglio 2005: vai all'aggiornamento

Ho intenzione di proporre ai lettori di questo sito, nel prossimo futuro, uno o più percorsi di lettura riguardanti il Principio di precauzione e l'insieme delle tematiche da esso involte e che lo involgono.

Partirò, oggi, con un saggio, pubblicato nel sito di Observa, che, a mio parere, rende giustizia al Principio di precauzione.

Eccone, qui di seguito, alcuni brani.

Il saggio, che si intitola "Il principio di precauzione tra incertezza intrinseca e razionalità limitata", può essere letto per intero nel sito di Observa. L'autore è Gavino Zucca (docente di fisica presso l'ISIS Archimede di San Giovanni in Persiceto (BO), laureato in Fisica all'Università di Pisa e in Filosofia all'Università di Bologna).

«
[Il Principio di Precauzione (PdP)] prende atto che l'incertezza scientifica è inevitabile, ma proprio da questa incertezza trae la richiesta di un diritto, quello di poter prendere misure precauzionali per proteggere se stessi e le generazioni future, se vi sono ragioni per credere che possano esservi dei pericoli estesi che, una volta scoperti, non sono più eliminabili.
[...]
L'enunciato più forte del PdP afferma che "si devono prendere misure precauzionali quando la scienza non è in grado di garantire con certezza la sicurezza di una determinata attività". Ma il principio cui si è giunti in ambito ONU dice una cosa molto diversa: anche se la scienza non ha stabilito l'esistenza di un rischio, non si può impedire a nessuno di assumere misure precauzionali per proteggere l'ambiente e la salute delle generazioni presenti e future, quando vi sono ragioni per ritenere che tale rischio possa causare danni estesi e irreversibili. Il PdP, in altri termini, non enuncia un dovere, ma un diritto. E afferma semplicemente che, proprio perché la scienza non è in grado di garantire certezze assolute sulla sicurezza di una determinata attività, quando le poste in gioco sono estremamente elevate e la decisione è urgente, si deve concedere a chiunque il diritto di agire preventivamente in senso precauzionale per la propria protezione.
La situazione presenta molte analogie con quanto accadde nel XVIII secolo con la definizione del diritto alla libertà. Anche in quel caso la situazione appariva confusa, tanto da far dire a Montesquieu che «non vi è parola che abbia ricevuto maggior numero di significati diversi, e che abbia colpito la mente in tante maniere come quella di libertà». E molte delle accuse attualmente rivolte al PdP si sarebbero potute a suo tempo rivolgere all'enunciazione della libertà come un diritto fondamentale dell'individuo. Eppure, nonostante le differenti modalità di applicazione di questo diritto fondamentale nelle varie comunità, e gli esiti talvolta non del tutto felici cui esse hanno condotto, nessuno oggi metterebbe in dubbio la sua validità generale. Così, enunciare oggi un diritto alla precauzione dovrebbe avere il solo scopo di sancire in maniera univoca ciò che è già comunemente riconosciuto da tutti, e la Dichiarazione di Rio si presta bene a questo scopo. Essa afferma un principio politico e pratico, non scientifico: il diritto di applicare una delle strategie euristiche fondamentali di ogni organismo vivente, che prevede di procedere con cautela quando si avanza verso l'ignoto, cercando di cogliere indicazioni da ciò che accade intorno e utilizzando la strategia più adatta alla situazione per decidere e agire. La precauzione appare in definitiva niente più che una norma di buon senso, che recenti esperienze negative hanno condotto a riaffermare in maniera più formale. Il vero problema sta quindi nel trovare modalità di messa in atto del principio che lo limitino e regolamentino adeguatamente onde evitare abusi.
[...]
Il rischio in realtà è in buona parte una costruzione sociale, e per quanto gli esperti possano ostinarsi a ritenere irrazionali atteggiamenti in contrasto con le valutazioni oggettive, nondimeno si deve accettare il fatto che ciò a cui deve rispondere un politico è il rischio percepito dalla comunità, poiché alla fin fine è alla comunità che tutto deve essere rivolto, anche le innovazioni tecnologiche.
[...]
Si tratta, in effetti, di un problema prettamente politico legato a un processo in atto di democratizzazione tecnologica, del quale il PdP fa parte integrante, e che riguarda le decisioni in merito ad innovazioni tecnologiche che possono interessare l'esistenza di tutti, anche di chi non è interessato. Il dilemma dei decisori politici consiste nella necessità di conciliare due libertà fondamentali: da un lato, quella di una comunità di prendere misure precauzionali, se lo ritiene opportuno, al fine di proteggere se stessa, il proprio ambiente e le generazioni future; e, dall'altro, la libertà economica e di iniziativa privata, così come il diritto di usufruire dei vantaggi e dei benefici derivanti dalle innovazioni tecnologiche. La ricerca di regole di implementazione del PdP coincide con la ricerca di regole per la conciliazione di queste due libertà.
[...]
La presa di decisione deve di conseguenza diventare un processo collegiale e riflessivo di confronto, ricerca e apprendimento reciproco che dovrebbe coinvolgere tutti coloro che sono interessati e che hanno conoscenze o motivazioni utili per la decisione da prendere.
»


Aggiornamento del 16 maggio 2005
Il Principio di precauzione è uno di quegli argomenti che costituiscono veri e propri leitmotiv di questo sito. Tra il 2000 e il 2002 esso ha dato luogo a un Percorso di lettura da affiancarsi agli altri che, in quel periodo, andavano svolgendosi. Ci sono continui e frequenti rimandi, infatti, tra il Percorso sul Principio e gli altri dedicati alla "Società del rischio", a "Biotecnologie e Ingegneria genetica", alla "Libertà della ricerca scientifica". Quest'ultimo, negli Indici degli argomenti di questo sito, è anche associato all'etichetta tematica di "Scienza, Politica e Società", sotto la quale lo accompagnano quelli dedicati ad Edoardo Boncinelli, ad Hans Magnus Enzensberger, a Jacques Testart.
Nei brani sopra citati del testo di Gavino Zucca ho, dal mio personale punto di vista, colto due affermazioni che trovo conformi a un inquadramento interpretativo entro cui ho sempre guardato al Principio di precauzione: dall'incertezza (dall'inevitabile incertezza) nasce un diritto (e il Principio di precauzione enuncerebbe un diritto a proteggersi e a proteggere, prima che un dovere di fare o di non fare); diritto che va considerato tenendo conto della percezione di rischio che la società esprime, in quanto il rischio è in buona parte una costruzione sociale. Da tale premessa discenderebbero quella che Zucca chiama "democratizzazione tecnologica" e la propensione a prendere decisioni politiche in modo collettivo coinvolgendo i cittadini.
Lo spunto per riprendere in esame questi temi mi è venuto anche dalla segnalazione dell'altro giorno, da parte di Mario Castellaneta, del libro di Edoardo Boncinelli "Sani per scelta", dal recente post di Daniele Navarra nel suo blog "Innovation, Risk and Governance" e dal fatto che, a seguito della partecipazione della Fondazione Bassetti al Forum europeo su "Scienza e Società", abbiamo ripreso a parlare di partecipazione del pubblico alle decisioni politiche in campo scientifico e, quindi, in ultima analisi e in senso più ampio, della governance dell'innovazione (scientifica e tecnologica).
Qui, per oggi, mi fermo fornendo i riferimenti relativi a ciò che ho appena detto:
  • Tutti i Percorsi (svolti dal 2000 al 2002)
  • Gli Indici degli argomenti di questo sito (oltre che, ovviamente, "Principio di precauzione", vedere l'argomento "Scienza, Politica e Società")
  • Segnalazione da parte di Mario Castellaneta del libro di Edoardo Boncinelli "Sani per scelta"


Aggiornamento del 15 giugno 2005
Nella Rassegna stampa a cura di Vittorio Bertolini:
- "Principio di precauzione. Strumento della scienza o del diritto?" che riguarda anche il libro di Francesco Sala "Gli OGM sono davvero pericolosi?", già oggetto in questo sito della Segnalazione del 31 maggio.


Aggiornamento del 5 luglio 2005
Del Principio di precauzione ha parlato Paolo Vineis nell'intervista fattagli da Margherita Fronte alla fine del 2002 e pubblicata in questo sito in occasione della vicenda del riso transgenico di Casalino.
Di particolare rilievo, anche per i riferimenti in esso contenuti e con riferimento più generale al rapporto fra decisioni politiche e contributo che la scienza può, dovrebbe, o non dovrebbe dare ad esse, è l'articolo "Scientific Governance", qui pubblicato nel Settembre 2003.

Si vedano inoltre (anche per i link che contengono):

- nel blog di Segnalazioni:
- Il principio di precauzione in "Scienza Esperienza" (18/07/03)
- CRASL, Brescia 22 gennaio 2004 ore 14.00 (17/01/04)
- Sul concetto di "precauzione": uno studio di taglio giuridico (21/05/04)
- Nano-etica cercasi (03/09/04)
- nel blog di Rassegna stampa
- Marcello Cini e la manipolazione della vita (10/04/03)
- Come (non) si parlano scienza e politica (30/8/03)
- Rassegna stampa sulla conferenza che Bruno Latour ha tenuto a Milano il 17 novembre 2003 (11/12/03)
- Conoscere (e coinvolgere) per deliberare (6/12/04)
Con questo si concludono i riferimenti a ritroso riguardo al Principio. In seguito all'articolo a cui si riferisce il presente item della sezione Argomenti, Gavino Zucca ha scritto "Quali sono l'ambito e la portata del Principio di precauzione"

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Sanità: sistema pubblico e sistema privato a confronto

( 13 Maggio 2005 )

( scritto da Vittorio Bertolini Cliccare sul link per scrivere all'autore )

All'indomani della sua sostituzione da Ministro della salute, il Prof. Sirchia, in una polemica intervista rilasciata al Corriere della Sera, ribatteva all'accusa di aver voluto imporre stili di vita salutisti affermando che, senza una radicale inversione di rotta rispetto agli attuali modelli di consumo alimentare, si rischia di andare al collasso del sistema sanitario a causa del diffondersi di massa di patologie come obesità, diabete e altre.
Può essere che l'ipotesi di Sirchia sia eccessiva, tuttavia non si può non constatare che esiste una crescente domanda di cura sia per patologie collegate agli stili di vita sia per le aspettative indotte dalle nuove tecnologie mediche.
Per esempio, fino a non molto tempo fa il problema dell'infertilità, maschile o femminile, poteva essere un dramma personale a cui la medicina non riusciva a dare una risposta, mentre ora, attraverso le tecniche della fecondazione medicalmente assistita, può essere risolto pressoché in tutti casi. A sua volta, la diagnostica strumentale (TAC, risonanza magnetica, ecc.) ha aperto possibilità fino a ieri impensabili, ma ha pure aumentato la richiesta di nuove cure. E questo incremento della domanda si è tradotto in un aumento dei costi che mettono a dura prova l'efficienza dei sistemi sanitari. Ma se la medicina diventa "impossibile", quali soluzioni propone la politica economica sanitaria?

Si veda anche quanto si trova nel precedente post che si riferisce alla Lecture che, in tema di "medicina impossibile", Daniel Callahan ha tenuto lo scorso 21 febbraio all'Università Cattolica di Milano, su invito della Fondazione Bassetti.
Si vedano anche il successivo Seminario e l'Intervista a Callahan

Il confronto fra sistema sanitario italiano e americano, il primo basato sulla fiscalità generale, l'altro incentrato sulla mutualità privata (dove l'assistenza pubblica gratuita, grazie al Medicare Rights Center, copre le esigenze solo di una parte molto minoritaria della popolazione: bisogna essere anziani, cioè sopra i 65 anni, e molto poveri), è stato al centro della puntata del 24 aprile della trasmissione RAI-TV "Report", intitolata La sanità è un lusso?, già segnalata in questo sito (dalla Segnalazione è possibile accedere alla trascrizione della puntata).
Anche se un sistema come quello italiano, basato sulla fiscalità generale, si mostra più attento a garantire a tutti, e in particolare ai meno abbienti, l'accesso alle prestazioni sanitarie, emergono alcune difficoltà che appaiono comuni ai due sistemi. Per esempio, le lunghe liste di attesa per alcune analisi strumentali o le code ai dipartimenti di emergenza o l'elevato costo dei farmaci. Sia nel sistema americano che in quello italiano, anche se per motivi diversi, l'accesso ai ricoveri ospedalieri non è sempre agevole. Se negli Usa c'è il filtro delle compagnie assicuratrici (verifica della validità delle polizze e nei casi più complessi autorizzazione delle compagnie assicuratrici), in Italia c'è il problema dei tempi di attesa; e poichè la richiesta di salute in genere richiede risposte sollecite, si ha come conseguenza un ricorso alle strutture private.
Anche se non in modo approfondito, la trasmissione ha affrontato il tema della prevenzione, specialmente in riferimento alla situazione italiana. Nel nostro Paese, proprio perchè la cura della salute è un servizio pubblico, è fondamentale, dato che i costi della prevenzione sono minori della cura, prevenire l'insorgere o l'acutizzarsi delle patologie più gravi. Però se, da un lato, la cultura della prevenzione fa parte della cultura medica comune, dall'altro lato iniziative come screening di massa, controllo periodico dei soggetti maggiormente a rischio, day hospital si sono sviluppate parzialmente e solo in alcune parti del Paese.

Nella puntata di Report è stato affrontato anche quello che è il diverso atteggiamento dell'opinione pubblica nei confronti dei due sistemi sanitari. Nel nostro sistema generalista il dissenso e il confronto con le strutture sanitarie si organizzano politicamente (partiti, sindacati, organizzazioni dei consumatori, tribunali del malato), avendo come riferimento l'aspettativa di efficienza nella risposta sanitaria, mentre in un sistema selettivo come quello americano si sviluppa maggiormente il contenzioso privato legato ai costi (assicurazioni contro utenti morosi o truffaldini, oppure che contestano i costi esorbitanti). D'altra parte non può essere altrimenti, vista la struttura privatistica e individualistica del sistema americano. Così, mentre in Paesi come l'Italia, che hanno una forte tradizione di democrazia dei partiti, si cominciano a sperimentare forme di partecipazione legate ad organizzazioni di base dei cittadioni (in proposito esistono alcune considerazioni interessanti nella relazione tenuta da Massimiano Bucchi al Forum tenutosi a Bruxelles dal 9 all'11 marzo 2005, nell'ambito del Programma "Science and society" dell'Unione Europea - si veda, in questo sito, il relativo paper), nell'America che, ancora, e non sempre a proposito, leggiamo con gli occhiali di Toqueville (ma Democrazia in America è di quasi sue secoli fa), si viene sempre più rafforzando il ruolo delle corti di giustizia.

All'inizio della puntata di Report è stato affermato che, secondo un rapporto del 2000 dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, la Sanità italiana era risultata fra le più efficienti ed economiche al mondo, mentre l'America compariva al 37° posto. Non so su quali criteri si basi l'indagine, ma, come cittadini, spesso ci capita di dubitare dell'efficienza e dell'economicità del nostro sistema e viene da chiedersi se esso non si stia trasformando verso una forma spuria, dove a un sistema pubblico finanziato dalla fiscalità generale, e cioè da tutti noi, si affianca un sistema privatistico finanziato solo da alcuni di noi.

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Principio di precauzione

( 9 Maggio 2005 )

( scritto da Gian Maria Borrello Cliccare sul link per scrivere all'autore )

«
Polarizzando le aspettative che una porzione sempre più ampia della società del rischio contemporanea ripone nella capacità del diritto di governare gli effetti della tecnologia, il principio di precauzione si rende interprete di una contesa socio-politica che da qualche anno vede protagonisti Europa e Stati Uniti - in una partita serrata che si gioca sul terreno del diritto del commercio internazionale, con enormi poste economiche in gioco - mettendo a nudo un conflitto latente fra due modi profondamente diversi di concepire nei suoi elementi costitutivi la triangolazione fra individuo, società e rischio [*].

[*] Il che si manifesta oggi - per fare solo due dei tanti esempi possibili - nelle guerre commerciali che sulle due sponde dell'Atlantico si combattono sui caldissimi temi delle biotecnologie agricole e su quello delle carni bovine trattate con l'ormone della crescita, su cui rispettivamente A. Prakash, K. L. Kollman, "Biopolitics in the EU and the U.S.: A Race to the Bottom or Convergence to the Top?", 47 "Int. Stud. Quart." 617 (2003); T. Bernauer, E. Meins, "Technology Revolution Meets Policy and Market: Explaining Cross-National Differences in Agricultural Biotechnology Regulation", in 42 "Eur. J. Pol. Res." 643, 674 ss. (2003) e C. Charlier, M. Rainelli, "Hormones, Risk Management, Precaution and Protectionism: An Analysis of the Dispute on Hormone-Treated Beef between the European Union and the United States", in 14 "Eur. J. Law & Econ." 83 (2002)
»

Questo brano è tratto dall'Introduzione del libro La precauzione nella responsabilità civile di Umberto Izzo, su cui si veda, in questo sito, la Segnalazione del 19 maggio 2004.

Il libro analizza in che modo il concetto della "precauzione" incida, nel periodo più recente, sull'istituto della responsabilità civile, con particolare riferimento al danno da contagio per via trasfusionale.

Il brano che ho sopra citato mi è sembrato particolarmente interessante perché fa emergere l'essenza politica, prima ancora che stricto sensu giuridica, del Principio di precauzione. E', a mio avviso, proprio prendendo atto che il Principio, fin dalla sua costituzione teorica, è pervaso (se non frutto di) sia da un'impostazione ideologica (o da più d'una), sia da esigenze pragmatiche e politiche, che l'autore del libro, subito dopo il brano qui citato, precisa che del Principio è in crescita la valenza giuridica (ambiti interessati: la protezione dell'ambiente e la tutela della salute nelle forme della sicurezza alimentare, della produzione e immissione in commercio di farmaci e di dispositivi biomedici, delle frontiere sperimentali della ricerca biomedica).

Egli prosegue:

«
Quale che sia l'ambito e la sede di invocazione del principio, è evidente che la sua essenza consiste nell'ambizione di esprimere ed imporre ai soggetti a cui si rivolge (stati nazionali, istituzioni pubbliche e private, nonché singoli individui) una linea di condotta ideale da osservare per fronteggiare il rischio ed il pericolo sottesi all'ignoto tecnologico, quando la scienza rivela di non essere in grado di fugare l'incertezza che attanaglia la decisione sociale sul "se" e sulle "modalità" dell'agire. Da qui l'invocazione, che spesso costituisce il corollario operativo dell'invocazione del principio di cui si discorre, di un blocco temporaneo dell'attività in questione, nell'attesa che nuove conoscenze scientifiche e nuove regole e procedure diano un senso concreto - e non soltanto inibitorio - all'operare del principio nel settore di attività considerato.
Nella sua configurazione più estrema, il principio di precauzione rischia in quest'ottica di rendersi indistinguibile da uno slogan politico - o da una giustificazione retorica di stampo normativo - per dare fondamento e legittimità a timori irrazionali, a volte venati di inconfessabili intenti protezionistici, con l'effetto di dar linfa alle aspre critiche che esso (con intensità pari a quella esibita da chi, per parte sua, ha provveduto a farne il proprio vessillo ideologico [**]) ha attirato da parte dei suoi detrattori, che sono presenti in vaste aree del mondo scientifico ed imprenditoriale [***].

[**]
Si veda, per esempio, G. Francescato, A. Pecoraro Scanio,
Il principio di precauzione, Milano, 2002.

[***]
Si veda, per fare solo uno dei possibili esempi, A. Meldolesi,
Organismi geneticamente modificati. Storia di un dibattito truccato Torino, 2001, 113-124.

[Ndr: Al libro di Anna Meldolesi è stata in questo sito dedicata una diramazione del Percorso "Biotecnologie e ingegneria genetica"]
»

Credo opportuno segnalare anche il seguente brano, con cui si conclude l'Introduzione del libro, perché vi ho individuato non pochi legami con articolazioni particolari, presenti in questo sito, della tematica della "società del rischio", tematica che forse varrà la pena far riemergere:

«Il silenzioso protagonista del problema esaminato in questo studio, un virus letale [Ndr: l'HIV] che per anni ha tenuto in scacco le capacità predittive e conoscitive della scienza contemporanea, sintetizza le caratteristiche archetipe di una vasta (e purtroppo crescente) gamma di minacce che inquietano la società del rischio contemporanea: il bene messo a repentaglio è quello primario della salute; l'identificazione del pericolo è rimessa alla scienza ed alla sua capacità di guidare l'operato degli agenti sociali deputati a debellarlo; il fenomeno si è mostrato capace di evocare paure irrazionali, attraverso l'amplificazione massmediatica del suo potenziale di rischio; infine, l'operare della precauzione nei confronti di questa minaccia è dipeso e dipende in via esclusiva dallo sviluppo, dalla gestione e dalla implementazione di una tecnologia particolarmente sofisticata.»

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Nanotecnologie: in che modo ne ha parlato il sito della Fondazione Bassetti [21/06/05]

Nanotechnologies: how the subject has been covered in the Bassetti Foundation website [20/05/05]

( 6 Maggio 2005 )

( scritto da Gian Maria Borrello Cliccare sul link per scrivere all'autore )

L'argomento delle nanotecnologie è fra i più letti in questo sito e pertanto da alcuni mesi è on-line una pagina che raggruppa i riferimenti ai testi che qui ne parlano. In questi giorni ho revisionato questa pagina e ho aggiunto alcuni link, tra cui segnalo quello al testo dell'articolo che parla del primo sondaggio sull'atteggiamento degli americani nei confronti del Nanotech, svolto nel 2004 da Michael Cobb (professore associato di Scienze politiche alla North Carolina State University), Patrick Hamlett (professore associato di Scienza, tecnologia e società alla North Carolina State University) e Jane Macoubrie (docente di scienze della comunicazione alla North Carolina State University). Questo sondaggio era stato qui citato quando fu data notizia dei risultati, cioè nell'Agosto 2004.

"Nanotecnologie nel sito della Fondazione Bassetti"

[21/06/05]
Mario Castellaneta ci ha inviato il seguente commento:

«Faccio presente che il dibattito si accende nel settore delle nanotecnologie con posizioni divergenti riguardo al rischio posto dalle medesime. Operatori statunitensi nel business delle nanotecnologie affermano, infatti, che se ne stanno esagerando i rischi, pur non disconoscendoli e li classificano chiaramente in due categorie:

1) rischi reali che possono derivare dalla esposizione a nanoparticelle;
2) rischi percepiti che le nanorecnologie espongano a pericoli, che questi siano o meno reali.

Infatti, continuano gli stessi, molte applicazioni nanotecnologiche, come la litografia con stampa a nanotecnologia e l'isolamento fatto con materiali nanoporosi, non presentano rischi in quanto non incorporano nanoparticelle.

Nei casi in cui il rischio esiste ci sono anche precauzioni applicabili che garantiscono sicurezza.

Il commento che mi viene spontaneo fare è che ancora una volta, se non ci si muove tempestivamente per pervenire ad una adeguata informazione si rischiano da un lato paure infondate e dall'altro rischi reali non adeguatamente affrontati e,in definitiva, un gap di conoscenze adeguate nella popolazione con il rischio che si prendano decisioni in base ai miti del momento.

Mario Castellaneta»

[20 May 2005]
Articles on the theme of Nanotechnologies are amongst the most widely read in this site. Consequently, a few months ago we introduced a page that brings together references to the various texts in the site that discuss this topic. Over the last few days, I have been reviewing that page and adding some links. Particularly worthy of note is the one to the article on the first survey of the public's attitude to nanotechnology, conducted in 2004 by Michael Cobb (assistant professor of political science at North Carolina State University), Patrick Hamlett (associate professor of science, technology and society) and Jane Macoubrie (assistant professor of communication). The survey was mentioned in this site when its results were initially disclosed, in August 2004.

"Nanotechnologies in the Bassetti Foundation website"

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Il filo dei DiaBloghi (sull'innovazione poiesis intensive)

( 4 Maggio 2005 )

In questa prima fase di DiaBloghi ci si è solo avvicinati all'idea di innovazione poiesis intensive. In realtà ci si è concentrati per lo più su un passaggio precedente: la nascita dell'idea e la spinta creativa verso una visione innovativa.
Le domande hanno proposto una meditazione sul valore delle idee, sul modo con cui queste si possono sviluppare e il loro trasporto di responsabilità e rischio. Il tutto in relazione al tema generale del blog: l'innovazione poiesis intensive appunto.
Non tutti gli aspetti sono stati affrontati, non tutte le domande veramente sviscerate, c'è ancora molto da dire e scrivere. Quindi c'è ancora molto spazio per nuovi dialoghi e soprattutto commenti ai dialoghi già scritti.
Cecilia Gallotti fa un passo verso le origini, come dando un punto di partenza per un percorso lungo: dal pensiero, attraverso la strutturazione delle idee, fino alla costruzione di quella serie di pensieri, idee, visioni e azioni che reggono una innovazione. Perché parlare dell'aspetto creativo delle idee porta necessariamente a trattare il sentire e la persona sensibile. Dal commento al suo stesso dialogo: "Il pensiero è nostro e non lo è, ce ne appropriamo a tratti e raramente, per il resto ci dialoga attraverso e, quando ci riusciamo, noi dialoghiamo con lui. E' l'Altro che è in noi. Il principio del dialogo."
Seguendo questo filo, troviamo il commento di Roberto Panzarani e il dialogo a cui si riferisce, quello di Paola Previdi. Panzarani più che offrire risposte lancia ulteriori domande: cosa porta a "pensare alla grande" una persona o una nazione, cosa può aiutare o reprimere gli asset intangibili che portano all'innovazione? E Paola Previdi propone la domanda e scrive il dialogo sulla visione di idee viaggianti.
Idee in movimento, forse che migrano da chi comincia a formularle a chi le acchiappa per trasformarle in azioni, così come si legge nel dialogo scritto da Beniamino Sidoti, che traccia il passaggio da un'idea abbozzata in testa a una strutturata attraverso il fare. Le regole del gioco, che una volta lanciato, si formano nel praticarlo, prendendo modalità inaspettate anche a chi l'ha lanciato. Vie impreviste, è vero, ma in accordo con gli input che vengono dati, perché là dove si tende al fallimento, si va al fallimento dell'idea, là dove si vuol far crescere, il gioco si sviluppa.
E su come l'idea si sviluppa e cresce dentro la mente, ma poi fuori, nell'ambiente circostante, ha scritto Silvana Barbacci, che in questo percorso introduce l'elemento tempo.
Un'idea che decanta prima di formarsi o prima di trovare il terreno adatto per esprimersi, un'idea che a seconda del momento o periodo in cui viene espressa risulta essere innovativa o meno.
Nel commento (sempre in forma di dialogo) scritto da Vittorio Bertolini, si annodano diversi fili: il tempo d'attesa perché l'idea risulti utile o meno, la migrazione dell'idea lasciata intendere dalla Previdi e, ovviamente, perché la domanda a cui si riferivano lo chiamava in causa, il valore dell'idea stessa.
Si è insistito un po' nelle domande sull'elemento del valore delle idee, perché rispetto all'innovazione poiesis intensive, si è considerato importante l'asset intangibile portato dagli individui stessi che operano per realizzare l'innovazione. La loro creatività e la capacità di cogliere l'idea giusta, sono gli elementi preziosi di tutto il processo.
Sul valore delle cose e delle idee si è espresso Daniel Smith con un dialogo in cui due personaggi curiosi cercano di valutare capre e quadri. Dialogo che ha raccolto i commenti di Giacomo Correale e Marlene Di Costanzo, il primo ponendo una serie di domande scardinanti, la seconda, in forma di dialogo, parlando dello scambio e del valore mutevole delle cose.
Valore e qualità delle idee sono stati anche i fili seguiti da Marco Imperadori, che ha avuto la forza di pubblicare il primo dialogo in DiaBloghi, in cui l'innovazione, differentemente da come viene considerata in molti testi pubblicati in questo sito, appare come passo evolutivo dell'uomo, frutto di una idea positiva.

Prossimamente verranno presentate tre domande che punteranno più direttamente alla tematica dell'innovazione, seguendo l'ipotesi che vi sia, in essa, una idea e qualcuno che attiva questa idea nel "modo giusto".

Per partecipare a DiaBloghi, entra nel Blog!

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