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Tutti gli interventi di Maggio 2004
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trattati da Aprile 2000 (avvio del sito) ad Agosto 2004

Gli indici coprono il periodo che va fino ad Agosto 2004, mentre da Settembre 2004 gli Argomenti possono essere seguiti, in progressione cronologica, accedendo agli ARCHIVI (mensili) che si trovano in questa pagina, sotto l'elenco degli interventi.
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DiaBloghi
Blog di dialoghi sull'innovazione "poiesis intensive"

[25 maggio 2005]
"Rinnovare, cambiare o innovare?" è la nuova domanda apparsa in DiaBloghi!


[17 giugno 2005]
Leggi il "commento" scritto da Aleph V° in relazione al dialogo Cosa vuol dire che una cosa vale, e che vale poco o tanto?

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Gli aggiornamenti nei BLOG - BLOG Updates

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ricerca e innovazione: le condizioni per un miglioramento quasi spontaneo

( 31 Maggio 2004 )

( scritto da Giacomo Correale Cliccare sul link per scrivere all'autore )
Precedenti interventi che appartengono al thread (linea di discussione) del quale questo intervento fa parte:

Formazione, Ricerca e Innovazione

"Formare significa lavorare a fianco dei ricercatori" (Redazione FGB - 30 Aprile)
(questo intervento in Argomenti riprendeva il testo dell'intervista che Roberto Panzarani --docente di "Processi di Innovazione nelle organizzazioni" presso la Facoltà di Psicologia dell'Università La Sapienza di Roma-- ha rilasciato a TILAB, il Centro di Ricerca di Telecom Italia)

"Formazione e Innovazione" (V. Bertolini - 2 Maggio)

"Innovation, Industry and the role of Researchers in Italy" (D. Navarra - 2 Maggio)

"Qual è la responsabilità del formatore? (E. Volli - 16 Maggio)

"Ringrazio moltissimo i colleghi che sono intervenuti..." (R. Panzarani - 25 maggio)

Ho trovato interessante la proposta del Prof. Panzarani di una "triangolazione" tra formazione, innovazione e ricerca. E mi sembra importante la sua sottolineatura del ruolo e della responsabilità professionale dei formatori aziendali nel trasferimento dei frutti della ricerca nell'innovazione applicata ai prodotti dei settori tecnologicamente avanzati. Questo è uno sviluppo coerente con la concezione del formatore come facilitatore dei processi e dei rapporti sociali nel mondo delle imprese.

Se però il tema centrale non è quello della formazione aziendale, ma quello del declino del nostro Paese, da cui si è partiti con il riferimento all'articolo di Gros Pietro [ * ], io credo che occorra andare più in là della constatazione del fatto che in Italia si fa poca ricerca, e che il nostro Paese sia poco presente nei settori più avanzati. Queste sono alcune tra le cause immediate, magari le più importanti, del declino del Paese. Ma le cause vere sono "all'intorno", e su queste occorre prima di tutto agire. E io penso che non basti un impegno allo spasimo sui propri ruoli professionali, ma occorra anche "fare squadra" per modificare questo intorno. In questo senso va bene sicuramente un'alleanza tra formatori, ricercatori e imprenditori. Ma questa alleanza avrebbe vita stentata se funzionasse come un sistema chiuso, e non aperto.

Cosa significa muoversi come sistema aperto? Significa partire dalla constatazione del fatto che questo Paese non è più il Bel Paese, il "giardin dello imperio", ma un posto dove si vive e si lavora male. Non è un caso che le imprese straniere si insedino ovunque in Europa, in Francia (vedi Toyota), in Germania, in Irlanda eccetera, e quasi mai in Italia. Non è un caso che abbiamo perso anche la leadership del turismo. E partendo da questa constatazione, chiedersi il perché. E pensare allora a ciò che manca: alla diffusione e al livello della istruzione generale (humus della ricerca!); a un ambiente non compromesso da condoni e rifiuti urbani; a una pubblica amministrazione al servizio del cittadino come persona e delle aziende come produttrici di valore; a un vero mercato non soffocato da monopoli, corporazioni, "ponti di comando" a cui accedono in pochi e sempre gli stessi, spesso per privilegio e non per merito; a un livello di trasparenza e di correttezza negli affari da paese civile; a una giustizia equa e tempestiva; a una informazione degna di questo nome eccetera. In tutti questi campi l'Italia si colloca, anzi è degradata in posizioni ben più allarmanti di quelle che occupa nei settori produttivi più avanzati (vedi le graduatorie di Transparency eccetera). E io credo che queste ultime dipendano dalle prime, piuttosto che viceversa.

Non credo che chi si occupa di formazione, ricerca, innovazione possa dire: "Tutto ciò va al di là delle mie competenze". Se la conoscenza è importante, più importanti sono l'apprendimento e i comportamenti che la rendono possibile e positiva. Se non vi è dubbio che chi si occupa di formazione non può perdere il contatto con l'innovazione tecnologica, e per certi versi anticiparla, deve anche contribuire a far crescere una classe dirigente responsabile (verso la propria azienda, i suoi clienti, i suoi stakeholder, prima che verso una non meglio definita "società"). Per chi è ai vertici di una azienda non basta essere un buon manager (questo è quasi un must), ma occorre essere in qualche modo, come diceva Richard Normann già una trentina di anni fa, un "uomo di stato". Credo che se "il contesto" migliorasse (e ci sono diversi esempi di persone che hanno ottenuto risultati significativi in questo senso, purtroppo ostacolati dall'entropia del sistema) ricerca avanzata e innovazione rifiorirebbero quasi spontaneamente.

[ * ]
Ndr: L'intervista che Roberto Panzarani ha rilasciato a TILAB inizia con la seguente citazione delle parole di Gian Maria Gros Pietro:
«"Il modello Italia ha finito il suo ciclo". L'allarme lanciato su "Affari e Finanza" di Repubblica da Gian Maria Gros Pietro, presidente di Autostrade e docente di Economia Manageriale all'Università di Torino, rischia di non essere più una voce isolata. Ordini in calo, contrazioni della domanda e del fatturato (i dati Istat relativi al mese di agosto parlano di un calo del 5,4% per il fatturato industriale e del 3,7% della produzione rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso) rallentamento della competitività sono tutti fattori negativi che non possono essere trascurati. La denuncia del manager, che è stato Presidente di ENI ed IRI, si concentra soprattutto su un dato: in Italia si fa poca ricerca e molta innovazione di prodotto, questo fa si che: "siamo dove non c'è molto futuro, ma non siamo dove il futuro è importante, ovvero nella microelettronica, nell'Information Technology, nelle biotecnologie, nelle nanotecnologie e nuovi materiali che sono i fattori chiave della prossima rivoluzione industriale".»

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Ringrazio moltissimo i colleghi che sono intervenuti...

( 25 Maggio 2004 )

( scritto da Roberto Panzarani Cliccare sul link per scrivere all'autore )
Precedenti interventi che appartengono al thread (linea di discussione) del quale questo intervento fa parte:

Formazione, Ricerca e Innovazione

"Formare significa lavorare a fianco dei ricercatori" (Redazione FGB - 30 Aprile)
(questo intervento in Argomenti riprendeva il testo dell'intervista che Roberto Panzarani --docente di "Processi di Innovazione nelle organizzazioni" presso la Facoltà di Psicologia dell'Università La Sapienza di Roma-- ha rilasciato a TILAB, il Centro di Ricerca di Telecom Italia)

"Formazione e Innovazione" (V. Bertolini - 2 Maggio)

"Innovation, Industry and the role of Researchers in Italy" (D. Navarra - 2 Maggio)

"Qual è la responsabilità del formatore? (E. Volli - 16 Maggio)

Ringrazio moltissimo i colleghi che sono intervenuti in relazione alla mia intervista a T Lab. Sono contributi che approfondiscono il tema e allargano le prospettive da me delineate nelle riflessioni fatte con altrettante idee che ci aiutano ad affrontare questo tema dell'innovazione in modo profondo e da una prospettiva, quella della formazione, di cui oggi si discutre molto ma ben poco si riesce a fare e si fa.
Detto questi vorrei aggiungere solo poche righe e speriamo di riprendere al più presto la riflessione nelle varie sedi : Università , Aziende, Associazioni.ecc.
A questo proposito segnalo che il 28 settembre presso la sede dell'UCIMU in Milano in margine alla mia intervista Sistemi Formativi di Confindustria ha deciso di organizzare per i suoi soci un Convegno dal titolo "Formazione, Innovazione , Ricerca dal vantaggio invisibile al valore della conoscenza"con vari protagonisti delle aziende e del mondo accademico.
A giorni sarà pronto il programma. Segnalo anche il Convegno dell'AIF l'Associazione Italiana Formatori che parlerà delle " Formazioni Visibili e invisibili: come e con chi si apprende oggi nelle organizzazioni? " che si terrà a Trieste l'1 e il 2 luglio p.v..

La difficoltà di parlare dell'argomento in questione è data ,come peraltro anche gli altrri colleghi hanno osservato, dalla sua veloce obsoloescenza .
A questo riguardo fra le varie notizie uscite vorrei segnalarne una che mi ha particolarmente colpito riportata in un recente articolo di Federico Rampini su Repubblica : "US is losing its dominance in the sciences" , gli Stati Uniti stanno perdendo il loro dominio nelle scienze.
L'allarme è fondato su dati e indicatori precisi . Una misura della competizione internazionale nel sapere è il numero di brevetti . Qui gli Usa conservano una lunghezza di vantaggio su tutti, ma il margine si assottiglia di anno in anno, con un calo dal 60 al 52 % in un ventennio, mentre in alcuni settori specifici i paesi asiatici sono già passati in testa. In sostanza l'Asia tallona la supremazia degli Stati Uniti anche in questo campo : brevetti, scoperte ,invrenzioni, formazione
universitaria.
Dopo aver svuotato "dal basso" l'industria tecnologica americana, portandole via le mansioni operaie , le potenze asiatiche ora alzano il tiro e lanciano la sfida a livello superiore.
Le aiuta indirettamente ,ricorda Rampini, la guerra di George Bush al terrorismo : le restrizioni dei visti negli Stati Uniti incoraggiano un'emigrazione alla rovescia, il "ritorno dei cervelli" in Cina e in India, due giganti in pieno boom economico.
La priorità alla sicurezza si ritorce contro la scienza in altro modo . Una conseguenza dell'11 settembre è stato il giro di vite sulle procedure per i visti di ingresso agli stranieri. I nuovi controlli hanno allungato a dismisura i tempi di rilascio anche per i visti di studio. Questo rallenta e ostacola l'arrivo di quei talenti stranieri - docenti, ricercatori o studenti - che da sempre contribuiscono alla forza delle università americane. Il numero dei laureati stranieri che hanno
presentato domanda per un dottorato di ricerca negli USA nel prossimo anno accademico è sceso del 25%..
L'impatto negativo della nuova politica dei visti coincide con una fase in cui emergono come poli di attrazione la Cina e l'India non più solo per crearvi fabbriche a buon mercato , ma per costruirvi centri di ricerca avanzata, design ,progettazione.
Negli anni '90 un terzo delle nuove imprese fondate sulla Silicon Valley era stato creato da imprenditori di origine asiatica . Oggi una parte di loro sta tornando a casa . Un dottorato a Berkeley , Stanford o Harvard è solo una prima tappa prima di tornare a far carriera in patria , non l'anticamera per l'emigrazione negli Stati Uniti.
A questo proposito consiglierei di leggere l'ultimo libro di Richard Florida sull' Ascesa della Classe Creativa edito in Italia da Mondadori.
Dove si parla di tutte le caratteristiche importanti che i l" luoghi" debbono avere per l'attrazione del Capitale Umano dalla " diversità "in poi..forse è un libro che dovrebbero leggere di più anche nell'America attuale e naturalmente anche da noi.

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20 passi per un dialogo [25 Maggio]

( 20 Maggio 2004 )

( scritto da Gian Maria Borrello Cliccare sul link per scrivere all'autore )

Vai all'aggiornamento del 25 maggio

Con questo post intendo ripercorrere la conversazione che si è svolta on line recentemente (e forse continuerà a svolgersi) fra Fiorella Operto, Tommaso Correale Santacroce e me.

Primo passo...

Post del 16 marzo

Il dialogo era partito come una sorta di intervista a Fiorella Operto e verteva sull'argomento del rapporto fra Arte e Scienza, o meglio: fra Arte e Robotica. Per meglio precisare e per essere più circostanziato: del rapporto fra comunicazione artistica (Fiorella da anni si occupa di comunicazione e di divulgazione scientifica) e robotica.

Secondo passo...

Post del 18 marzo

Fiorella ha subito posto in luce come sia connaturato allo spirito artistico l'aver a che fare con l'imprevedibile. Più volte ritroviamo nel dialogo (e in numerose occasioni lo si trova nel sito della FGB) il nesso fra "imprevedibile", "improbabile", "innovazione" (si pensi a come questi termini richiamino, pressoché immediatamente, i concetti di "libertà" e di "responsabilità"; tant'è che, nella nostra conversazione, a un certo punto è emersa la domanda se si possa parlare di responsabilità dell'artista).
Anche la robotica --ci dice Fiorella-- essendo una scienza allo stato nascente, per sua natura è una specie di "combinazione" interdisciplinare della quale non riusciamo (ancora?) a prevedere quale sarà il filone applicativo che andrà per la maggiore.

La nostra conversazione, essendo un'esperienza in presa diretta, ma per sua natura composta da interventi asincroni, si è sviluppata un po' come --citando Tommaso-- i filamenti delle nuvole. Se ci si pensa, è proprio questa sua caratteristica ciò che ha consentito una certa ricchezza di spunti, sia pur a scapito della coerenza. Cercare la coerenza nel mentre una forma di comunicazione di questo genere, in tempo reale e a più voci, si sviluppa frenerebbe di molto la spontaneità delle idee espresse.

Siamo così "passati attraverso" il principio estetico nella scienza, le opere di Patricia Piccinini (l'arte come suggestione, l'arte come "messa in scena" di relazioni), il convegno (in quel momento in corso) "Modern Biology and Visions of Humanity", "Oxygen" di Carl Djerassi, Scienza e Teatro, lo Specchio (...Alice nello specchio ci passa attraverso), il robot come ente che costringe l'essere umano a confrontarsi col proprio "io" (...lo specchio "costringe" gli astanti a confrontarsi con la propria immagine, a "ri-conoscersi" o a non "ri-conoscersi" in essa; e il problema del riconoscere un robot è argomento topico di molti film...), proprio come gli artisti ci "costringono" a guardare (e poi a "vedere") qualcosa che, diversamente, non ricadrebbe nella nostra prospettiva, nella nostra percezione, nella nostra comprensione del mondo.

Da Milton a Calvino al Capek di "R.U.R, Rossum's Universal Robots", a Pinocchio, Frankenstein, il Golem, a Nathan Never.

Fino al concetto di un "mondo misurato e dominabile", senza più imprevisti e... senza innovazione?

Robot (idealtipici) che ci prendono per mano e ci conducono a interrogarci sulla nostra libertà e responsabilità.


[25 maggio]

Not about robots, but about us

Così si chiude un recente articolo che Bruce Sterling ha scritto per Wired (ringrazio Paola Parmendola per avermelo segnalato):

«If the symposium [Ndr: the First International Symposium on Roboethics] offers a take-home message, it's not about robots, but about us. It's about the likes of Alfred Nobel, a person so farsighted that he changed the face of science. He also became one of the most notorious arms dealers of his time. San Remo was his final refuge from the opprobrium of the civilized world.

Ever since Karel Capek introduced the term with his 1924 play R.U.R. or Rossum's Universal Robots, robots have been our theatrical attempt to dress up technology in human form. They embody our very human desire to make technology into a buddy or maybe a doppelgänger - but at least somebody. Somebody like us, with one improvement: We can make a robot behave, even though we've never managed that trick with ourselves. After all, Nobel was a humanitarian benefactor who enriched the world with his weaponry. Being good is nowhere near as simple as it sounds.»

Si veda anche l'intervista che gli ha fatto Sylvie Coyaud (riportata nel blog "Tout se Tient"):
link diretto all'intervista
"Avremo i robot che ci meritiamo" (il post nel blog Tout se Tient)

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Robot: il corpo e l'anima

( 17 Maggio 2004 )

( scritto da Fiorella Operto Cliccare sul link per scrivere all'autore )

La locandina del film 'Artificial Intelligence: AI', di Steven Spielberg

Il saggio di Silvana Barbacci è oggetto dell'articolo a cui Fiorella Operto si riferisce

Desidero intervenire sulle tante ed interessanti riflessioni proposte nell'articolo intitolato "Dal Golem all'intelligenza artificiale: la scienza in teatro per una riflessione esistenziale" presentato nella sezione Argomenti. In particolare, sul tema della "rimozione del corpo" ripreso dal saggio di Silvana Barbacci e sviluppato attraverso l'analisi di alcune opere teatrali sul tema dei robot e della nascita dell'Intelligenza Artificiale.

Il Robotlab di Genova (Reparto Robotica del CNR-IAN di Genova)

Vorrei qui riprendere il tema da un punto di vista speciale, vale a dire quello dell'approccio robotico all'Intelligenza Artificiale. Questo "osservatorio" mi è offerto dal fatto che da tempo collaboro con un Laboratorio italiano di Robotica e in questi anni ho portato avanti, con i colleghi ingegneri, approfondite discussioni sui temi presentati nel saggio. È un approccio, quello della Robotica che costruisce macchine per ambienti non conosciuti, o poco conosciuti, macchine che si muovono nel mondo reale e vi devono compiere azioni, macchine intelligenti che devono sostituire o assistere l'uomo in compiti ripetitivi, difficili, pericolosi o impossibili, assai prossimo ai temi che vengono dibattuti in generale sul sito della FGB in tema di innovazione e società. Infatti la Robotica, una scienza giovane che è nata dalla sinergia di tante discipline scientifiche ed umanistiche (Meccanica, Automazione, Elettronica, Informatica, Cibernetica, Intelligenza Artificiale, attingendo contributi da Fisica/Matematica, Logica/Linguistica, Neuroscienze/Psicologia, Biologia/Fisiologia, Antropologia/Filosofia, Arte/Design Industriale), ancor più dell'Automazione, analizza il mondo della tecnologia chiedendosi come potervi inserire sempre più "intelligenza".

Recentemente, inoltre, proprio dall'associazione di cui faccio parte, la Scuola di Robotica, è nata l'iniziativa di sollecitare tra gli scienziati robotici una profonda riflessione ed un chiaro dibattito sui principi etici che devono presiedere alla progettazione ed all'impiego delle macchine intelligenti, i robot. Stiamo parlando quindi della necessità di un'innovazione il cui sviluppo sia influenzato da un approccio etico.

www.roboethics.org

Si vedano anche:
Segnalazione del 18/2/04
Rassegna stampa del 14/04/04

Ci rendiamo tutti conto della difficoltà, ed anche della complessità della proposta, ma siamo stati confortati dall'interesse - questa volta sì! - di tanti robotici, e non solo, come era stato auspicato, di studiosi di scienze morali, di filosofia, sociologia, antropologia.

Ecco da quali presupposti è partita la mia riflessione sul saggio in oggetto.

***

Scrive Italo Calvino nel Signor Palomar: " Dunque: c'è una finestra che s'affaccia sul mondo. Di là c'è il mondo; e di qua? Sempre il mondo: cos'altro volete che ci sia? E dato che c'è mondo di qua e mondo di là della finestra, forse l'io non è altro che la finestra attraverso la quale il mondo guarda il mondo".
L'io come una "strozzatura" del mondo, una singolarità del mondo, un ripiegamento del mondo su se stesso?
Uno schema, espresso in forme diverse, si ripete nei diversi dualismi che incontriamo nella vita (cuore/ragione; mente/corpo sensi/intelletto, io/mondo, e così via). Possiamo considerarlo come un apriori dovuto ai limiti della "finestra", modificabile forse con il nostro stesso sviluppo, sviluppo come "finestra-io" e come "finestra-specie"? La nostra semplificazione è così barocca da non temere quasi rimproveri.

Il Seminario in forma di Forum tenuto da Giuseppe O. Longo
(citato nell'articolo a cui Fiorella Operto si riferisce)

Da questo punto di vista, è molto interessante il concetto che Giuseppe O. Longo offre nel "Seminario in forma di Forum" su questo sito. Il "corpo" sarebbe una interfaccia con la quale "siamo" collegati con noi stessi e con il mondo. Le nostre stesse parole ci costringono però a spostare solo in là il problema: "chi" è che "è" collegato con il corpo e con noi stessi?
Le origini dell'antica storia della Mente e del Corpo "separati in casa" è senza dubbio misteriosa, e ha le sue radici nel mito (Psiche e Amore). Una delle sfide delle moderne scienze cognitive è quella di tentare di correggere l'imprecisione di Platone e l'errore - o meglio, il machiavellismo - di Cartesio.
Una breve storia ci chiarirà forse perché tra il "Golem" e "Intelligenza Artificiale" non corra buon sangue.

Il primo dei "padri" dell'Intelligenza Artificiale, Alan Mathison Turing, ideò la sua macchina computazionale come risposta ad una delle sfide lanciate dal grande matematico David Hilbert nel 1928: esiste sempre una maniera rigorosa di "decidere" (entscheiden) se un dato enunciato matematico sia falso o vero? Il giovane Turing (e contemporaneamente, ma in modo meno elegante, il già affermato professor Alonzo Church) avanzò una soluzione, al problema posto: una "macchina", una macchina computazione che potesse eseguire tutte le operazioni logiche. Ma non era una macchina fisica, quanto un meccanismo "universale", capace di venire modificato, "programmato" a seguire regole opportune a seconda delle operazioni da eseguire.
L'Intelligenza Artificiale (che nasce ufficialmente negli anni Cinquanta del Novecento) seguirà diverse strade e varie scuole, con grandi successi e anche grandi empasse. L'approccio di quella che sarà chiamata l'IA forte è quello di tentare di simulare le funzioni più evolute della mente umana mediante programmi software svincolati dalla realtà. Qual è dunque qui l'intelligenza che viene presa in considerazione? Quella dell'uomo. E volendo studiare e simulare l'intelligenza umana, da quale si comincia? Cominciamo da Kasparov, un genio! Per risolvere quale problema? Battere Kasparov a scacchi!

Il dibattito si fece aspro, e uno degli argomenti era ovviamente incentrato intorno a che cosa si intenda per "intelligenza": se un qualsiasi ragionamento può sempre essere ridotto a calcolo, allora una calcolatrice tascabile sembra essere assai più intelligente di un essere umano normale. Vennero costruiti calcolatori sempre più grandi e potenti e quando Deep Blue batté Kasparov a scacchi si gridò al "sorpasso". Ma in realtà l'IA non aveva dato grandi risultati, e non era stata inserita in alcuna macchina, con un certo grado di successo. Era stato l'investimento di alcuni ambienti culturali ed industriali statunitensi legati alle grandi macchine, ai calcolatori sempre più potenti: il mito del supercalcolatore dell'IBM. Ma ciò che è stato effettivamente realizzato tramite l'IA, al di là di alcuni giocattolini prototipo dell'MTI, sono stati sistemi di gestione finanziaria e banche dati. In realtà, macchine intelligenti che funzionino con pezzi di IA realizzata ce ne sono ben poche. Nessun "Golem" è stato fino ad ora costruito con l'IA.

Una corrente di ricercatori robotici intraprese la strada opposta a quella della IA forte, detta top-down, cioè, come accennato, il tentativo di simulare artificialmente l'intelligenza umana. Erano ingegneri robotici che si rifacevano ad una filosofia detta del bottom-up, partire dal basso, progettare e costruire tanti mattoncini intelligenti per farne pezzi di macchine intelligenti per farne macchine intelligenti. Citiamo James Albus, un noto ingegnere robotico che ha lavorato anche per la Nasa. Questi ingegneri ricordavano come nessun animale intelligente funzioni sulla base della logica formale della IA, con un corpo amorfo controllato centralmente da un potente calcolatore. E che, come gli esseri viventi si sono evoluti, con i loro comportamenti intelligenti, in relazione all'ambiente, anche le macchine intelligenti dovevano essere progettate e costruite in una relazione strettissima con l'ambiente in cui avrebbero dovuto operare.

Una delle strade intrapresa da molti scienziati e ricercatori di intelligenza artificiale è stata dunque quella dell'imitazione della Natura. Non esiste, essi hanno affermato, un'intelligenza astratta separata da un corpo, ma l'intelligenza si è evoluta sul nostro pianeta IN un corpo che vive IN un ambiente e si confronta con esso, per sopravvivere e riprodursi. Ad un organismo nato da e in un ambiente, allo scopo di sopravvivere e riprodursi, non è sufficiente la potente intelligenza che batte Kasparov a scacchi. Esso necessita di un gran numero di funzioni, o meccanismi, del "controllo" dislocati in tutto l'organismo, e coordinati in modo tale che non si verifichino azioni conflittuali tra due o più sistemi.
I ricercatori robotici si rifecero agli studi di neuroscienze, ricerche che erano iniziate a fiorire in diversi laboratori negli anni Settanta ed Ottanta del secolo scorso, secondo cui il nostro complessissimo Sistema Nervoso Centrale sarebbe costituito da diversi singoli circuiti neurali o gruppi di neuroni (G. Edelman) mentre vari meccanismi di inibizione permetterebbero di far emergere il comportamento selezionato. Un organismo evolutosi lungo la selezione naturale deve aver selezionato "comportamenti intelligenti" tradottisi in pattern di comportamenti capaci di farlo sopravvivere e riprodursi risolvendo molti nuovi problemi. Meccanismi anche "dislocati", proprio per ragioni di velocità di interpretazione/decisione/azione. Recenti studi propongono che, per esempio, in molte specie il sistema della visione sia dotato di sistemi intelligenti propri, e che molte delle funzioni di image recognition avvengano già a livello della retina.
Studi condotti nelle università del Canada, in Arizona e all'Institute of Hearthmath della California (la cui missione, interessante per i nostri scopi, è "to facilitate people in finding the balance between mind and heart in life's decisions") hanno mostrato che il cuore umano possiede una capacità di processing assai speciale. Se il cuore non "pensa" come il cervello, tuttavia esperimenta ed "elabora" informazioni di carattere emozionale che diffonde al resto del corpo attraverso percorsi ben precisi. Inoltre, un team di cardiologi dell'Università di Dalhousie in Nova Scotia ha identificato un sofisticato sistema nervoso proprio del cuore che chiamano "il piccolo cervello dentro al cuore". Questo "cervello" ha capacità computazionali molto particolari che influenzano in modo decisivo - attraverso la produzione di ormoni - sia il cuore stesso che il cervello.

In parallelo agli studi di Pierre Lévy sull'intelligenza distribuita, o connettiva, negli organismi e nei sistemi sociali, si parla dunque di "intelligenza distribuita" nei singoli organismi. In Robotica, il concetto di intelligenza distribuita è alla base delle ricerche sull'architettura di un robot.
Le implicazioni sociali ed economiche del concetto di intelligenza distribuita sono moltissime, in questo periodo di innovazioni in Robotica, di ICT e Reti.
Immaginiamo ora che si possano stabilire ampie connessioni di robot alle reti: un'espansione alla società della tele-robotica, o, come si dice oggi, e-robotics. La connessione di un robot alla rete costituirà un'espansione dei limiti fisici dei robot che possiamo costruire. Il concetto di robot cambierà, non più come una macchina fisica tradizionale, autonoma oppure controllata da un operatore, ma come un insieme di parti non necessariamente interconnesse fisicamente, ma collegate dal punto di vista dell'informazione.
Per cui, possiamo pensare ad un sistema robotico intelligente che opera in un cantiere pericoloso in cui gli occhi sono piccoli elicotteri e le braccia ruspe, governato da un centro di comando che può anche essere dall'altra parte del pianeta o addirittura su un altro pianeta. A loro volta, saranno più d'uno i calcolatori che implementeranno l'intelligenza di questo super robot: per esempio uno potrebbe essere quello che conosce perfettamente il modo di operare del robot ed un altro quello che conosce lo scenario in cui il robot sta operando ed un terzo quello che contiene il database storico di tutte le operazioni simili compiute da robot analoghi o da operatori umani nel passato. Tutti questi robot, collegati tra di loro, costituiranno di fatto i vari livelli dell'intelligenza di questo super-robot distribuito.

Si veda anche:

"Maybe, the ultimate robot !"

e, per l'Internet interplanetaria:

"Inter - Inter - net"

nel blog Kata Gene

Non è lontano un futuro in cui una fabbrica automatizzata, popolata di robot cooperanti, potrà essere vista come un unico grande organismo artificiale, una macchina che digerisce materie prime e produce cose utili all'uomo. Questo insieme di macchine, che potrà ricordare il modo di funzionare di un formicaio, è infatti un sistema, nel senso cibernetico del termine, dove lo scambio continuo di informazioni tra i vari robot rende possibile un livello di coordinazione, e quindi di cooperazione, che compensa la minore intelligenza dei singoli robot, raggiungendo livelli di efficienza competitivi con quelli di un'analoga squadra di uomini ben addestrati.
In questo senso vediamo quindi come lo sviluppo delle comunicazioni genera un'espansione del concetto di Robotica in cui la rete non è più solo un supporto per comprare robot o per teleoperare robot, ma anche uno strumento per realizzare robot più complessi. E quando la rete non sarà più soltanto una rete di calcolatori ma una rete di robot, e avrà quindi occhi, orecchie e mani, sarà diventata anch'essa un robot: sarà forse il robot finale che a volte appare nelle previsioni dei futurologi.

Addendum (Redazione FGB):
- "Can Robots Extend Hubble?" e "People Are Robots, Too. Almost" (due articoli recenti),
nonché:
- "Robotic Explorers", tutti nel sito della NASA.

Il robot della NASA che esplora Marte


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Qual è la responsabilità del formatore?

( 16 Maggio 2004 )

( scritto da Elisabetta Volli Cliccare sul link per scrivere all'autore )

Leggendo, in sequenza ravvicinata, prima l'intervista di Panzarani poi le due riletture che Bertolini e Navarra ne hanno fatto, ho potuto apprezzare come ciascuna di queste ultime abbia colto e scelto di analizzare determinati concetti espressi da Panzarani.
Da parte mia che cosa ho da dire? Qualche idea sparsa, una riscrittura delle annotazioni e delle sottolineature che ho fatto mentre leggevo.
L'aspetto che, nell'insieme di ciò che Panzarani ha detto, vedo come più caratterizzante è quello della formazione intesa come rimedio contro l'obsolescenza. Il formatore, in altri termini, insegna a restare al passo coi tempi. Questo è un primo requisito, un 'talento' (e uso intenzionalmente questo termine) che l'innovatore dovrebbe però possedere da sè.
La domanda che mi sorge spontanea è di conseguenza la seguente: innovatori si nasce o si diventa?
Perché se lo si nasce ("e io modestamente lo nacqui", direbbe Totò: mi si perdoni la battuta), allora c'è poco da insegnare. O forse, al contrario, ci sarebbe invece molto da insegnare all'innovatore sotto altri versanti, ma di certo non riguardo... all'innovare. Sarà semmai chi l'innovazione ce l'ha nel sangue che ha qualcosa da insegnare, ma non è detto che egli (o "lei") sia anche un bravo formatore... e allora resta sempre spazio al ruolo del formatore. Mi sembra che Panzarani abbia particolarmente a cuore la questione del ruolo. E ha ragione da vendere, perché l'attività del formatore è caratterizzata dal conoscere e dall'applicare codici comunicazionali funzionali a uno scopo: il fare da 'cerniera' (" ho sempre insistito molto sull'identità del nostro ruolo, che ho sempre pensato dovesse essere prima di tutto quello di fare da cerniera per far dialogare i vari 'attori' che operano nell'impresa" (Panzarani)).
Se invece innovatori si diventa, il formatore ha ancor più campo libero, perché il training che egli propone sarà "volto alla cura del 'saper essere innovatore' " (Panzarani).
Nell'un caso, come nell'altro, il formatore ha comunque un proprio spazio, modellabile in rapporto alle esigenze.
Ma... alle esigenze di chi?
Qui sta il punto per me più interessante. Bertolini afferma, giustamente, che per usare a dovere il web serve poter disporre di saperi specifici. D'accordo, ma chi è che ne ha bisogno? Conosco ventenni che non solo questi saperi settoriali ma anche i codici di decrittazione li hanno nel loro DNA (sono 'decoders' per natura, usando la terminologia proposta da Navarra). E io sono stata a contatto di gomito con un top managment per il quale invece... altro che mutazione genetica sarebbe servita!
Con ciò voglio dire che è il top management ad essere arretrato e il formatore, più che tentare di evitare che i relativi codici linguistici, i concetti che da sempre esso padroneggia, invecchino, deve purtroppo sudare sette camicie per svecchiarli. Le nuove generazioni (e chi fa ricerca è per lop iù una new generation) non hanno bisogno di quegli occhiali, (dei 'saperi specifici') che il formatore deve fornire invece al top management.
Allora, io mi chiedo se non sia vero che l'innovazione viene soltanto da chi non ha potere decisionale, cioè... da chi fa ricerca (e mai dal top management). Le dimensioni culturali e di potere decisionale tra le quali il formatore si trova (la ricerca da un lato e il top management dall'altro -ma... il formatore appartiene a qualcuna di queste? a tutte e a nessuna?!?!) sono per lo più inconciliabili perché seguono logiche molto diverse.
Qual è, allora, la responsabilità insita nel fare formazione? (Navarra: "responsabilities for the formation of the managers of the future") Quella di rendere fluida la comunicazione fra queste due dimensioni? O c'è qualcosa di più?
C'è poi la questione del " willing to share" che, a proposito di management, Navarra sfiora elegantemente e che non è affatto di poco peso.

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Training means working alongside researchers

( 12 Maggio 2004 )

( scritto da Redazione FGB Cliccare sul link per scrivere all'autore )

TILAB interview with Roberto Panzarani has been translated into English.

See also the comment to the interview by Daniele Navarra: "Innovation, Industry and the role of Researchers in Italy"

"TILAB (Telecom Italia Lab) is the research arm of the Telecom Italia Group"... [continued on www.telecomitalialab.com ].

Roberto Panzarani teaches "Innovation Processes in Organisations" at the Psychology Faculty of La Sapienza University in Rome and has worked in the training sector in Italy for many years. He was head of training at Alitalia, where he founded the Alitalia Business School. Other positions he has covered include Chairman of the AIF (Italian Association of Trainers) and of Governance (Association for the Promotion of Knowledge and Skills for the Exercise of Management Responsibilities).
In 1999 he served as advisor to the Prime Minister's Office in drafting the Master Plan for training. As an expert in Business Innovation, he works with the senior management of Italy's leading companies.

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Innovation, Industry and the role of Researchers in Italy [12 May]

( 2 Maggio 2004 )

( scritto da Daniele Navarra Cliccare sul link per scrivere all'autore )

When I was first contacted by the Editor of the Giannino Bassetti Foundation and asked to make a commentary on Prof. Panzarani's interview [12 May : translated into English] published on TILAB Magazine [see the item of 30 April, in Italian], I immediately felt the intellectual challenge to comment about the opinions of an expert of his calibre. Not only he is one of the main experts on Business Innovation Processes, but during his career he has also been President of a number of associations, has founded the Alitalia Business School, and works with the top management of the most well known Italian corporations.

Prof. Panzarani's message is that the creation of knowledge and an appropriate focus on the production of intangible assets are the key elements for the success of the modern enterprise. What is now widely known as the 'Information Society', based on the capillary diffusion of Information and Communication Technology (ICT), is a major influence to the changing social and economic circumstances of today's business and organisational realities. This in turn invites business leaders to acknowledge educators' new roles and responsibilities for the formation of the managers of the future. Not only for the impact that their intertwined effects are likely to have on the performance of business firms, and consequently in supporting sustained economic growth, but also to benefit from the continuous drive for innovation that a better educated population can make reality in all areas of social organisation.

Therefore, investment in research and education have to be considered a relevant factor in support of innovation. But what is the situation in Italy? As Prof. Panzarani points out, there has always been little investment for research in Italy. Nevertheless, it should be noted that innovation (even if 'sommersa') has always been a characteristic of Italy's Small and Medium Sized Enterprises (SMEs). Indeed Italian SMEs have always been highly innovative based on a very simple industrial structure: small firms for local production and distribution (which increases competition and diversity) and relatively big firms for export markets (which facilitates scale economies and competitiveness in international markets). However, the situation has changed.

Italy's status as an advanced nation is a case in point, especially for the imminent enlargement of the European Union towards the East. There is an unsaid expectation and yet a revealing move of many Italian SMEs of the North and the North East moving in countries like Romania some of the less glamorous industrial activities and production facilities to take advantage of cheaper labor costs. Therefore the erosion of the Italian industrial base is twofold. On one hand there is an increasing trend which sees the relocation of SMEs industrial activities abroad, but on the other there has not yet been the attempt to create a leadership in those research and innovation intensive sectors which constitute the next industrial revolution, namely: microelectronics, Information Technology, biotechnology and nanotechnology.

Arguably, in Italy augmenting investment and other resources available for research in the areas mentioned above is a priority, but the returns of the investment will also be supported by other initiatives. According to Prof. Panzarani linking effectively scientific knowledge and research and top-management decision making is also a main concern. The educators therefore become complementary investments for the use, filtering and dissemination of the impressive body of knowledge available on the Internet. As a metaphor we could make a comparison with the 'decoders' and the 'gateways'. The function of the former being to interpret and anticipate the signals of change, whereas the latter are used in supporting and enhancing communication and interaction between systems that do not normally talk to each other. That can happen within and across business and government organisations and then ultimately informing their top management by formulating in a language that is easy to understand the priorities of action for the future. This also indicates of great consequence the need to recognise the roles of scientists, educators and researchers as important actors for endorsing innovation and change. Something which represents a paradigm change in Italy's industrial and organisational reality.

Before concluding I would like to say that the themes touched in Prof. Panzarani's interview for TILAB are many and I apologise if for space and time constraints it has not been possible to appraise them all in this occasion. Nevertheless, in my opinion, much attention was given to 'what' should be done, probably not enough on 'how' it should be done. For instance, Prof. Panzarani stresses the importance of cross feritilisation for closing the gap between business and academic research following the American tradition. Setting up something similar to the Boston Innovation Center, Prof. Panzarani suggests, could help better the performance of Italy Inc. This is a very important point, unfortunately in Italy many sectors of society, business and also the public administration might not be totally ready in embracing such a revolution. 'Innovation comes from diversity' Prof. Panzarani emphasises, but this requires first and foremost that diverse actors will be indeed willing to share their knowledge and expertise in the attempt to resolve a common problem, which again points to importance of the 'how' it should and could be done.

Lucio Stanca, the Italian Minister for Innovation and Technologies, has outlined the Italian Agenda for Innovation in a presentation [*] at the Department of Information Systems at the London School of Economics. His presentation has emphasised the potential for innovation that new technologies can offer when properly applied in government and of the need to incentivise their diffusion in Italian businesses and society. In order to achieve that he points to the need of an holistic approach, from the establishment of the appropriate conditions to create and spur innovation in businesses, to the design of an appropriate regulatory framework. However, as Piero Bassetti has highlighted in his lecture at the London School of Economics [*]: 'research and discovery are not the same thing as innovation. A discovery becomes innovation only when the increase in "knowledge" implicit in every discovery becomes technology and actuating power (that is, social capital) that the discovery implements'. I believe the identification of other potential mechanisms for innovation, and their actual impacts in a variety of contexts and organisations, in relation to the important points made by such distinguished representatives of the public and the private sector could constitute the opportunity for a constructive discussion hosted by the Giannino Bassetti Foundation.

[*]

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Formazione e Innovazione

( 2 Maggio 2004 )

( scritto da Vittorio Bertolini Cliccare sul link per scrivere all'autore )

Formazione fa rima con innovazione. Ovviamente non è solo questione di identità fra le sillabe che seguono alla vocale su cui posa l’accento tonico. Nell’intervista a Roberto Panzarani "Formare significa lavorare a fianco dei ricercatori", apparsa sul periodico di Telecom "@tilab" e qui ripresa con l'item del 30 aprile, il tema della connessione fra formazione e processi innovativi potrebbe apparire scontato, quasi la scoperta dell’acqua calda, se non fosse corroborato da indicazioni concrete circa il ruolo della formazione nel realizzare le condizioni adeguate per implementare la cultura dell’innovazione. Riprendendo alcune considerazioni sul declino industriale dell’Italia di Gian Maria Gros Pietro apparse sul supplemento “Affari e Finanza” di Repubblica, dove fra le componenti di questo declino vi è la costatazione che il nostro Paese è scarsamente presente nei settori chiave della prossima rivoluzione industriale, Panzarani affronta il nodo sulla sfida che la cultura della conoscenza pone al mondo della formazione. Se nel passato la stabilità economica ha fatto dimenticare la triangolazione fra formazione, ricerca e innovazione, oggi la connessione tra formazione e istituti di ricerca assume un peso strategico.

Scrive Panzarani: «Il processo di obsolescenza, che investe inesorabilmente le tecnologie, coinvolge la formazione con una velocità sconosciuta in altre epoche». Secondo la mia opinione è compito perciò del formatore porsi come intermediario fra le esigenze del top management e la velocità con cui si spostano il mercato delle idee e il mercato intellettuale. In questo contesto, il formatore non deve solo essere in grado di svolgere il proprio ruolo specifico ma è «sempre più impegnato ad affinare gli strumenti della decisione manageriale, in contesti difficili dove sono tante le incognite e le criticità».
Secondo Panzarani il formare significa lavorare fianco a fianco con la ricerca «per decriptare e usare al meglio il flusso di conoscenze che passano attraverso il web».
Poiché il web è una fonte inesauribile di conoscenza la formazione collegata all’innovazione non può prescindere dalla conoscenza del web. Com'è risaputo l'inglese è la lingua del web, e questo non tanto per i testi a cui si può accedere, ma in quanto tutte le funzioni che si devono utilizzare sono descritte in inglese. Mi sia permesso un esempio banale. In calce alla pagina su cui sto lavorando vi sono, tra le altre, tre funzioni: Preview, Save, Delete Entry. Ma al di là di questa banalità, che guardando alla realtà dell'insegnamento delle lingue nel nostro Paese non è, forse, proprio così banale, occorre riconoscere che navigare in Internet non è solo pigiare dei tasti o manovrare il mouse, ma bensì sapersi muovere in una conoscenza che viaggia a 360 gradi e interferire con essa; e per far questo occorre disporre di saperi specifici.

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Gregory Bateson (1904-1980), I cent'anni di un pensiero vivente

( 1 Maggio 2004 )

Margaret Mead, Mary Catherine Bateson, Gregory Bateson (~1945)
...
F. Continua con Alice, papà, e non dire sciocchezze.
P. Si, stavamo parlando dei fenicotteri. Il fatto è che l'uomo che scrisse Alice pensava alle stesse cose cui pensiamo noi. E si divertì con la piccola Alice immaginando una partita a croquet che fosse tutto un pasticcio, un assoluto pasticcio. Così stabilì che si dovessero usare fenicotteri invece di mazze, perché i fenicotteri potevano piegare il collo e così il giocatore non avrebbe saputo se la sua mazza avrebbe colpito la palla né come.
F. D'altra parte la palla poteva andarsene per conto suo, perché era un porcospino.
P. Certo, così ogni cosa è talmente ingarbugliata che nessuno ha la minima idea di ciò che può accadere.
F. E poi anche gli archi potevano andarsene perché erano dei soldati.
...

(da: "Verso un'ecologia della mente" di Gregory Bateson, trad. Giuseppe O. Longo, Adelphi, 1977)

Gregory Bateson è stato citato più volte nel sito della Fondazione Bassetti: sia per quanto riguarda la tematica della "presunzione di prevedere" dello scienziato, sia in merito a quella del rapporto tra scienza e tecnica, nonché con riferimento alla questione della complessa dinamica tra scienziato ed aspetti economici della ricerca. Si veda l'intervento nella sezione Argomenti del settembre 2003.
Giuseppe O. Longo, nel seminario-forum "Progresso e responsabilità: il passaggio dalla scienza alla tecnologia" da lui tenuto nel sito dal 10 al 15 febbraio 2003, scriveva: «E' sensazione diffusa che ovunque l'uomo penetri, introducendo la sua azione finalistica cosciente, sostenuta da una tecnologia sempre più potente, si producano dei guasti sistemici. Sugli sconquassi provocati da questo tipo di intervento Gregory Bateson ha scritto pagine fondamentali, che ho avuto il privilegio di tradurre ("Verso un'ecologia della mente", "Mente e natura", "Dove gi angeli esitano", "Un'unità sacra", tutti per Adelphi, Milano). E' la finalità cosciente dell'uomo (basata su un'epistemologia sbagliata secondo Bateson) che apre alcuni cicli chiusi della natura e che (attraverso l'attivazione dei circuiti di retroazione positiva) tende a far crescere oltre ogni limite il valore di alcune variabili (di cui il denaro è la quintessenza) rendendole pericolose per la salute e l'integrità del sistema. E' vero peraltro che la lettura di Bateson, che raccomando a tutti, resta il privilegio di pochi e non so quanto le sue idee potrebbero cambiare il mondo anche se tutti le conoscessero...» (12 feb 2003)
Infine, il blog Quel che poi un metal detector, ha dedicato una pagina a Bateson per l'innovazione nella metodologia d'approccio ai problemi, che Bateson ha portato con i suoi studi orizzontali rispetto ai campi scientifici.
Bateson, infatti, ha tracciato una teoria epistemologica utilizzando conoscenze e strumenti di differenti discipline scientifiche, intrecciandole e mettendole in relazione; abbattendo così fra esse steccati che impedivano di osservare certi fenomeni con la dovuta completezza (antropologia, psicologia, fisica, etologia...). Questi studi lo hanno portato a concepire il mondo come una intera mente: una unica entità armonica.
Un altro aspetto fondamentale del suo pensiero è che egli per primo, ha spostato l'attenzione dall'oggetto che viene studiato al soggetto che lo studia: l'importanza "degli occhiali" che lo studioso utilizza per compiere il suo lavoro non può essere ignorata. Gli strumenti che si usano per analizzare un preciso fenomeno, hanno incidenza sull'osservazione che viene fatta. Quel che ora viene considerato come scontato o risaputo, cioè che lo sguardo è un elemento partecipante all'osservazione, non era in realtà preso in considerazione prima dell'apporto di Bateson: l'osservatore che si poneva in atteggiamento neutro, "era neutro".

("Gregory Bateson (1904-1980), I cent'anni di un pensiero vivente", è il titolo di un convegno promosso dal Circolo Bateson e dal Cidi di Roma. Per ulteriori informazioni visitare la segnalazione nel blog curato da Paola Parmendola)

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