Rassegna stampa
commentata da Vittorio Bertolini [ * ]

Ottobre 2002 - Primo numero

   _____Da Homo Sapiens a Homo Technologicus_____

Da Homo Sapiens a Homo Technologicus

Edoardo Boncinelli su Il Corriere della Sera del 22 novembre 2000 nell’articolo "Il corpo che avremo" scrive: «Organi bionici e organi biotecnologici. Naturale e artificiale. Sentiamo sempre più spesso parlare di meraviglie tecniche concepite per aiutare persone che abbiano un organo danneggiato da un incidente o dalla nascita: protesi elettroniche capaci di far camminare qualcuno che non lo faceva da anni, apparecchi per ridare l'udito a soggetti affetti da sordità particolarmente gravi e chip impiantati nel cervello per ridare la vista a individui ciechi dalla nascita. Tutto questo per non parlare degli stimolatori cardiaci, degli apparecchi per alleviare la sordità e delle protesi elettromeccaniche impiantate sugli arti».

Tutto ciò significa una declinazione dell’homo faber in homo technologicus, sia nel senso di ibridazione dell’uomo attraverso l’ingegneria genetica e le biotecnologie (cfr. la recensione al libro di Marchesini "Post-human.Verso nuove forme di esistenza"), che in quello di evoluzione culturale verso le dimensioni di un mondo tecnologizzato (si veda per esempio di Umberto Galimberti "Psiche e Techne").

Nel corso dei secoli l’uomo ha tentato di imitare l'atto divino della creazione, e la storia è piena di tentativi goffi e curiosi: gli automi, dispositivi spesso zoomorfi o antropomorfi che, mossi da meccanismi nascosti al loro interno, riproducevano alcuni comportamenti degli esseri viventi. E se già Omero riferisce di automi costruiti da Efesto (nel libro XVIII dell'Iliade si parla di schiave d'oro semoventi e parlanti e nel VII libro dell'Odissea si trovano cani d'oro nella reggia di Alcinoo), è nella seconda metà del Novecento, quando furono costruiti i primi calcolatori elettronici, che si capì ben presto che il computer non era solo una macchina per far di conto, ma possedeva immense capacità nell'ambito del mondo simbolico della mente.

Libri di Giuseppe O. Longo

longo-homotechnologicus.jpg (7217 byte)"Homo Technologicus"

longo-golem.jpg (9140 byte)"Il nuovo Golem. Come il computer cambia la nostra cultura"

right.gif (841 byte)I libri di Longo (su Internet Bookshop)

Giuseppe O. Longo, docente di Teoria dell'informazione all'Università di Trieste, saggista e narratore, ha pubblicato una trilogia di romanzi (Di alcune orme sopra la neve, Campanotto 1990; L'acrobata, Einaudi 1994, tradotto in francese da Gallimard; La gerarchia di Ackermann, Mobydick 1998), e alcune raccolte di racconti (Il fuoco completo, Studio tesi 1986; Congetture sull'inferno, Mobydick 1995; Lezioni di lingua tedesca, Hefti 1996; I giorni del vento, Mobydick 1997). Egli è senz’altro fra gli studiosi italiani quello che maggiormente si è posto il problema dei mutamenti paradigmatici, sia in campo etico che filosofico-culturale, prodotti delle interazioni uomo-macchia, alla luce delle innovazioni indotte dalle tecnologie informatiche e biotecnologiche. Si vedano "Il nuovo golem. Come il computer cambia la nostra cultura" (1998, pp. 144 Universale Laterza) e "Homo technologicus" (Meltemi editore, pp. 214).

Dal 6 settembre 2001 cura per il quotidiano Avvenire la rubrica "Sala Macchine" in cui commenta come l’innovazione tecnico-scientifica si debba rapportare a un concetto di responsabilità più ampio.

Partendo dagli articoli pubblicati su Avvenire e da altri che hanno recensito l’opera di Longo, cerchiamo di costruire un percorso coerente sulla tematica "uomo, tecnologie informatiche e ingegneria genetica" che sintetizzi il pensiero del docente triestino.

G. L, "Robot in cerca di un'anima: e l'uomo perde identità" Avvenire, 13 settembre 2001:

«Questi congegni (gli automi) erano ovviamente lontanissimi dai loro modelli, cui si avvicinavano per la forma esteriore, ma non certo per la somiglianza strutturale e funzionale. Le cose subirono una svolta verso la metà del Novecento, quando furono costruiti i primi calcolatori elettronici. A questo punto l'obiettivo dei costruttori mutò: non si cercò più, ingenuamente, di costruire una creatura simile all'uomo nel suo complesso, bensì di riprodurne o simularne con precisione una sola parte, quella ritenuta più importante: la mente».

Il tentativo «di riprodurre nei computer non solo l'intelligenza astratta, bensì anche i sentimenti, le emozioni e quella sfuggente entità che si chiama coscienza», comunque, avveniva sempre nella distinzione fra uomo e macchina.

G. L., "Il turco dentro il computer", Avvenire, 27 giugno 2002:

«La macchina non fa altro che eseguire un programma che le è stato assegnato dall'uomo. [….] è come se all'interno del calcolatore si nascondesse un essere umano, o almeno il suo fantasma sotto forma di algoritmo. La macchina sarebbe solo un prolungamento della nostra mente: il senso delle sue operazioni starebbe sempre nell'uomo».

È con l’avvento delle tecniche dell’ingegneria genetica che si apre la possibilità della «grande tappa evolutiva di cui siamo testimoni e protagonisti, dall'homo sapiens all'homo technologicus, o, se si vuole, dall'uomo "a tecnologia limitata" all'uomo "a tecnologia intensa".

Marcello Cini, "Un umano ad alta intensità tecnologica", il manifesto 20 maggio 2001, recensione a "Homo technologicus:

«L'homo technologicus non è 'uomo-più-tecnologia': è bensì un'unità evolutiva profondamente nuova, è un'unità organica, mentale, corporea, psicologica, sociale e culturale senza precedenti, che, se partecipa ancora dei miti, dei desideri e delle necessità dell'uomo 'tradizionale', crea anche miti, necessità e desideri suoi propri e inediti. [….] La penetrazione del corpo potrebbe preludere dunque alla nascita di un simbionte totale e non più soltanto cognitivo».

Umberto Bottazzini, "Storie tecnologiche", Il Sole 24 Ore, 25 marzo 2001:

«Secondo Longo, "ci sono segni premonitori di un cambiamento radicale dell'umanità, che potrebbe anche configurarsi come la fine dell' Uomo a tecnologia limitata come lo conosciamo". Oggi siamo testimoni del passaggio, "possibile, anche se non certo", dall'homo sapiens all'homo technologicus, il simbionte uomo-macchina, un'entità organica, mentale, sociale e culturale senza precedenti» (Umberto Bottazzini, "Storie tecnologiche", Il Sole 24 Ore, 25 marzo 2001)

Ma sia nel caso in cui interpretiamo l' Homo technologicus come una realtà biologica, sia nel caso in cui l' Homo technologicus coincida col vecchio sapiens che ha accelerato la sua evoluzione culturale, ci troviamo di fronte, come scrive Pietro Greco in "E' nato Homo technologicus. Ucciderà Homo sapiens sapiens" (L’Unità, 11 luglio 2001) a:

«una nuova fase evolutiva in cui la tecnologia si innesta direttamente nell'uomo, mettendo in crisi i paradigmi estetici ed etici che nei secoli hanno conservato l’armonia dinamica dell’uomo nei suoi rapporti con la natura».

Umberto Folena, "Rallenta, uomo, rallenta/La velocità della tecnologia rischia di cambiarci la psiche; parla lo scrittore-informatico Longo", Avvenire, 8 marzo 2001):

«La capacità di agire dell'homo technologicus è infinitamente superiore alla sua capacità di pensare e prevenire. […] La tecnologia è veloce, efficiente, precisa. E ci sottrae la responsabilità di pensare, ricordare, progettare il futuro», «Siamo protagonisti di una nuova fase evolutiva in cui la tecnologia si innesta direttamente nell'uomo, mettendo in crisi i paradigmi estetici ed etici che nei secoli hanno conservato l’armonia dinamica dell’uomo nei suoi rapporti con la natura».

A sua volta Giuseppe Longo, in "Epidemie globali" (Avvenire, 18 ottobre 2001), afferma che:

«in un mondo via via più complesso prevedere le conseguenze delle nostre azioni è sempre più difficile e l'uso di una tecnologia potente e rapida nell'agire aumenta in modo perverso gli effetti della nostra perdita di controllo».

Francesco Dalmas, in "Ma il futuro non è di maghi e computer" (Avvenire, 19 ottobre 2000) riferisce dell’intervento di G. Longo al convegno "Il futuro: previsione, pronostico e profezia", promosso dall'Istituto veneto di scienze, lettere ed arti:

«Gli strumenti di previsione si sono evoluti meno degli strumenti di intervento, quindi siamo costretti a prendere decisioni poco informate che possono trasformare l'uomo ed il mondo in maniera irreversibile», con la conseguenza di vanificare la nozione di responsabilità verso coloro che non prendono parte alle decisioni: le popolazioni del terzo mondo, gli ampi strati esclusi dei paesi progrediti, le generazioni future. «La programmazione finalistica che anima lo sviluppo tecnico si scontra con la complessità ingovernabile del mondo, conferendo all'evoluzione biotecnologica una forte dose di aleatorietà».

G. L., "Maciste e Carnera, muscoli a quattro ruote", Avvenire, 6 giugno 2002

«Quelle erano le vere macchine, che esibivano i muscoli e i tendini; oggi i computer nascondono i neuroni. L'intrico delle cinghie di trasmissione nelle officine meccaniche, che parevano giungle tropicali in preda a furibonda agitazione rototraslatoria, è stato sostituito da microcircuiti indecifrabili come le mappe di città extragalattiche. Non c'impressionano più con la forza, s'insinuano con l'astuzia, le nuove macchine, si saldano alle sinapsi e le prolungano dentro mondi virtuali. Non minacciano più di schiacciarci o di folgorarci, ma promettono di trasfigurarci».

(12 ottobre 2002)

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[*]Vittorio Bertolini (right-sfondochiaro.gif (838 byte)Scheda biografica) collabora con la Fondazione Giannino Bassetti
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