Rassegna stampa
commentata da Vittorio Bertolini [ * ]

Luglio 2002 (Secondo numero)

Post Human   _____Post Human_____

Su Avvenire del 30 maggio, Giuseppe Longo ha pubblicato l’articolo L'intelligenza artificiale ora reclama un corpo. In questo articolo il prof. Longo, prendendo spunto dal campionato di calcio fra robot, la RoboCup Robot Soccer World Cup, fa il punto su quelle che, con po’ di schematizzazione, possiamo definire le tecnologie dell’artificiale. Da un lato "gli studi tradizionali di Intelligenza Artificiale" che "hanno sempre privilegiato la mente, il formalismo astratto, il linguaggio, la logica e hanno trascurato quello che, nell'uomo, è il supporto indispensabile delle capacità cognitive". Dall’altro la robotica, cioè quella "disciplina che studia e costruisce quelle macchine da fantascienza che imitano il comportamento meccanico degli umani".

Ma la distinzione fra IA e robot si fa ogni giorno sempre più sottile, e se fino a ieri l’invenzione della "formula della sostanza che può dare la vita alla materia inanimata" apparteneva alla letteratura, oggi le possibilità dell’ingegneria genetica possono farci pensare alla creazione di un "golem ... al servizio dell'uomo per sollevarlo dai compiti più pesanti. Ma, che può ribellarsi al suo costruttore e metterne in pericolo la vita".

Ad allontanarci "dalle paure che inducono in tanti le innovazioni tecnologiche, dai "mostri" delle biotecnologie alle entità prodotte per via informatica" è l’articolo Post-faber, l'umano nel pianeta della tecnosfera in cui Franco Voltaggio su il Manifesto del 18 giugno recensisce il libro di Roberto Marchesini "Post-human. Verso nuove forme di esistenza" (Bollati Boringhieri, 577 pagine, euro 32,00). "Esiste, sostiene Marchesini, un mito della sostanziale «incompletezza» dell'uomo, in primo luogo rispetto agli altri primati, in secondo luogo rispetto agli animali in generale". Questo mito, sia che affondi le proprie ragioni nelle teorie evoluzionistiche che nelle narrazioni della creazione, presenta sempre l’uomo come una creatura in cui il processo creativo non si è ancora compiuto. Se nei miti sulla creazione la precarietà dell’essere umano incontra sempre un Prometeo o un Gilgamesh pronti a soccorrerla, nella teoria "neotenica" del ventesimo secolo l’immaturità di "un animale incapace di vivere sugli alberi, debole, costretto alla natura eretta e sostanzialmente indifeso all'interno di un ambiente ostile" viene "tuttavia ribaltata in superiorità nei confronti dell'intero regno animale", conferendo all'uomo la sua speciale indole di faber.

"Di qui la signoria dell'uomo sul mondo tutto, attuato in forza della tecnica e della cultura". Ma questa signoria dell’homo faber si sostanzia anche nella capacità di modificare la propria natura, con la nascita di tutte le ambivalenze, come scrive Longo, "tra il creatore e la creatura (si pensi al mostro del dottor Frankenstein, nato dalla fantasia di Mary Shelley)".

Sia nel discorso di Longo che in quello di Marchesini-Voltaggio è centrale il discorso dell’ibridazione (commistione con il diverso), nel senso che, come scrive Longo nell’articolo Computer e geni, la differenza c'è (Avvenire, 11 aprile) "Conoscenze e inventiva sono state ormai trasferite sul nostro simbionte di silicio" o a sua volta Voltaggio "l'ibridazione... contempla l'ibridarsi dell'uomo con i suoi stessi prodotti culturali, dunque anche con il mondo delle macchine o tecnosfera".

Ma l’incontro dell’uomo con l’alterità, sia essa quella dell’animale (come nei miti dell’antichità) sia con quella della macchina (a cui la cronaca quotidianamente ci rimanda), intacca il "mito biblico della fissità della specie umana... credenze e costumi intesi a permettere la permanenza invariata nel tempo, cioè, per l'appunto, la sopravvivenza".

Se la cultura è stato lo strumento primario "escogitato dalle comunità umane per sopravvivere", nel nuovo paradigma della tecnosfera è proprio nella cultura (scienza) che "si manifestano incessantemente processi che mettono in iscacco i nostri miti".

Di fronte a questa ambiguità del ruolo della cultura, garanzia della sopravvivenza e messa in iscacco dei miti della sopravvivenza, da cui scaturisce l’insicurezza e la diffidenza dell’uomo verso le conseguenze delle proprie realizzazioni, vi è un ulteriore aspetto che in un certo senso è quello che consente la chiusura del cerchio. La cultura è anche lo strumento che consente di fare chiarezza, ossia come si legge nell’articolo di Voltaggio, il sapere va inteso "come un «sapere dei limiti» e dunque della responsabilità". Il medesimo concetto che Longo esprime nella chiusura del articolo dell’11 aprile con la formula, più che dubitativa, scettica: "il pensiero si può delegare alla macchina, molto più fidata e precisa. Mah, sarà...".

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(2 luglio 2002)

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[*]Vittorio Bertolini (right-sfondochiaro.gif (838 byte)Scheda biografica) collabora con la Fondazione Giannino Bassetti
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Post Human: aggiornamenti upda.gif (933 byte)[13 agosto 2002]

new.gif (896 byte)[13 agosto 2002]" Dai rapporti con la tecnica alle ibridazioni: evoluzione del concetto di 'post-human' ", di Antonio Caronia, L'Unità, 8 agosto 2002 (testo integrale nella Rassegna stampa del Sito Web Italiano per la Filosofia)

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right.gif (841 byte)Giuseppe Longo: si veda l'argomento "Tecnoscienza e Responsabilità"

«In Italia Giuseppe O. Longo aveva formulato l'ipotesi che l'impennata dell'ibridazione fra uomo e tecnica, verificatasi negli ultimi decenni con le tecnologie informatiche, stesse avviando l'umanità verso una nuova specie ibrida, quella indicata dal titolo del suo libro "Homo technologicus" (uscito nel 2001 da Meltemi). Quest'anno Roberto Marchesini, col suo ponderoso lavoro "Post-human". Verso nuovi modelli di esistenza (Bollati Boringhieri, pagine 578, euro 32,00), aspira a fare il punto del dibattito, e ci riesce, a mio parere, benissimo. Marchesini sostiene e argomenta una chiara tesi di fondo: che nella storia evolutiva dell'uomo l'ibridazione con la tecnologia non sia una novità assoluta, dato che la specie umana si è sempre caratterizzata per una elevata capacità di rapportarsi in modo collaborativo e ibridante con mondi ed esperienze lontane dalla propria: con gli animali in primo luogo, e non solo con la tecnica. E' questa capacità di apertura all'altro, e non già l'incompletezza ontologica (come sostiene l'antropologia filosofica di Plessner e Gehlen) a "definire" l'uomo secondo Marchesini. Del tutto fuorviante, dunque, concepire il linguaggio e la cultura come contrapposti alla natura: essi rientrano a pieno titolo nei processi naturali, e non ha alcun senso contrapporre l'artificiale al naturale. Scrive Marchesini: "Sono convinto che l'uomo si è differenziato (e sempre più si differenzia) dalle altre specie proprio perché ha saputo costruire eteroreferenze che lo hanno avvicinato, non allontanato, rispetto al mondo non-umano (... ) L'emergenza della cultura è un evento rivoluzionario nel panorama evolutivo - e quindi di fatto divergente rispetto ai percorsi intrapresi dalle altre specie - ma questo non significa che sia un allontanamento dai modelli naturali. La peculiarità dell'uomo sta, viceversa, proprio nel ripiegamento ovvero nella ricongiunzione, attiva e creativa quanto si vuole, ma fortemente indirizzata verso l'alterità". (Post-human, p. 83).»

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right.gif (841 byte)Questo aspetto evidenziato da Caronia può richiamare quanto detto da Andrea Granelli nel suo intervento al seminario di Varian organizzato dall'Isvor: si veda, in particolare, il  commento di Gian Maria Borrello a proposito dell' "ecosistema informativo".
• Il seminario: nelle News del 4 luglio e nel resoconto di Paola Parmendola

«Mi permetto però di sollevare due problemi diversi tra loro, che mi sembra emergano dalla sua analisi ma che non ho trovato ancora sufficientemente evidenziati. Il primo è quello del possibile attrito fra il funzionamento del nostro cervello come ci è stato consegnato dall'evoluzione (e che per questo altre volte ho chiamato, provocatoriamente, "paleolitico"), e le caratteristiche del nostro più importante partner tecnologico, cioè il computer: mi chiedo se, in un mondo e un sistema che accentuano la valorizzazione degli aspetti quantitativi delle performance cognitive e comportamentali, il nostro cervello non possa subire un eccessivo stress dal rapporto con questo partner che di tutta evidenza ci surclassa proprio sul piano computazionale.»

"La nostra specie è aperta a tutte le forme di vita, siamo preparati per un futuro post-human", di Dario Voltolini, su La Stampa del 23 giugno 2002 (testo integrale sul sito www.incontrisulpianeta.it)

La solida ipotesi teorica elaborata da Roberto Marchesini nel suo recente libro "Post-human.Verso nuove forme di esistenza"  è la seguente:
«L'uomo, nelle sue più profonde e fertili autorappresentazioni, si è dipinto via via elaborando variazioni dello stesso tema.  Il tema è quello dell'incompletezza umana, un paradigma di pensiero che può accogliere tanto il mito della nostra separatezza dagli altri esseri, tanto quello di una nostra purezza essenziale verso cui siamo in cammino, tanto quello del dualismo mente-corpo, e persino quello della discontinuità fra la sfera naturale e quella culturale.  Ora, questo paradigma è frutto di un errore di prospettiva su noi stessi. (...) Il nostro sviluppo culturale può apparire come la risposta a una incompletezza biologica, nel senso che il tentativo di emanciparci e di completarci avrebbe dato luogo a una sfera di manifestazioni - la cultura appunto - di cui non c'è traccia presso le altre specie. Ma questa stessa sfera è al tempo stesso prodotto della nostra incompletezza e alibi per pensarci autoreferenzialmente separati, fino agli esiti di totale autodeterminazione del nostro futuro. Se noi siamo la specie che, unica fra tutte, può decidere in che direzione procedere, allora siamo anche la specie che, unica, può evadere dal cosiddetto bacino darwiniano delle spinte selettive. Ci autodeterminiamo e ci collochiamo fuori dalla biosfera in un senso importante, quello che concerne le mosse imprevedibili e casuali della storia evolutiva delle specie. Bene, tutto questo non ha, secondo Marchesini, alcun senso.»

La proposta costruttiva è la seguente:
«Non esiste un'incompletezza da colmare, o una completezza da raggiungere. Al contrario, chiudere il flusso con l'alterità significherebbe scomparire. Il fondamento non della nostra specie, ma della possibilità stessa della nostra storia evolutiva, sta nella nostra apertura verso l'alterità di specie.»

"Post-umani come angeli", di Andrea Lavazza, su Avvenire del 13 luglio 2002 (testo integrale sul sito www.incontrisulpianeta.it)

«Basterebbe il catalogo delle ricerche scientifiche che hanno come oggetto l’uomo a raccomandare la lettura del recente saggio di Roberto Marchesini, giovane studioso bolognese, docente di Bioetica all’Università statale di Milano. Ma "Post-human. Verso nuovi modelli di esistenza" è molto più d’una rassegna ragionata delle "mutazioni" a cui potremo essere sottoposti. Marchesini infatti inquadra il problema in una cornice storica e teorica altrettanto ricca e stimolante. Muovendo dalla contrapposizione tra tecnofili e tecnofobi, egli mostra come entrambi siano vittime di una visione parziale.
O perché, nel primo caso, troppo rischiosa, o perché, nel secondo, inevitabilmente anacronistica. I transumanisti, la punta più avanzata dei teorici della tecno-scienza tesa a superare l’"uomo limitato" consegnatoci dall’evoluzione, cavalcano un’antica volontà di potenza antropocentrica, pronta a schiacciare qualsiasi alterità. È l’egoteismo, come lo chiama l’autore, di chi punta a farci angeli disancarnati, liberi dagli impacci del corpo. Li fronteggiano i nostalgici di una natura armonica e incontaminata, contrapposta alla cultura dell’oggettivismo scientifico, una natura che con simili connotati non è mai esistita ed è a sua volta un prodotto culturale di un’epoca determinata. La ricerca non si può fermare, constata Marchesini; bisogna invece guidarla. Non è la tecnica a costituire il pericolo, bensì la teoria che la sorregge.»

«Dobbiamo conservare l’umiltà dei nostri limiti, il rispetto dell’"altro" da noi, come individui e come specie. Senza dimenticare che gran parte dei sei miliardi di abitanti del pianeta rimane esclusa dai benefici del progresso. L’obiezione dei tecnofili però è già nell’aria: se siamo il prodotto di una evoluzione perché non potremmo metterci ora noi al timone, visto che ne abbiamo i mezzi?»

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