Dulbecco e il gene egoista
«Ogni azione umana è di natura egoistica: a ogni livello l'individuo cerca di
arricchirsi in vari modi esercitando attività di vario tipo, sebbene ciò non sia ovvio:
il politico e il militare cercano gloria e potere; lo scienziato vuol fare qualche grande
scoperta per essere riconosciuto attraverso il conferimento di premi (...)
Consideriamo l'operato di uno scienziato per vedere che cosa lo ha motivato».
A questo incipit potrebbe seguire un lungo elenco di aneddoti, fatti ed episodi, piacevoli anche ma che darebbero una scarsa luce alla comprensione della genesi dellinnovazione scientifica. Nel racconto della storia della scienza fatto per episodi cè pure sempre il rischio della caduta nel pettegolezzo e di assumere come punto di vista quello del buco della serratura. Credo sia stato Brecht ad affermare che la proposizione che nessun granduomo è tale per il suo servo è valida solo per i servi in quanto essi osservano tutti gli uomini con occhi di servo.
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Questo rischio (del pettegolezzo) non riguarda lo scritto di cui alla citazione, in primo luogo perché lautore dello scritto è lo scienziato di cui si parla sono la stessa persona e poi perché lo scienziato è il premio Nobel Renato Dulbecco. Ma inoltre questo scritto ci consente alcune valutazioni non banali (almeno spero) sui processi innovativi nella scienza, ma anche al di fuori della pratica scientifica.
La citazione è stata tratta da Repubblica del 19 ottobre, dove è stato riportato un brano del libro di Dulbecco "La mappa della vita", che sarà fra qualche giorno in libreria. Seppure nei limiti spaziali di un articolo di giornale, è facile dedurre che ci si trova di fronte ad un testo di buona divulgazione che consente anche a persone con conoscenze limitate nel campo della genetica, di farsi unidea sufficientemente chiara su quelle cose abbastanza strane che sono i geni. Ma a parte ciò, il brano in questione, come detto sopra, si presta ad alcune considerazioni sulla pratica della ricerca scientifica. Quando parliamo di ricerca scientifica, di innovazione e così via abbiamo sempre in mente il confronto fra paradigmi alla Kuhn oppure i programmi di ricerca di Lakatos, eventualmente nella nuova lettura, fra Hegel e Popper, che ne fa Matteo Motterlini nel volume "Lakatos", ma si sottacciono ragioni più immediate, che si rifanno più direttamente alle motivazioni del ricercatore. Accanto alle ragioni dellepistemologia abbiamo anche le ragioni della sociologia e della psicologia.
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Richard Dawkins:
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Nella sua divulgazione su cosa sia il gene e le sue qualificazioni, Dulbecco mutua da Richard Dawkins il concetto di gene egoista: "con qualche eccezione, egoismo e combattività sono caratteristiche dei geni a ogni livello ( ) ma l'egoismo dei geni, e perciò delle cellule, si riflette sulla vita di organismi complessi, quali gli esseri umani".
A questo punto, Dulbecco invece di farci lelenco di tutti gli egoisti le cui imprese la storia e la letteratura ci hanno tramandato ci parla di se stesso e del modo con cui, prima ha collaborato con Salvador Luria per poi accettare lofferta di andare al Caltech, dopo essersi ben informato se quella fosse una buona università, paragonata all'Università dell'Indiana, e abbandonando il suo tutore, che fu profondamente addolorato dalla decisione, il che però non lo disturbò affatto "il nostro scienziato, che anzi era felice di una nuova avventura".
Dulbecco termina il brano scrivendo «Anni dopo, i suoi giovani collaboratori fecero la stessa cosa a lui: se ne andarono per aprire un nuovo laboratorio vicino a New York; era la restituzione di ciò che egli stesso aveva fatto a Luria. Tutti sono egoisti».
Indubbiamente questo passo rappresenta una esplicazione debole (molto debole) dei processi innovativi in relazione al comportamento "egoistico" delluomo, infatti non vi è nessuna relazione causale tra il "gene egoista" e il comportamento umano, a meno che non ammettiamo con Dawkins una stretta correlazione fra geni egoisti e memi egoisti, ma questa è unaltra storia.
Nonostante ciò, la metafora del "gene egoista" e la narrazione di Dulbecco ci consentono invece una rapida riflessione su un particolare aspetto dei processi innovativi, non solo nella scienza ma anche in altre attività, come per esempio in campo imprenditoriale. Lo scienziato Dulbecco, che pur lavorando con Luria, presto trova un altro problema che gli piace, e comincia a lavorare su di esso in segreto, e limprenditore Mauro Fantin, che ha di recente vinto il premio Adriano Olivetti, perito elettrotecnico disoccupato che lavora a un progetto, relativo alla trasmissione su cavi in fibra ottica, per la Pirelli Optoelettronica, rappresentano ambedue un modello di comportamento innovativo che si discosta in parte da quelli che crediamo i paradigmi correnti.
Non è casuale che ogni volta che parliamo di processi innovativi utilizziamo il termine progetto; facciamo riferimento cioè a un qualcosa che è scomposto in parti e che va riportato allunità, di qui perciò lesigenza di un rapporto collaborativo fra tutti i partecipanti al progetto e la conseguente applicazione di procedure conosciute e riconoscibili. In pratica, lopposto del lavoro solitario e segreto di cui parla Dulbecco: «il nostro scienziato presto trovò un altro problema che gli piaceva, e cominciò a lavorare su di esso in segreto, facendo gli esperimenti di notte».
Lapparente contraddizione fra questo Dulbecco e il Dulbecco promotore e coordinatore del progetto Genoma umano si spiega con il fatto che nei processi innovativi sono richiesti momenti di partecipazione diversi.
Marcello Pera ricordando Fermi su Il Sole 24 Ore del 21 settembre scrive che «in primo luogo, la personalità dello scienziato (come singolo) è largamente responsabile della scelta dei problemi, dell'impostazione delle soluzioni, dello svolgimento della ricerca». A questo primo momento che potremmo definire "prometeico", deve necessariamente subentrare il momento collaborativo. Restando alla metafora di Dawkins, il "gene egoista" ha compreso nel suo egoismo la necessità del momento collaborativo; Dulbecco riferendosi ai mitocondri scrive: «Essi entrarono nelle cellule come batteri parassiti, ma poi si adattarono a formare un insieme funzionale con la cellula ospite. I mitocondri mantengono la capacità di riprodursi, ma lo fanno in armonia con la riproduzione della cellula».
Se un processo innovativo nasce come conseguenza dell"egoismo", per potere poi progredire ha bisogno di un procedimento collaborativo. Riprendendo larticolo di Pera citato sopra: «nella scienza entrano anche la responsabilità e l'etica», daltra parte è ormai noto che il "dilemma del prigioniero" trova la sua soluzione nellambito dei giochi cooperativi (cfr. larticolo di Armando Massarenti su Il Sole del 1 ottobre 2000).
Possiamo dire che competizione (egoismo) e cooperazione sono le due strategie che fanno avanzare i processi innovativi, e senza dei quali o il processo non può nascere oppure non può crescere.
Paolo Rossi in una intervista allUnità del 17 ottobre parla di «Disobbedienza nel senso che ogni generazione accresce e modifica il patrimonio che le è stato lasciato, violando regole stabilite secondo il principio che non si può star fermi nel mondo del sapere, della conoscenza, che bisogna discutere, dubitare». La disobbedienza nel senso di Paolo Rossi e legoismo nel senso di Dulbecco non sono altro che le due facce della stessa medaglia del porsi in posizione critica rispetto alla conoscenza standard.
Unultima considerazione: in un precedente commento a un articolo di Dertouzos, era stato posto laccento sullinintenzionalità dei risultati dellinnovazione tecnico-scientifica. Dulbecco nel suo articolo scrive: «Più tardi lo scienziato fece un'altra interessante scoperta, di nuovo completamente da solo: che la luce di una lampada a fluorescenza può risuscitare un virus ucciso dalla luce ultravioletta. La scoperta derivò da un'osservazione accidentale, e il nostro scienziato ne finì la descrizione in pochi giorni». Il casuale di cui parla Dulbecco non è certamente il casuale del piccolo chimico che mette insieme alcuni ingredienti e poi attende il botto. Gli effetti casuali sono sempre nellambito di un filone di ricerca, inoltre la capacità di riconoscere la scoperta non è affatto casuale, ma la conseguenza di trovarsi allinterno di una teoria non ancora del tutto consolidata. In questo senso forse più che di scoperte casuali è più opportuno parlare si scoperte non del tutto previste.
Ma forse linnovazione è proprio questo, la scoperta del non previsto (che non è affatto il non prevedibile).
(6 novembre 2001)
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[*]Vittorio Bertolini (Scheda biografica)
collabora con la Fondazione Giannino Bassetti
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