Rassegna stampa
commentata da Vittorio Bertolini [ * ]

Marzo - Aprile 2001


La protesta dei Nobel e il governo della ricerca scientifica   -   Il finanziamento della ricerca: a chi spetta la decisione?   -   Controllo sociale delle applicazioni tecnico-scientifiche, multinazionali e profitto, interesse pubblico e interesse privato    -   Principio di responsabilità come calcolo di costi e benefici    -   Principio di precauzione e Principio di certezza   -    La percezione del rischio   -   Tra "precauzione" e "certezza": a chi spetta il ruolo decisionale?    -   La politica nell'età globale


A quasi due mesi di distanza, commentare quello che è stato riportato sulla stampa quotidiana può apparire, se non letteralmente almeno culturalmente, un ossimoro. D'altra parte non sempre quello che appare sui quotidiani si esaurisce nella quotidianità, e spesso vi sono argomenti, che pur essendo riconducibili alla cronaca conducono a valutazioni che trascendono i fatti della cronaca.

La protesta dei Nobel e il governo della ricerca scientifica
La protesta dei Nobel, come è stata definita la manifestazione di protesta contro la politica oscurantista del ministro verde Pecoraro-Scanio, rientra senz'altro nello schema di un fatto di cronaca, che però assume la valenza di una questione che sarà centrale nel dibattito pubblico dei prossimi anni.
E' irrilevante se il ministro ha fatto un po' di confusione fra sperimentazione in campo aperto e sperimentazione in campo agricolo - la cosa al massimo può essere vista come un marcatore del grado di competenza di Pecoraro-Scanio -, al centro della polemica sta la questione del governo della ricerca scientifica, che non è solo questione di Ogm, ma riguarda sia la scelta dei fini che il controllo delle procedure.
Infatti, nell'epoca della complessità non possiamo più ritenere che le metodiche della ricerca siano completamente neutrali rispetto ai fini, ovvero che si possa tener distinta la ricerca di base dalle applicazioni tecnologiche.
Ma forse questo era vero anche nell'epoca della semplicità. Se Galileo non avesse perfezionato l'invenzione di un oscuro ottico olandese e puntato il suo cannocchiale su la Luna e su Saturno, la storia de il Dialogo sui massimi sistemi sarebbe diversa .
Ovviamente in ogni polemica, quale che sia il livello del tema trattato, vengono anche utilizzati elementi impropri e di basso profilo, per esempio argumenta ad hominem attraverso cui più che a ribattere alle ragioni dell'avversario si tende a metterne in cattiva luce la credibilità.
Pecoraro-Scanio su Repubblica e Gianni Mattioli su La Stampa, anche se in modo più garbato rispetto ad altre occasioni (vedi Il Giornale del 14 dicembre 2000) fanno intendere che dietro la manifestazione di Roma ci sia l'interesse di una qualche lobby tecnico-scientifica.
Non c'è dubbio che l'adagio di Smith che il nostro pane quotidiano più che al buon cuore del fornaio lo dobbiamo al suo interesse, si adatta non solo ai birrai e ai macellai ma pure a chi coltiva la ricerca scientifica. Ma dopo Weber dovrebbe essere ormai acquisito che dietro gli interessi non sempre e comunque c'è puzza di zolfo.
Prospettare il problema del governo della ricerca in termini di lobby è non solo inconsistente ma anche fuorviante, nel senso che sposta l'attenzione dal vero problema, che è quello del rapporti fra consenso democratico e autonomia della ricerca.
Se infatti dietro il bio-tech esiste un consistente conglomerato di interessi industriali, il biologico, su cui in Italia convergono circa 50.000 imprese, coagula un insieme di interessi economici diffusi che in un sistema distrettualizzato, com'è quello della filiera alimentare italiana, hanno una notevole influenza sul piano del consenso politico e sociale.
Eventualmente, se siamo abbastanza hegeliani, possiamo pensare che dietro gli interessi dei ricercatori, che senz'altro esistono, si nasconda una qualche astuzia della ragione scientifica.

Il finanziamento della ricerca: a chi spetta la decisione?
Pur con uno spessore diverso, però anche i riferimenti polemici alla scarsità di fondi destinati alla ricerca possono rientrare nella categoria delle argomentazioni ad hominem; infatti più che sviluppare una credibile analisi critica delle difficoltà individuano, sic et simpliciter, nella sostituzione della classe di governo l'avvio delle magnifiche sorti e progressive della ricerca scientifica italiana. L'articolo di Alessandro Cecchi Paone su il Giornale è paradigmatico. Esaustivo e puntuale, leggermente polemico anche contro le posizioni più integraliste della chiesa cattolica, è la versione buonista del politically correct nel campo dell'informazione scientifica. Sulla stessa lunghezza d'onda, senza il sottinteso politico però, sono da considerarsi gli articoli di Antonio Polito (La Repubblica - 13 febbraio) e Gianni Riotta (La Stampa - 11 febbraio). In pratica ci viene confermato che nonostante le magnifiche prospettive, la ricerca scientifica italiana ha la parte di Cenerentola nella ripartizione della spesa pubblica.
La questione della ricerca scientifica è sì questione di quote del Pil, ma anche di qualità della ricerca, specialmente come quando nel caso italiano le risorse sono scarse. Quale e quanta ricerca di base e quale e quanta indirizzata verso il know-how tecnologico? quale e quanto il ruolo dei privati? è prioritaria la fisica delle particelle o la ricerca sul cancro? e così via.
Su questi snodi a chi spetta la decisione. E' facile dire che si tratta di decisioni politiche, ma è poi così piano che le decisioni politiche siano di competenza dei politici?
La "meccanizzazione agricola, il benessere degli animali negli allevamenti, le etichette per i prodotti, il monitoraggio degli Ogm negli alimenti..." per Pecorario-Scanio (Il Giornale del 14 dicembre 2000) sembrano essere le frontiere della ricerca italiana. Ora nessuno nega che il settore della meccanica agricola ha una qualche importanza per l'occupazione, per la bilancia commerciale e per la produttività dell'agricoltura, ma forse gli investimenti in proposito dovrebbero riguardare una buona politica industriale che sappia far emergere risorse private.
Il finanziamento di ricerche sul benessere degli animali, sulle etichette per i prodotti e il monitoraggio degli Ogm negli alimenti sembrano invece rientrare nella categoria di quegli interventi a pioggia che nella tradizione italica hanno sempre avuto la funzione di favorire gli amici del "principe".

Controllo sociale delle applicazioni tecnico-scientifiche, multinazionali e profitto, interesse pubblico e interesse privato
Sulla necessità che la ricerca italiana sia collegata a quella della comunità scientifica internazionale insiste Carlo Alberto Redi, che già nell'autunno del 1999 aveva proposto insieme a Silvia Garagna e Maurizio Zuccotti il Manifesto per un buon uso delle biotecnologie, su Il Manifesto del 13/2/2001; ma Redi in questa intervista coglie pure altre due questioni focali: in primis la distinzione fra controllo sociale delle applicazioni tecnico-scientifiche che per lui spetta alla sfera politica e in secondo luogo analizza la possibilità dell'autonomia in rapporto alle forte presenza di multinazionali motivate dal profitto.
La risposta di Redi però, a mio parere, risente di un residuale pregiudizio. Nonostante Redi già in precedenza si sia scontrato contro le limitazioni che il potere politico ha imposto all'autonomia della ricerca (confronta l'articolo de Il Sole nel gennaio 1999 contro l'integralismo dell'allora ministro Bindi), tende ugualmente ad affermare l'equazione "intervento pubblico" uguale "interesse generale".
Ammesso, e non concesso che l'iniziativa pubblica corrisponda all'interesse generale, non possiamo non chiederci, di fronte alla parcellizzazione della rappresentanza politica, quale sia il soggetto interprete dell'interesse generale.
"La ricerca nel frattempo è diventata una grande impresa sociale, dai costi crescenti che mettono in gioco investimenti, privati o pubblici, i quali non vengono decisi per esclusiva curiosità o amore del sapere" scrive Gianni Vattimo su La Stampa dell'11 febbraio.
Più che porre in antitesi interesse pubblico e privato, Vattimo si sofferma piuttosto sulle modalità del controllo democratico sulla ricerca. Vattimo non ha certo la rozzezza di un Pecoraro-Scanio che, dimenticando o ignorando che in una moderna democrazia i ruoli, compresi quelli di ministro, sono funzione del sistema di regole adottato e non derivano da una qualche presunzione metafisica, rousseauneamente vede il Parlamento come soggetto della volontà generale e se stesso come interprete di questa volontà. Perciò Vattimo correttamente, più che al principio maggioritario, che specialmente sulle questioni della ricerca scientifica e dell'etica si presta a molte ambiguità, si rifa a una qualche forma del principio di responsabilità.

Principio di responsabilità come calcolo di costi e benefici
"Il criterio umano è quello dell’etica della responsabilità, del calcolo di costi e benefici. Un calcolo nel quale certo dobbiamo ascoltare il parere degli scienziati, ma su cui decidiamo poi tutti in base alla nostra coscienza." (Vattimo, cit.)
Il richiamo al "principio di responsabilità" e ai costi e benefici ha il merito di porre la querelle politica-scienza al di fuori di ogni integralismo, sia esso verde o religioso, ma all'interno di un sistema di regole entro cui riconoscerci.

Principio di precauzione e Principio di certezza
Sul rapporto politica-scienza ritorna Luigi Berlinguer in una intervista a Il Giornale del 15 febbraio. Ma l'ex ministro si limita a ripetere il refrain: "La ricerca non può essere che libera. Ma sulle applicazioni la parola tocca alla politica. La contrapposizione è sbagliata", senza per altro cogliere che la contrapposizione non è un qualcosa che può essere esorcizzato con artifici semantici. Essa infatti è insita nel diverso modo di essere della politica e della ricerca scientifica. Mentre infatti la politica si rifa alle categorie della retorica, la ricerca scientifica si rifa a quelle della logica. Perciò più che dichiarare sbagliata la contrapposizione occorre individuare i metodi per regolarla.
Marcello Cini, che fa parte di quei ricercatori che si sono dissociati rispetto al manifesto Dulbecco, in un articolo de il Manifesto del 13 febbraio legge la contapposizione fra ambientalisti e scienziati come uno scontro tra i sostenitori del "principio di precauzione", proprio del pensiero ecologista, e quelli del "principio di certezza".
Indubbiamente si tratta di una lettura senz'altro stimolante, un approccio però più condizionato da un sociologismo alla cultural studies che da un'analisi puntuale dell'impresa scientifica. Sia il "principio di precauzione" che il "principio di certezza", infatti, più che principi epistemici sono da intendersi come atteggiamenti culturali. Il cosiddetto "principio di precauzione" infatti non può trascurare, se vuole essere un qualcosa di diverso da una pratica di terrorismo psicologico, lo stato delle conoscenze scientifiche e d'altra parte deve essere chiaro che in ogni certezza scientifica esiste sempre un margine di non sicurezza.
A suffragio del "principio di precauzione" Marcello Cini riprende l'ipotesi che l'Aids umano abbia avuto origine dall'uso del plasma di gorilla. Data questa ipotesi per plausibile, dobbiamo però chiederci fino a che punto più che di non applicazione del principio di precauzione si è trattato di non applicazione del "principio di responsabilità".
Se nella produzione di un vaccino non viene controllato con la necessaria accuratezza il plasma di partenza oppure, come nel caso del talidomide, si trascurano gli esiti negativi della sperimentazione, non siamo nel campo dell'ipotetico ma di un rischio chiaramente prevedibile. Forse di fronte alle imprecauzioni della scienza più che il "principio di precauzione" convince una seria applicazione del codice penale.

La percezione del rischio
Rispetto ai nostri avi, la cui vita era costantemente in balia di guerre, epidemie, fame, violenze della natura più svariata, la nostra società sembra psicologicamente inadeguata a percepire il rischio come la possibile e prevedibile conseguenza di un processo di cause ed effetti. C'è senz'altro più rischio a mettersi in autostrada durante un week-end che a cibarsi di una bistecca con l'osso, eppure il caso mucca pazza ha messo chiaramente in evidenza come il rischio, quanto più è imprevedibile e ipotetico, tanto più viene percepito come immediato.
Il principio di precauzione, almeno così come viene inteso dagli ambientalisti si riferisce non tanto ai rischi probabili, cioè in qualche misura prevedibili, ma bensì a quelli ipotetici.
La contrapposizione fra "principio di precauzione" e "principio di certezza" è simile alla distinzione che in questi ultimi giorni si è voluto fare, a proposito dell'inquinamento da elettrosmog, fra l'umanitarismo del ministro Bordon e il pragmatismo di Veronesi.
La distinzione fra precauzione e certezza si può far risalire alle filosofie costruttiviste di moda fra gli anni '70 e '80. Non è inutile ricordare oggi L'ape e l'architetto di M. Cini appunto e G. Ciccotti et al. [Ed. Feltrinelli, Milan 1976].

Tra "precauzione" e "certezza": a chi spetta il ruolo decisionale?
In estrema sintesi, partendo dal presupposto che l'impresa scientifica sia condizionata dal sistema economico, attraverso il "principio di precauzione" si vorrebbe spostare il controllo sulla ricerca dalle agenzie economiche a quello delle agenzie politiche - normalmente identificate però, più che nelle strutture del sistema democratico, in indefiniti movimenti spontaneistici.
E se con la brutalità che pare contraddistinguere la verbalità di una certa classe politica, il ministro Bordon dichiara [Il Giornale del 12 aprile]: "La scienza? Non può mica tirare le conclusioni. Deve solo mettere a disposizione i dati raccolti, poi spetta al potere politico decidere", il politologo Guido Enrico Rusconi intervenendo su La Stampa del 13 febbraio coglie nella manifestazione degli scienziati il prodromo di un nuovo equilibrio da costruire fra ruolo della scienza e ruolo della politica.
Un'analoga posizione viene ripresa da Luigi Manconi su il Manifesto del 20 febbraio. Manconi respinge l'autoreferenzialità degli scienziati - la scienza giudica e giustifica se stessa - per rivendicare l'importanza della decisione pubblica. "Si tratta, pertanto, di individuare sedi autorevoli e indipendenti - comitati etici e organismi di garanzia - capaci di tutelare i cittadini".
Le difficoltà, conosciute da chiunque abbia avuto a che fare con il sistema decisionale pubblico, consistono nell'individuare appunto le sedi autorevoli e indipendenti. Illuminante è al riguardo l'articolo di Riccardo Viale, Il Sole dell'11 febbraio 2001, che prendendo spunto dalla legislazione italiana sull'elettrosmog e dalla diversa posizione assunta al riguardo da due agenzie pubbliche, l'Istituto Superiore di Sanità (Iss) e dall'Istituto Superiore sulla Prevenzione e Sicurezza del Lavoro (Ispesl), analizza in modo approfondito le ragioni del "principio di certezza" rispetto al "principio di precauzione", evidenziando come sedi autorevoli e indipendenti possano agire in modo difforme.
La rivolta dei Nobel ha poi generato una serie di articoli volti a corroborare il "principio di certezza": Renato Dulbecco La Repubblica del 10 febbario, Tullio Regge La Stampa dell'8 febbraio o il "principio di precauzione": Giorgio Celli La Stampa del 18 febbraio, Ivo Cozzani La Stampa dell'11 febbraio.

[Ndr: si vedano anche: R. Saracci e P. Vineis, "Ogm, libertà e responsabilità"articolo.gif (899 byte) e S. Garattini, "Ma no ai divieti ideologici"articolo.gif (899 byte)]

La politica nell'età globale
Sarebbe illusorio ritenere la rivolta dei Nobel conclusa con l'accordo mediato da Giuliano Amato, vedi La Stampa del 14 febbraio, esso è infatti il sintomo di una tensione ben più profonda che involge il sistema fondato sulla democrazia dei partiti. Le applicazioni pratiche della ricerca scientifica e la sua interazione con soggetti economici multinazionali, stanno modificando profondamente i modi delle decisioni pubbliche che a loro volta risultano sempre più condizionate dalla crescita di organi sovranazionali.
Non si tratta della fine della politica e dell'affermazione di una tecnocrazia, ma bensì di un nuovo modo di essere della politica che prima di tutto deve essere compreso e governato. In questo contesto può essere utile soffermarsi sulla recensione di Edgardo Bartoli Il Giornale del 1 febbraio al libro di Adolfo Battaglia "Fra crisi e trasformazione, il partito politico nell'età globale".

(23 aprile 2001)

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[*]Vittorio Bertolini (right-sfondochiaro.gif (838 byte)Scheda biografica) collabora con la Fondazione Giannino Bassetti

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