La protesta dei Nobel e il governo della ricerca scientifica - Il finanziamento della ricerca: a chi spetta la decisione? - Controllo sociale delle applicazioni tecnico-scientifiche, multinazionali e profitto, interesse pubblico e interesse privato - Principio di responsabilità come calcolo di costi e benefici - Principio di precauzione e Principio di certezza - La percezione del rischio - Tra "precauzione" e "certezza": a chi spetta il ruolo decisionale? - La politica nell'età globale
A quasi due mesi di distanza, commentare quello che è stato riportato sulla stampa quotidiana può apparire, se non letteralmente almeno culturalmente, un ossimoro. D'altra parte non sempre quello che appare sui quotidiani si esaurisce nella quotidianità, e spesso vi sono argomenti, che pur essendo riconducibili alla cronaca conducono a valutazioni che trascendono i fatti della cronaca.
La protesta dei Nobel e il governo della ricerca scientifica
La protesta dei Nobel, come è stata definita la manifestazione di protesta contro
la politica oscurantista del ministro verde Pecoraro-Scanio, rientra senz'altro
nello schema di un fatto di cronaca, che però assume la valenza di una questione che
sarà centrale nel dibattito pubblico dei prossimi anni.
E' irrilevante se il ministro ha fatto un po' di confusione fra sperimentazione in
campo aperto e sperimentazione in campo agricolo - la cosa al massimo può
essere vista come un marcatore del grado di competenza di Pecoraro-Scanio -, al
centro della polemica sta la questione del governo della ricerca scientifica, che non è
solo questione di Ogm, ma riguarda sia la scelta dei fini che il controllo delle
procedure.
Infatti, nell'epoca della complessità non possiamo più ritenere che le metodiche della
ricerca siano completamente neutrali rispetto ai fini, ovvero che si possa tener distinta
la ricerca di base dalle applicazioni tecnologiche.
Ma forse questo era vero anche nell'epoca della semplicità. Se Galileo non avesse
perfezionato l'invenzione di un oscuro ottico olandese e puntato il suo cannocchiale su la
Luna e su Saturno, la storia de il Dialogo sui massimi sistemi sarebbe diversa .
Ovviamente in ogni polemica, quale che sia il livello del tema trattato, vengono anche
utilizzati elementi impropri e di basso profilo, per esempio argumenta ad hominem
attraverso cui più che a ribattere alle ragioni dell'avversario si tende a metterne in
cattiva luce la credibilità.
Pecoraro-Scanio su Repubblica
e Gianni Mattioli su La
Stampa, anche se in modo più garbato rispetto ad altre occasioni (vedi Il Giornale del 14 dicembre 2000)
fanno intendere che dietro la manifestazione di Roma ci sia l'interesse di una qualche
lobby tecnico-scientifica.
Non c'è dubbio che l'adagio di Smith che il nostro pane quotidiano più che al buon cuore
del fornaio lo dobbiamo al suo interesse, si adatta non solo ai birrai e ai macellai ma
pure a chi coltiva la ricerca scientifica. Ma dopo Weber dovrebbe essere ormai acquisito
che dietro gli interessi non sempre e comunque c'è puzza di zolfo.
Prospettare il problema del governo della ricerca in termini di lobby è non solo
inconsistente ma anche fuorviante, nel senso che sposta l'attenzione dal vero problema,
che è quello del rapporti fra consenso democratico e autonomia della ricerca.
Se infatti dietro il bio-tech esiste un consistente conglomerato di interessi
industriali, il biologico, su cui in Italia convergono circa 50.000 imprese,
coagula un insieme di interessi economici diffusi che in un sistema distrettualizzato,
com'è quello della filiera alimentare italiana, hanno una notevole influenza sul piano
del consenso politico e sociale.
Eventualmente, se siamo abbastanza hegeliani, possiamo pensare che dietro gli interessi
dei ricercatori, che senz'altro esistono, si nasconda una qualche astuzia della ragione
scientifica.
Il finanziamento della ricerca: a chi spetta la decisione?
Pur con uno spessore diverso, però anche i riferimenti polemici alla scarsità di fondi
destinati alla ricerca possono rientrare nella categoria delle argomentazioni ad
hominem; infatti più che sviluppare una credibile analisi critica delle difficoltà
individuano, sic et simpliciter, nella sostituzione della classe di governo l'avvio
delle magnifiche sorti e progressive della ricerca scientifica italiana. L'articolo
di Alessandro Cecchi Paone su il
Giornale è paradigmatico. Esaustivo e puntuale, leggermente polemico anche contro le
posizioni più integraliste della chiesa cattolica, è la versione buonista del politically
correct nel campo dell'informazione scientifica. Sulla stessa lunghezza d'onda, senza
il sottinteso politico però, sono da considerarsi gli articoli di Antonio Polito (La Repubblica - 13 febbraio)
e Gianni Riotta (La Stampa -
11 febbraio). In pratica ci viene confermato che nonostante le magnifiche prospettive,
la ricerca scientifica italiana ha la parte di Cenerentola nella ripartizione della spesa
pubblica.
La questione della ricerca scientifica è sì questione di quote del Pil, ma anche di
qualità della ricerca, specialmente come quando nel caso italiano le risorse sono scarse.
Quale e quanta ricerca di base e quale e quanta indirizzata verso il know-how
tecnologico? quale e quanto il ruolo dei privati? è prioritaria la fisica delle
particelle o la ricerca sul cancro? e così via.
Su questi snodi a chi spetta la decisione. E' facile dire che si tratta di decisioni politiche,
ma è poi così piano che le decisioni politiche siano di competenza dei politici?
La "meccanizzazione agricola, il benessere degli animali negli allevamenti, le
etichette per i prodotti, il monitoraggio degli Ogm negli alimenti..." per
Pecorario-Scanio (Il Giornale
del 14 dicembre 2000) sembrano essere le frontiere della ricerca italiana. Ora nessuno
nega che il settore della meccanica agricola ha una qualche importanza per l'occupazione,
per la bilancia commerciale e per la produttività dell'agricoltura, ma forse gli
investimenti in proposito dovrebbero riguardare una buona politica industriale che sappia
far emergere risorse private.
Il finanziamento di ricerche sul benessere degli animali, sulle etichette per i prodotti e
il monitoraggio degli Ogm negli alimenti sembrano invece rientrare nella categoria di
quegli interventi a pioggia che nella tradizione italica hanno sempre avuto la funzione di
favorire gli amici del "principe".
Controllo sociale delle applicazioni tecnico-scientifiche, multinazionali e
profitto, interesse pubblico e interesse privato
Sulla necessità che la ricerca italiana sia collegata a quella della comunità
scientifica internazionale insiste Carlo Alberto Redi, che già nell'autunno del 1999
aveva proposto insieme a Silvia Garagna e Maurizio Zuccotti il Manifesto per un buon uso delle
biotecnologie, su Il
Manifesto del 13/2/2001; ma Redi in questa intervista coglie pure altre due questioni
focali: in primis la distinzione fra controllo sociale delle applicazioni
tecnico-scientifiche che per lui spetta alla sfera politica e in secondo luogo analizza la
possibilità dell'autonomia in rapporto alle forte presenza di multinazionali motivate dal
profitto.
La risposta di Redi però, a mio parere, risente di un residuale pregiudizio. Nonostante
Redi già in precedenza si sia scontrato contro le limitazioni che il potere politico ha
imposto all'autonomia della ricerca (confronta l'articolo de Il Sole nel gennaio 1999
contro l'integralismo dell'allora ministro Bindi), tende ugualmente ad affermare
l'equazione "intervento pubblico" uguale "interesse generale".
Ammesso, e non concesso che l'iniziativa pubblica corrisponda all'interesse generale, non
possiamo non chiederci, di fronte alla parcellizzazione della rappresentanza politica,
quale sia il soggetto interprete dell'interesse generale.
"La ricerca nel frattempo è diventata una grande impresa sociale, dai costi
crescenti che mettono in gioco investimenti, privati o pubblici, i quali non vengono
decisi per esclusiva curiosità o amore del sapere" scrive Gianni Vattimo su La Stampa dell'11 febbraio.
Più che porre in antitesi interesse pubblico e privato, Vattimo si sofferma piuttosto
sulle modalità del controllo democratico sulla ricerca. Vattimo non ha certo la rozzezza
di un Pecoraro-Scanio che, dimenticando o ignorando che in una moderna democrazia i ruoli,
compresi quelli di ministro, sono funzione del sistema di regole adottato e non derivano
da una qualche presunzione metafisica, rousseauneamente vede il Parlamento come soggetto
della volontà generale e se stesso come interprete di questa volontà. Perciò Vattimo
correttamente, più che al principio maggioritario, che specialmente sulle questioni della
ricerca scientifica e dell'etica si presta a molte ambiguità, si rifa a una qualche forma
del principio di responsabilità.
Principio di responsabilità come calcolo di costi e benefici
"Il criterio umano è quello delletica della responsabilità, del calcolo di
costi e benefici. Un calcolo nel quale certo dobbiamo ascoltare il parere degli
scienziati, ma su cui decidiamo poi tutti in base alla nostra coscienza." (Vattimo,
cit.)
Il richiamo al "principio di responsabilità" e ai costi e benefici ha il merito
di porre la querelle politica-scienza al di fuori di ogni integralismo, sia esso
verde o religioso, ma all'interno di un sistema di regole entro cui riconoscerci.
Principio di precauzione e Principio di certezza
Sul rapporto politica-scienza ritorna Luigi Berlinguer in una intervista a Il Giornale del 15 febbraio.
Ma l'ex ministro si limita a ripetere il refrain: "La ricerca non può essere
che libera. Ma sulle applicazioni la parola tocca alla politica. La contrapposizione è
sbagliata", senza per altro cogliere che la contrapposizione non è un qualcosa che
può essere esorcizzato con artifici semantici. Essa infatti è insita nel diverso modo di
essere della politica e della ricerca scientifica. Mentre infatti la politica si rifa alle
categorie della retorica, la ricerca scientifica si rifa a quelle della logica. Perciò
più che dichiarare sbagliata la contrapposizione occorre individuare i metodi per
regolarla.
Marcello Cini, che fa parte di quei ricercatori che si sono dissociati rispetto al manifesto
Dulbecco, in un articolo de il Manifesto del 13 febbraio
legge la contapposizione fra ambientalisti e scienziati come uno scontro tra i sostenitori
del "principio di precauzione", proprio del pensiero ecologista, e quelli del
"principio di certezza".
Indubbiamente si tratta di una lettura senz'altro stimolante, un approccio però più
condizionato da un sociologismo alla cultural studies che da un'analisi puntuale
dell'impresa scientifica. Sia il "principio di precauzione" che il
"principio di certezza", infatti, più che principi epistemici sono da
intendersi come atteggiamenti culturali. Il cosiddetto "principio di
precauzione" infatti non può trascurare, se vuole essere un qualcosa di diverso da
una pratica di terrorismo psicologico, lo stato delle conoscenze scientifiche e d'altra
parte deve essere chiaro che in ogni certezza scientifica esiste sempre un margine di non
sicurezza.
A suffragio del "principio di precauzione" Marcello Cini riprende l'ipotesi che
l'Aids umano abbia avuto origine dall'uso del plasma di gorilla. Data questa ipotesi per
plausibile, dobbiamo però chiederci fino a che punto più che di non applicazione del
principio di precauzione si è trattato di non applicazione del "principio di
responsabilità".
Se nella produzione di un vaccino non viene controllato con la necessaria accuratezza il
plasma di partenza oppure, come nel caso del talidomide, si trascurano gli esiti negativi
della sperimentazione, non siamo nel campo dell'ipotetico ma di un rischio chiaramente
prevedibile. Forse di fronte alle imprecauzioni della scienza più che il
"principio di precauzione" convince una seria applicazione del codice penale.
La percezione del rischio
Rispetto ai nostri avi, la cui vita era costantemente in balia di guerre, epidemie, fame,
violenze della natura più svariata, la nostra società sembra psicologicamente inadeguata
a percepire il rischio come la possibile e prevedibile conseguenza di un processo di cause
ed effetti. C'è senz'altro più rischio a mettersi in autostrada durante un week-end che
a cibarsi di una bistecca con l'osso, eppure il caso mucca pazza ha messo chiaramente in
evidenza come il rischio, quanto più è imprevedibile e ipotetico, tanto più viene
percepito come immediato.
Il principio di precauzione, almeno così come viene inteso dagli ambientalisti si
riferisce non tanto ai rischi probabili, cioè in qualche misura prevedibili, ma bensì a
quelli ipotetici.
La contrapposizione fra "principio di precauzione" e "principio di
certezza" è simile alla distinzione che in questi ultimi giorni si è voluto fare, a
proposito dell'inquinamento da elettrosmog, fra l'umanitarismo del ministro Bordon
e il pragmatismo di Veronesi.
La distinzione fra precauzione e certezza si può far risalire alle filosofie
costruttiviste di moda fra gli anni '70 e '80. Non è inutile ricordare oggi L'ape e
l'architetto di M. Cini appunto e G. Ciccotti et al. [Ed. Feltrinelli,
Milan 1976].
Tra "precauzione" e "certezza": a chi spetta il ruolo
decisionale?
In estrema sintesi, partendo dal presupposto che l'impresa scientifica sia condizionata
dal sistema economico, attraverso il "principio di precauzione" si vorrebbe
spostare il controllo sulla ricerca dalle agenzie economiche a quello delle agenzie
politiche - normalmente identificate però, più che nelle strutture del sistema
democratico, in indefiniti movimenti spontaneistici.
E se con la brutalità che pare contraddistinguere la verbalità di una certa classe
politica, il ministro Bordon dichiara [Il Giornale del 12 aprile]: "La scienza? Non
può mica tirare le conclusioni. Deve solo mettere a disposizione i dati raccolti, poi
spetta al potere politico decidere", il politologo Guido Enrico Rusconi intervenendo
su La Stampa del 13 febbraio
coglie nella manifestazione degli scienziati il prodromo di un nuovo equilibrio da
costruire fra ruolo della scienza e ruolo della politica.
Un'analoga posizione viene ripresa da Luigi Manconi su il Manifesto del 20 febbraio.
Manconi respinge l'autoreferenzialità degli scienziati - la scienza giudica e giustifica
se stessa - per rivendicare l'importanza della decisione pubblica. "Si tratta,
pertanto, di individuare sedi autorevoli e indipendenti - comitati etici e organismi di
garanzia - capaci di tutelare i cittadini".
Le difficoltà, conosciute da chiunque abbia avuto a che fare con il sistema decisionale
pubblico, consistono nell'individuare appunto le sedi autorevoli e indipendenti.
Illuminante è al riguardo l'articolo di Riccardo Viale, Il Sole dell'11 febbraio 2001,
che prendendo spunto dalla legislazione italiana sull'elettrosmog e dalla diversa
posizione assunta al riguardo da due agenzie pubbliche, l'Istituto Superiore di Sanità
(Iss) e dall'Istituto Superiore sulla Prevenzione e Sicurezza del Lavoro (Ispesl),
analizza in modo approfondito le ragioni del "principio di certezza" rispetto al
"principio di precauzione", evidenziando come sedi autorevoli e indipendenti
possano agire in modo difforme.
La rivolta dei Nobel ha poi generato una serie di articoli volti a corroborare il
"principio di certezza": Renato Dulbecco La Repubblica del 10 febbario,
Tullio Regge La Stampa dell'8
febbraio o il "principio di precauzione": Giorgio Celli La Stampa del 18 febbraio, Ivo
Cozzani La Stampa dell'11
febbraio.
[Ndr: si vedano anche: R. Saracci e P. Vineis, "Ogm, libertà e responsabilità" e S. Garattini, "Ma no ai divieti ideologici"]
La politica nell'età globale
Sarebbe illusorio ritenere la rivolta dei Nobel conclusa con l'accordo mediato da
Giuliano Amato, vedi La Stampa
del 14 febbraio, esso è infatti il sintomo di una tensione ben più profonda che
involge il sistema fondato sulla democrazia dei partiti. Le applicazioni pratiche della
ricerca scientifica e la sua interazione con soggetti economici multinazionali, stanno
modificando profondamente i modi delle decisioni pubbliche che a loro volta risultano
sempre più condizionate dalla crescita di organi sovranazionali.
Non si tratta della fine della politica e dell'affermazione di una tecnocrazia, ma bensì
di un nuovo modo di essere della politica che prima di tutto deve essere compreso e
governato. In questo contesto può essere utile soffermarsi sulla recensione di Edgardo
Bartoli Il Giornale del 1
febbraio al libro di Adolfo Battaglia "Fra crisi e trasformazione, il partito
politico nell'età globale".
(23 aprile 2001)
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[*]Vittorio Bertolini (Scheda biografica)
collabora con la Fondazione Giannino Bassetti
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