Sull'Unità del 30 agosto è apparso un articolo di Pietro Greco, il cui titolo Dopo il caso Lipobay si riapre la questione della trasparenza e della libertà nel lavoro degli scienziati è significativo del come a volte le redazioni invece di riportare nel titolo il senso compiuto di un articolo, ne colgano solo quegli aspetti marginali che però si crede possano catturare l'attenzione dei lettori. Nei giorni dello scandalo Bayer, in un articolo che tratta in gran parte delle relazioni fra impresa scientifica e impresa economica un riferimento al caso dell'industria chimico-farmaceutica bavarese non poteva mancare. Nello scritto di Pietro Greco infatti il caso Lipobay è citato, ma, forse anche perché allo stato delle cose più che le certezze sono i dubbi a prevalere, è poco più di un'occasione per poter esaminare le problematiche che sorgono quando ricerca scientifica ed economia si incontrano. Si può essere più o meno d'accordo con Pietro Greco - personalmente nutro alcune riserve su qualche sua asserzione -, ma dobbiamo riconoscergli che nello spazio di una pagina e con una scrittura di grande chiarezza ci conduce attraverso una riflessione sulla cultura scientifica, che "più di ogni altra ormai, contribuisce alla continua ripercezione di noi stessi e del mondo che ci circonda" e dalla cui lettura dipende "lo sviluppo equo e sostenibile dell'umanità, il governo democratico dei processi economici locali e globali, la dimensione culturale in cui vivremo nei prossimi anni".
Di fronte alla centralità della ricerca scientifica assume una notevole rilevanza il problema della sua diffusione, che per chiarezza non dobbiamo confondere con quello della sua divulgazione. Infatti mentre quest'ultima ha lo scopo di portare a conoscenza del grande pubblico e in un linguaggio abbastanza comprensibile, l'ultima versione della visione scientifica del mondo, la prima è (dovrebbe essere) rivolta agli addetti ai lavori per informarli sugli sviluppi della ricerca. Da un lato la scienza normale alla Kuhn, dall'altra la scienza come work in progress. Per l'importanza della diffusione dei risulati della ricerca e dello scambio di informazioni fra ricercatori si veda l'articolo titolo "Con l'information technology la ricerca corre più veloce" su Il Sole 24 Ore del 25 luglio. Greco ragguaglia del tentativo fatto negli Usa per utilizzare Internet al fine di favorire l'accesso all'informazione scientifica e mettere a disposizione dei ricercatori l'immensa mole di informazioni che appare sulle riviste specializzate. Il caso Pubscience riportato da Greco, (ma per i suoi aspetti più generali vedi anche il manifesto del 10 giugno e pure L'Unità del 7 luglio) è sintomatico del come una lettura che interpreta la proprietà intellettuale alla stregua della proprietà di un bene strumentale si trasformi in una penalizzazione della conoscenza. Nel caso delle opere dell'ingegno, che in un certo senso possiamo considerare, almeno come un patrimonio fruibile da tutti, più che garantirne il possesso occorre garantirne la legittima ricompensa.
Il secondo aspetto che viene analizzato da Greco è il conflitto di interessi. Se da un lato, in seguito alla terziarizzazione di molte attività, le possibilità che l'interesse proprio di una professione possa essere condizionato da interessi impropri, sono molto più che innumerevoli, è nel settore di quelle prestazioni che riguardano la salute o l'alimentazione che maggiormente si concentra l'attenzione dell'opinione pubblica. Salvo perciò i casi che afferiscono alla giustizia penale, il più delle volte però difficili da accertare e con il rischio inoltre che alla fin fine la via giuridica rappresenti una via di fuga rispetto al recupero della responsabilità individuale. Poiché la responsabilità è però come il coraggio per don Abbondio, per stimolare comportamenti virtuosi Greco si sofferma sull'iniziativa delle riviste Nature e Science che impongono ai loro collaboratori "di rendere esplicite le fonti di finanziamento e i possibili conflitti di interesse". Sullo stesso argomento si può confrontare La Stampa del 25 agosto dove viene riportata l'opinione di Dulbecco e altri, L'unità del 9 agosto e il manifesto del 7 settembre.
L'ulteriore aspetto che Pietro Greco prende in esame è la questione del mercato. Per Greco l'economia di mercato ha assunto una "posizione dominante in molti settori decisivi della ricerca scientifica" con la conseguenza di "indirizzare la ricerca scientifica verso obiettivi che prescindono dalla pubblica utilità". Indubbiamente il fatto che i prodotti della tecnoscienza, in primo luogo quelli della biomedicina e delle biotecnologie, siano entrati nella gamma dei consumi di massa ha accentuato il ruolo di quella parte della ricerca tecnico-scientifica interessata a recuperare in tempi relativamente brevi gli investimenti. La questione perciò non è tanto nel distinguere tra una ricerca improntata alla cultura del dono contrapposta ad una ricerca condizionata dalla ricerca del profitto, quanto piuttosto nel definire su quali priorità impostare la politica degli investimenti in ricerca scientifica. Mi sembra ovvio che l'investimento in ricerca su di un farmaco per malattie rare, che difficilmente potrà garantire un ritorno economico se non a prezzo di costi esorbitanti, non possa che essere compito o del pubblico o di fondazioni private non legate al profitto. Si veda il caso del Tigem di Napoli (Il Mattino del 30 agosto). Sempre Greco nell'articolo già citato dell'Unità del 7 luglio scrive che "all'inizio del XX secolo... le decisioni rilevanti per lo sviluppo del lavoro scientifico venivano prese tutte all'interno di comunità, dove imperava la regola mertoniana del disinteresse". Ammesso che questo modello di una ricerca scientifica disinteressata sia esistito, esso riguarda particolari momenti storico-sociali in cui tutto sommato l'influenza della conoscenza scientifica sull'evoluzione sociale era piuttosto limitata. Sull'Unità del 5 settembre lo stesso Greco riporta la vicenda del fisico Franco Rasetti, "maestro venerato", insieme a Fermi, dei ragazzi di via Panisperna. Dal racconto si evince chiaramente come nella seconda metà degli anni '30, dopo che si cominciarono a intravedere le enormi potenzialità belliche della fisica atomica, la ricerca sulle particelle non poteva essere più disinteressata. Di qui la conseguente decisione di Fermi e Rastelli di emigrare in America per mettere a disposizione le proprie capacità e conoscenze agli "interessi" della democrazia, piuttosto che a quelli delle dittature. La questione non è perciò se la ricerca scientifica sia disinteressata o no quanto quale sia l'interesse che viene perseguito. E questo ci porta all'ultima questione affronta da Pietro Greco: ricerca scientifica ed etica.
Occorre precisare che Greco non affronta la questione dell'etica della ricerca scientifica (d'altra parte nell'affrontare sia il tema del conflitto di interessi che quello della ricerca scientifica nell'economia di mercato la questione dell'etica della ricerca è stata molto più che sfiorata). Greco si pone con preoccupazione di fronte all'insorgere di richieste da parti di diverse componenti del mondo politico e religioso (di diverse confessioni) "non solo di regolare le applicazioni delle conoscenze scientifiche, ma di fermare il processo stesso di acquisizione delle conoscenze", di conseguenza prima di porre il problema dell'etica della ricerca ritiene prioritario definire quale etica verso la ricerca. Per Greco, che implicitamente sottoscrive il principio espresso qualche anno fa nel Manifesto di bioetica laica, la conoscenza è già un valore in sè e, visto che la ricerca scientifica è uno dei pilastri attorno a cui si realizza la globalizzazione, non può che essere libera da condizionamenti. Siano essi dovuti agli interessi economici o agli integralismi ideologici.
(8 settembre 2001)
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[*]Vittorio Bertolini (Scheda biografica)
collabora con la Fondazione Giannino Bassetti
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