Andrea Pitasi
(right-sfondochiaro.gif (838 byte) Scheda biografica)

Microsfere

Istituzioni, mercati e individui nel capitalismo digitale

(Luglio 2000)


Quali caratteristiche assumeranno le istituzioni e gli enti pubblici negli scenari emergenti del capitalismo digitale ovvero della cosiddetta new economy?

In che modo e misura la sfera pubblica sarà protagonista del proprio processo di innovazione e in che modo e misura offrirà contributi innovativi alla società tutta ? Per contro in che modo e misura la sfera pubblica sarà causa di rallentamenti, ritardi, distruzione di risorse sia rispetto alla propria forma, sia rispetto alla società tutta? Come inciderà l’Unione Europea in queste dinamiche considerando che ormai il bellissimo progetto europeo di libera circolazione di idee, capitali, persone, ecc. è stato, tragicamente tradito in nome di un veterostatalismo di ritorno che vuole oggi Bruxelles capitale grigia e burocratica di uno stato di stati inconsapevoli che tante debolezze unite non fanno una grande forza bensi un solenne crack finanziario-politico?

Con queste mie prime riflessioni vorrei dunque aprire un dialogo con tutti coloro che hanno a cuore la riforma delle sfera pubblica. Tale dialogo avrebbe sostanzialmente il desiderio di analizzare processi innovativi delle istituzioni, come eventi di grande cambiamento e processi innovativi nelle istituzioni ovvero l’inserimento di cambiamenti significativi ma non radicali in una cornice comunque statica.

L’idea di fondo è che oggi né le istituzioni pubbliche né la politica possono guidare in alcun modo il cambiamento e l’innovazione, anzi spesso la sfera pubblica è una palla al piede per l’innovazione. Oggi la sfera pubblica è relativizzata, stemperata davanti ad altre realtà ad esempio le multinazionali ed al contempo la sfera pubblica (che oggi è solo una delle tante microsfere della vita quotidiana) dispone di poteri solo negativi cioè non possiede né creatività né know how né capitale intellettuale innovativo-strategico e può solo ostacolare con burocrazie oscure e inconcludenti le altre microsfere che invece di tali risorse dispongono. Distruggere le risorse delle altre microsfere è spesso una tattica tramite la quale la sfera pubblica cerca di autoconservarsi. Dopotutto distruggere è infinitamente più facile che creare. E il livello medio di competenza, intelligenza e know how della sfera pubblica non può che essere tendenzialmente --con alcune fortunate eccezioni tipo coloro i quali stanno tentando di deburocratizzare le istituzioni avvicinandole al cittadino tramite la comunicazione pubblica-- un lavoro di mera distruzione.

Michel Crozier ha sempre sostenuto che cambiare la società è necessario, ma volerla cambiare per decreto è semplicemente ridicolo (Crozier 1987,1996) e io condivido il suo punto di vista.

La prospettiva dalla quale tratteggio sinteticamente queste mie riflessioni è quella dello studioso di strategie comunicative applicate ai cambiamenti socio - economico - culturali in atto in questa alba nebbiosa di terzo millennio.

Ritengo che i vantaggi strategici delle innovazioni organizzative facilitate dalle tecnologie telematiche e multimediali possano essere valorizzati uscendo dalla retorica demagogica della comunità in genere e virtuale in particolare.

Personalmente, diffido tantissimo di quelle teorie che si aggrappano a dicotomie scivolose come quella astrazione/empatia (Worringer 1986, Ardigò 1988, Maffesoli 1988) tali approcci teorici, in sostanza, affermano che alcune "politiche di intervento" rendono i rapporti umani e le dinamiche sociali più formalizzate, astratte, fredde, impersonali (il mondo dell’astrazione) mentre altre svilupperebbero un senso di appartenenza ed identità comunitaria umanamente più ricca e capace di permettere ad Ego di mettersi nei panni --per dirla in linguaggio non scientifico-- dell’Altro (il mondo dell’empatia).

A mio parere, nel mondo dell ’empatia, il modo di gestire politicamente le innovazioni tecnologiche multimediali ha risentito di una certa retorica tipica di chi ha già un quadro teorico preconfezionato e lo applica a tutti i cambiamenti in atto, basti pensare che lo scritto di Worringer a cui si ispirano, spesso in modo critico, queste teorie comunitarie ed empatiche è dei primi del Novecento. Personalmente, reputo che le nuove tecnologie multimediali applicate alla comunicazione pubblica debbano svolgere funzioni meno demagogiche e retoriche dello sviluppo del senso comunitario, virtuale o meno.

Tali funzioni a mio parere dovrebbero essere:

a) Abbattere i costi di transazione (economici, organizzativi e contrattuali) della attività della Pubblica Amministrazione con conseguente decremento della spesa pubblica e della tassazione.

b) Potenziare le strategie di gestione della conoscenza funzionalmente differenziata tra capitale umano, capitale strutturale e capitale clienti (cfr Stewart, 1999).

c) Agevolare ciascun individuo nel proprio progetto evolutivo semplificandogli le modalità di accesso alle risorse pubbliche eliminando dunque i casi di accesso negato, autoesclusione e ricorso improprio secondo strategie comunicative acentriche, averticistiche e consapevoli dell’intrinseca autoreferenzialità di ogni essere umano (cfr Pitasi 1999a).

d) Ridurre il potere dei politici (Laszlo 1992, Pitasi 1999b), l’ultima forma di potere non specifica né evolutivamente strategica).

e) Facilitare una cultura del potere come servizio e manutenzione (Hilmann, 1996) finalizzata ad ottimizzare la gestione dell’esistente rendendo minima l’entropia.

f) Favorire ogni chance di relativizzazione funzionale dei poteri e delle conoscenze attraverso strategie di comunicazione policentriche.

g) Prendere atto delle dinamiche di scambio di reciproci interessi che sta alla base di ogni dinamica sociale, interessi che studiosi quali Homans e Blau hanno assai ben concettualizzato (per una sintesi del cui pensiero si rimanda a Pitasi 1999a).

h)Agevolare la privatizzazione morale dei valori culturali contro ogni pretesa di universalismo etico da diffondere nei mondi multimediali definendo solo pochi, precisi e chiari limiti negativi alla libertà individuale.

i) Last but not least, lo sviluppo di studi interdisciplinari di tipo applicativo sulla proprietà intellettuale. Le sciocchezze epocali tipo l’intelligenza collettiva, nascono da una "truffa" macrosociale, quella cioè di un sapere condiviso, comunitario e dunque privo di un proprietario. Tanto le aziende a caccia di banche dati per direct marketing quanto le istituzioni politiche a caccia di risorse umane da sfruttare al minimo costo giocano spesso sul mito dell’intelligenza collettiva per spersonalizzare la fonte delle conoscenze che hanno acquisito onde non avere obblighi verso di essa ma piuttosto facendola sentire in obbligo verso l’istituzione o la comunità a cui si appartiene dopotutto il tragico significato della parola comunità appartiene alla radice latina cum munus (Esposito1998) e rimanda all’obbligo che gli individui, in sé insignificanti, hanno verso la comunità di donare se stessi in parte o interamente (fino al sacrificio estremo e quasi sempre inutile dei morti in guerra) dato che la comunità gli consente di esistere rammentandogli che senza superiori istanze (la ragion di stato, la coscienza di classe, la nazione, l’identità etnica, il dogma religioso, un progetto storico più o meno millenarista, ecc.) la sua vita di individuo non ha senso .

Gli scenari del terzo millennio ci parlano di individui in ambienti soprattutto mentalmente costruiti, altamente personalizzati in microcosmi densi di rapporti sociali molteplici e multiformi più flessibili, ludici, edonisti, rilassati, altamente organizzati ed ottimizzati che non hanno più bisogno di immaginari collettivi, ideologie, etiche, valori più o meno universali né di tradizioni culturali vincolanti. La politica, le istituzioni statali e la storia diventano i relitti marci delle tempeste socio - culturali di fine XX secolo e la multimedialità diviene uno strumento strategico prioritario per offrire ai cittadini --clienti, pazienti, cittadini, consumatori, ecc.-- quelle microsfere di senso nelle quali ciascun individuo può costruire e ricostruire se stesso --psicologicamente e "bionicamente"-- fin quando non si sentirà pienamente soddisfatto di essere ciò che è diventato attraverso mille giochi psico-sperimentali.

Fintanto che le istituzioni non comprenderanno che è nel loro interesse fare l’interesse dei cittadini delle microsfere ogni progetto di riforma istituzionale sarà, a mio parere, mera demagogia e retorica.

 

Bibliografia

A.Ardigò, Per una sociologia oltre il post moderno, Laterza editore, Bari-Roma 1988

M.Crozier, Stato moderno, stato modesto, EL, Roma 1987

M.Crozier, La crisi dell’intelligenza, EL, Roma 1996

R.Esposito, Communitas, Einaudi, Torino 1998

J.Hillmann, Forme del potere, Garzanti, Milano 1996

M.Maffesoli, Il tempo delle tribù, Armando, Roma 1988

A.Pitasi, Il sesto stratagemma - Il management strategico della comunicazione pubblica, Seam, Roma 1999a

A.Pitasi, A Facilitative Agenda Setting for the 21st Century Scenarios, World Futures vol. 54/99, pp 337-353

T.Stewart, Il capitale intellettuale, Ponte alle Grazie, Milano 1999

W.Worringer, Astrazione d empatia, Einaudi, Torino 1986

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