(Marzo 2000)
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Per cominciare, condivido pienamente il concetto di impresa come
"soggetto organico", immerso nell'evoluzione di cui si sente e si fa
corresponsabile.
La definizione che Bassetti dà dell'impresa come "settore
auto-evolvente e co-determinante il più generale sistema evolutivo planetario" mi
sembra pregnante e da tenere come riferimento.
Concordo, altresì, con la riflessione critica circa il fatto che
"negli attuali calcoli di mercato o di impresa le 'esternalità' di tipo ecologico
non sono contemplate". Tale miopia riguarda, in generale, la mancata consapevolezza
dei "vincoli propri di un'evoluzione sostenibile". Da storico, mi sembra
paradossale che ciò avvenga proprio quando l'interdipendenza e le dimensioni globali dei
problemi economici e politici del mondo contemporaneo forniscono i dati di fatto e le
motivazioni per indurre ad una crescente corresponsabilizzazione degli attori economici,
sociali e politici.
Un elemento di spiegazione potrebbe consistere nel fatto che la
"globalizzazione" si sta verificando in maniera entropica. L'appiattimento delle
differenze, in un processo di omologazione sempre più evidente, la frammentazione e
dispersione di saperi, poteri, consapevolezze, cosa sono se non fenomeni tipici di una
deriva entropica? Come reagire a questa deriva?
Per procedere verso livelli più alti e complessi di organizzazione
sociale occorre, evidentemente, una condotta negentropica. Bisogna difendere il valore
irriducibile delle differenze. E' necessario ricostruire quei margini di risposta e
rielaborazione rispetto al nuovo di cui si è potuto disporre durante altre e precedenti
grandi trasformazioni socio-culturali. Riproporre una capacità d'interazione attiva e
consapevole, a fronte dei problemi della grande e vorticosa trasformazione che stiamo
vivendo, è irrinunciabile, pena, appunto, la morte entropica.
Non meno importante, e strettamente connessa alla precedente, è
la considerazione che "il sistema economico globale, se lasciato proseguire nelle sue
attuali tendenze, mostra un'evidente propensione all'auto-distruzione o quantomeno ad un
fortissimo rischio di degrado".
E' indubbio che occorrono "radicali cambiamenti dei nostri modi
di consumare e di produrre".
Più avanti, Bassetti soggiunge che occorrono mutamenti sia sul lato
della domanda che dell'offerta e sottolinea che devono cambiare i comportamenti di
consumatori, produttori e governo "in stretto rapporto tra loro".
E' chiaro che un cambiamento di questo genere comporta mutamenti
profondi nei sistemi di vita (il sistema familiare, quello abitativo, dei trasporti, delle
comunicazioni, il rapporto tra beni materiali e posizionali, ecc.). In definitiva, si
tratta di pensare a diversi modelli di organizzazione sociale.
Non è compito da poco! Come fare, allora, si chiede Piero Bassetti,
a rendere interne al sistema del capitalismo moderno "forze adeguate a raccogliere le
nuove sfide"?
Non c'è dubbio che per costruire una prospettiva del genere
occorre individuare "il punto nel quale le dinamiche del sistema esterno all'impresa
e allo stesso mercato si incrociano con quelle potenzialmente interne alla stessa impresa
e allo stesso mercato".
Anch'io sono convinto che questo punto è l'innovazione. M'interessa
sottolineare che nello stesso brano, definendo l'innovazione "come processo
imprenditoriale nel corso del quale... si combinano gli apporti di nuovi saperi... con il
capitale e il lavoro", Bassetti aggiunge: "ponendo in atto nuove tecniche di
trasformazione della natura".
Dal mio punto di vista, trovo che la definizione, così completata,
sia particolarmente feconda. Se l'innovazione è un processo che, in una nuova
combinazione di saperi e poteri, conduce a nuove tecniche di trasformazione della
natura, ciò vuol dire individuare un punto di leva teorico e pratico da cui si può
effettivamente muovere per affrontare i problemi posti dalla sfida evolutiva e alla cui
responsabilità siamo chiamati in termini di co-evoluzione cosciente.
Che la messa a punto della nozione di innovazione e la sua
interpretazione nel senso più attivo metta in posizione di vantaggio è dimostrato dal
passaggio successivo del discorso, quando l'autore dice che, se si definisce l'innovazione
come "realizzazione dell'improbabile", la si può intendere come una
combinazione dei prodotti della scienza e di quelli del capitale in modi di produzione
capaci di esprimere potenzialità nuove, perciò non già esistenti sul mercato, ma
attingibili "nella vicenda culturale, sociale, storica nella quale siamo tutti
immersi".
Il mio consenso è pieno, sia sul piano teorico che pratico. Da
quelle premesse discende, infatti, che "l'improbabile è tale se include la
possibilità del mutamento dei parametri precedentemente vigenti". E Bassetti
aggiunge: "questo è l'aspetto nuovo che lega l'innovazione dell'impresa moderna non
soltanto alle dinamiche propriamente economiche del mercato... ma, collegandola allo scopo
e alle dinamiche della tecnologia, le conferisce un potere di cambiamento dei modi di
organizzazione del mondo che fino a ieri erano esclusivamente della politica".
Bisogna però aggiungere che oggi anche la politica ha perso questo potere di cambiamento; sicchè è ancora più urgente rinnovarlo. "Proprio perchè nel mondo moderno abbiamo trovato una nuova dimensione del potere, più varia e distribuita, dobbiamo imparare a trovare i nuovi tipi di responsabilità e i nuovi soggetti chiamati ad esercitarli". Posto il problema in questi termini, non c'è dubbio sul fatto che "l'impresa innovativa" possa essere ormai "uno di questi soggetti".
Mi preme, inoltre, sottolineare che la nozione del formarsi, nel mondo moderno, di nuove dimensioni del potere, di nuovi tipi di responsabilità e nuovi soggetti per esercitarli è un'altra nozione assai feconda e che merita di essere approfondita, anche al di là di questo specifico ambito del discorso.
Andiamo direttamente all'altro grosso problema che già aveva
fatto capolino nelle pagine precedenti e che viene posto molto esplicitamente in quelle
conclusive della relazione.
Sono d'accordo con l'autore sul fatto che non basta, ed è anzi
illusorio, pensare che la nuova prospettiva possa delinearsi e consolidarsi nella
mentalità e nei comportamenti della gran parte degli imprenditori sulla base di un
predicato morale o di determinati codici etici. Lo storico sa meglio di altri come
predicazioni morali e azioni pedagogiche, per quanto ispirate agli obbiettivi ed alle
aspirazioni più nobili, si siano, quasi sempre, dimostrate illusorie. Condivido, quindi,
le ragioni per cui Bassetti esclude che la responsabilità e le scelte dell'imprenditore
possano essere affidate a considerazioni di merito e dice: "molto meglio fare
ogni sforzo per trovare nuove regole di forma".
Egli propone insomma di far poggiare la responsabilità delle scelte
sulla determinazione di procedure.
Questa impostazione è certamente interessante e suggerisce un
approccio al problema che potrebbe rivelarsi effettivamente più efficace di altri.
Proprio per questo, la questione richiede un approfondimento adeguato. Ciò può essere
fatto solo attraverso un'elaborazione apposita, frutto di un programma di ricerca.
Non mi sottraggo comunque ad una prima reazione a caldo, e mi
pongo i primi interrogativi che si presentano alla mente.
Il fatto che il metodo della procedura venga preferito ad
"assunzioni valoriali" significa che si può o si deve fare a meno di sistemi di
riferimento a valori?
Sull'uso del termine valori mi sembra utile sgomberare il campo da un
possibile equivoco derivante da un diverso significato e uso di quel termine da parte
dell'autore e mio.
Non credo che stiamo parlando della possibilità-utilità di
prescindere da sistemi di riferimento a valori in generale. Abbiamo già detto che perchè
gli imprenditori facciano propria la responsabilità dei problemi evolutivi (sia sul
versante dell'ambiente naturale che sociale) il richiamo morale non basta, occorre
garantire una serie di condizioni. Tutto ciò non deve, però, indurre il lettore
nell'equivoco che si voglia e si possa prescindere da giudizi di valore. Sappiamo bene che
essi sono ineludibili, in quanto parte costitutiva di ogni attività cognitiva e pratica.
Non c'è alcuna possibilità di scelta, di qualsiasi tipo e in qualsiasi senso orientata,
senza un giudizio di valore. (Penso, fra l'altro, al saggio di Max Weber sulla
"Oggettività").
Stiamo invece parlando, se non ho capito male, di una responsabilità
dell'innovazione pienamente compatibile con, e corrispondente alle dinamiche proprie del
funzionamento economico reale e, al tempo stesso, esprimibili in procedure oggettive. Ed
è evidente il vantaggio di non dover far ricorso a norme e codici etici dettati
dall'esterno (ai quali ci si può più o meno conformare sulla base di motivazioni, alla
fine, soggettive).
Il vantaggio del richiamo a procedure risiede non solo
nell'affrancamento da comportamenti ogni volta prescelti sulla base di elementi di merito
specifici. Da questo punto di vista, è peraltro chiaro che occorre pensare a regole del
comportamento la cui validità sia capace di adattarsi alle circostanze specifiche
piuttosto che dipendere da esse.
A mio avviso, procedure così intese devono contenere ed
esprimere esigenze e finalità che non siano da individuare e proporre ogni volta, ma
siano incorporate in regole che definirei di tipo grammaticale. Regole in cui i
gradi e tipi di consapevolezza sono sussunti in una metodologia da seguire.
Ma ciò richiede che tali procedure corrispondano ad un nuovo
tipo di razionalità (nuove modalità del pensare e agire socialmente).
Per tutto questo, ripeto, occorre un grande sforzo di elaborazione
anche sul piano epistemologico. In questo senso, una nozione che mi sembra utile
riprendere è quella di mappa cognitiva sociale (si veda il libro curato da me
insieme a Laszlo, Artigiani e Csànyi). Una mappa cognitiva sociale è costituita,
appunto, dai sistemi di riferimento a valori, dalle concezioni del mondo, dalle forme di
organizzazione sociale e dai modelli di cultura storicamente egemoni in un determinato
contesto e fanno da base ai modi di pensare ed agire in quel contesto. Tale nozione mi
sembra molto utile proprio per elaborare procedure come quelle di cui stiamo parlando.
Evidentemente, si possono anche adoperare nozioni diverse da quella
di mappa cognitiva, ma mi sembra comunque necessario individuare categorie atte a definire
la socio-cultura nel cui ambito si stabilisce una procedura o qualsiasi altra tipologia di
pensiero e azione sociale formalizzata.
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