LA REPUBBLICA, 14 febbraio 2001 "Una regola contro la paura: Garantire la trasparenza " di WALTER VELTRONI --------------------------------------------------------------------- Caro direttore, ha ragione Rita Levi Montalcini: «Non si può mettere il lucchetto al cervello». La libertà della ricerca è un diritto incomprimibile, costituzionalmente garantito. Del resto, la libertà è una e indivisibile. Se dovesse essere compressa la libertà di ricerca, come per altri versi quella di insegnamento o di apprendimento, non potremmo più definirci un Paese libero. Ma dirò di più: lansia di conoscere è coessenziale allessere umano come tale. Quando la Levi Montalcini dice «non si può» fermare il cammino della scienza, non intende solo che «non si deve», ma proprio che non è possibile, è impossibile arrestare la ricerca della verità, il desiderio di rendere comprensibile alla mente umana le pieghe più nascoste della natura. Proprio la natura, accanto alla scienza, è laltro termine del binomio coinvolto nella polemica che ha visto protagonisti, con un allarmato documento, i ricercatori italiani. Non saprei dire da quanto tempo è così, ci sarebbe di che discutere: dalla rivoluzione industriale? O forse anche da prima? Quel che è certo è che la natura è sempre meno un «a priori», qualcosa di «dato» a prescindere dalla responsabilità delluomo. La natura è certamente ancora oggi un vincolo e un limite per lazione umana, ma è anche e sempre di più un risultato delle nostre scelte, delle nostre decisioni, più o meno consapevoli. Laria, lacqua, la terra, la vita sono e saranno sempre più ciò che la coscienza e lintelligenza umane decideranno che siano. Non si tratta di un inno alla forza prometeica della ragione umana. Si tratta piuttosto dellassunzione di consapevolezza della tremenda responsabilità dinanzi alla quale lumanità si trova. Una responsabilità che chiama in causa letica e la politica, ma alla quale sarebbe semplicemente impossibile far fronte senza la scienza. Dinanzi ai nuovi problemi che linterazione uomonatura propone, non cè, non cè mai stata nella storia umana, una via duscita allindietro. Ce ne possono essere, di vie duscita, solo in avanti. Solo da un di più e non da un meno di conoscenza può venirci lindicazione, per fare solo un esempio, di fonti energetiche nuove e rinnovabili, che rendano possibile a tutti i sei miliardi di abitanti del pianeta di disporre di energia senza conseguenze che sarebbero devastanti per lecosistema. Pensare al progresso scientifico e alla salvaguardia dellecosistema in termini contrapposti è dunque semplicemente un nonsenso. Al contrario, è solo dalla scienza che possiamo aspettarci la possibilità di far incontrare, in modo meno precario di quanto non sia attualmente, le ragioni dello sviluppo con quelle dellambiente, le ragioni della lotta alla fame -- un problema che tortura la vita quotidiana di centinaia di milioni di nostri simili -- e quelle di unagricoltura rispettosa dalla biodiversità, compatibile con lecosistema, affidabile per la salute di tutti gli abitanti della Terra. Facciamo qui i conti con unaltra dimensione del problema che gli scienziati italiani hanno avuto il merito di porre al dibattito pubblico. E la dimensione delle applicazioni tecnologiche delle scoperte scientifiche, del loro utilizzo economico, delle loro ricadute sociali, delle implicazioni etiche che mettono in gioco. La conoscenza è sempre stata potere. Oggi lo è in modo straordinariamente dirompente. Per la profondità stessa della conoscenza -- in particolare in campo fisico e biologico -- e per la rilevanza, sul mercato e nella società, delle sue applicazioni tecnologiche. Il potere, in una società aperta, deve essere trasparente e bilanciato. Innanzi tutto trasparente: la ricerca scientifica lo è, la ricerca tecnologica, lo sterminato campo delle applicazioni produttive e sociali della conoscenza, in genere lo è molto meno. Ma lopacità può essere funzionale a chi rappresenta grandi, in qualche caso giganteschi, interessi sul mercato. Non è interesse della scienza: la quale dalla trasparenza ha tutto da guadagnare, in termini di fiducia da parte delle opinioni pubbliche. Mentre lopacità produce diffidenza, alimenta sospetti anche infondati, suscita assurde cacce alluntore, diffonde una perniciosa mentalità antiscientifica, contraddittoria con gli obiettivi di salvaguardia della salute e della qualità dellambiente, la trasparenza in campo tecnologico produce consapevolezza e dunque maturità collettiva. La trasparenza è, a sua volta, causa ed effetto insieme del bilanciamento: solo dal confronto pubblico tra diversi punti di vista e anche tra diversi interessi -- il punto di vista degli scienziati e quello dei tecnologi, delle imprese e delle associazioni dei consumatori -- è possibile ladozione, da parte della politica, di regole condivise ed efficaci, che diffondano e non concentrino il potere che deriva dalle applicazioni tecnologiche della conoscenza scientifica. E che ne stabiliscano il limite -- ripeto: non conoscitivo, ma applicativo -- in modo che sia rispettoso di valori primari quali la dignità della vita umana personale o la salute pubblica. La crescita della conoscenza è di per sé espansione della libertà. Ma non cè libertà -- in questo caso la libertà che nasce dal sapere -- senza responsabilità, la responsabilità di fare delle conoscenze un uso socialmente equo ed eticamente corretto. Una responsabilità della quale nessuno può arrogarsi lesclusiva, ma anche dalla quale nessuno può chiamarsi fuori. (lautore è segretario dei Ds)