LA VITTORIA DELLA RAGIONE 

di GIOVANNI VELENTINI  (La Repubblica 16/6/2000)

vedi: www.repubblica.it/quotidiano/repubblica/20000616/commenti/01part.html

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NON ERA dunque una battaglia di retroguardia, una battaglia di
minoranza, una battaglia persa, quella che il fronte ambientalista
ingaggiò nel lontano 1987, quando il Sì prevalse nel referendum
popolare per l'abolizione dell'energia nucleare. Ora che anche la
ricca, potente e moderna Germania rossoverde del Cancelliere
Schroeder ha deciso di abbandonare questa strada, speriamo che
nessuno abbia più voglia di ironizzare sull'impegno degli
ecologisti italiani, spesso rappresentati in blocco come
estremisti, cavernicoli, retrogradi, nemici giurati del progresso. 

E FORSE è arrivato anche il momento di riconoscere loro il merito
di aver imposto in anticipo al Malpaese, con quella che il
presidente di Legambiente Ermete Realacci legittimamente definisce
una "felice intuizione", una scelta su cui è orientata ormai la
maggior parte del pianeta.
Il fatto che una delle massime potenze industriali del mondo -
ancora in possesso di numerose centrali - abbia rinunciato adesso
al nucleare, riabilita e convalida definitivamente una campagna
civile che nel frattempo ha fatto proseliti non solo in Europa,
dall'Austria alla Svezia, ma perfino negli Stati Uniti. Una
tecnologia inventata a scopi di terrore e di morte non poteva
trasformarsi in una fonte di energia, di produzione e di
benessere, neppure in nome degli interessi economici, dello
sviluppo a ogni costo, del "dio profitto". A meno di non
interpretare la storia dell'umanità come un cammino ineluttabile
verso l'autodistruzione, la forza terrificante dell'atomo non è
convertibile in una spinta pacifica e positiva: l'Apocalisse può
attendere.
Troppo grande era ed è il "rischio nucleare", anche laddove le
condizioni appaiono più sicure, per sacrificare la difesa di
valori fondamentali come l'ambiente e la salute. A parte il
disastro della centrale di Chernobyl che a distanza di quindici
anni continua a diffondere i suoi veleni, l'esperienza dimostra
che nemmeno la tecnologia più evoluta e moderna - com'è il caso
recente del Giappone - mette al riparo dal pericolo mortale della
contaminazione. Ed è, per così dire, una maledizione a rilascio
prolungato che si perpetua nella catena biologica e si trasmette
attraverso i cibi alle persone, di generazione in generazione,
come una tara ereditaria.
Le vittime di Chernobyl restano un numero imprecisato: secondo
stime ufficiose, si calcolano fra 30 mila e 65 mila, ma altre
fonti parlano addirittura di 150 mila morti. In Bielorussia il
tasso di natalità è diminuito del 50 per cento, mentre aumentano i
casi di cancro alla tiroide a danno soprattutto dei più piccoli.
Per necessità la popolazione è costretta a nutrirsi di cibi
contaminati. Nei boschi di Vekta, una delle regioni più colpite
dall'esplosione del 26 aprile '86, si raccolgano ancora funghi e
fragole radioattive. Ma si sa che la nube tossica non conosce
frontiere e da allora ha sparso le ceneri di cesio in tutta
Europa.
Eppure, a fronte di una minaccia così grave, le 434 centrali
dislocate sul pianeta coprono all'incirca il 15 per cento della
domanda elettrica mondiale. Dietro gli Stati Uniti, al primo posto
con 104 impianti, segue con 58 la Francia da cui si approvvigiona
anche l'Italia. E mentre al di là dell'Atlantico s' impone una
tendenza alla riduzione del nucleare, appena oltre le Alpi le
notizie sull'affidabilità delle centrali diventano sempre più
preoccupanti: dimenticanze, negligenza, mancanza di controlli
minacciano di innescare la "bomba atomica" francese, proprio ai
confini della Penisola.
Sull'esempio che viene ora della Germania, è necessario perciò
riprendere e rilanciare l'offensiva antinucleare su scala
internazionale. Non servono le crociate: anzi, spesso possono
risultare controproducenti. Basta la ragione. E insieme a questa,
la mobilitazione culturale e civile di un fronte che non può
ridursi soltanto agli ambientalisti, uno schieramento trasversale
che deve scavalcare gli steccati della destra e della sinistra,
per coinvolgere cittadini e governanti di diverso colore.
Nel novembre del 1987, quando in Italia si svolse il referendum
contro il nucleare, fu decisivo l'atteggiamento del governo
socialista presieduto da Bettino Craxi. "Sulla questione - disse
allora il leader del Psi - noto una disinvoltura e talvolta anche
un cinismo impressionante". Ecco, la disinvoltura e il cinismo:
sono proprio queste le insidie principali da cui dobbiamo
guardarci nell'affrontare il problema. E se non è un caso che la
svolta tedesca sia stata decisa da un governo socialdemocratico,
può avere un significato anche il fatto che alla testa del governo
italiano si trovi oggi un riformista come Giuliano Amato,
sostenuto da uno schieramento di centrosinistra. Non potrebbe
essere, per l'attuale maggioranza, una bandiera da impugnare in
vista delle prossime elezioni? L'argomento non merita forse più
attenzione della stucchevole contesa sulla "premiership"? Il
nucleare non appassiona più della candidatura del banchiere Bazoli
o della gentile signora Moratti?

C'E' un punto in particolare che fa riflettere sulle colpe e sui
ritardi del nostro paese in questa materia. E riguarda una delle
maggiori ricchezze nazionali: il sole, l'energia solare che
rappresenta notoriamente una delle fonti alternative più
praticabili. Ebbene, secondo i dati forniti da Legambiente, nella
diffusione di questa tecnologia l'Italia registra addirittura un
declino: la vendita dei pannelli solari è più che dimezzata
rispetto alla metà degli anni Ottanta. Ma quel che è peggio, e
ancor più indicativo, è che nel confronto con la Germania da un
rapporto di 2:1 a nostro favore siamo passati a un rapporto di
10:1 per i tedeschi all'inizio degli anni Novanta, fino ad
arrivare a 30:1 nel 1997. Ciò significa che per ogni pannello
installato sotto il sole dello Stivale, isole comprese, nella
fredda e grigia Germania ne sono stati installati trenta.
Povero Sole che ride, poveri ecologisti nostrani, retrogradi e
cavernicoli. Qui il sole serve giusto per andare al mare, per
abbronzarsi, magari per attrarre i turisti e suonare le canzoni
napoletane. Ma per l'energia no, tanto quella possiamo comprarla
dalla Francia e dalle sue centrali nucleari.