L'Unità, 18 gennaio 2002 Emanuele Perugini Conflitto d'interessi in salsa farmaceutica Jonathan Quick dell'Oms, si batte contro il potere delle multinazionali ------------------------------------------------------------ Cè un dibattito pesantissimo, complesso e a dir poco delicato che attraversa da qualche anno il mondo della ricerca medica internazionale: ilconflitto di interessi. Noi italiani, abituati ad associare queste quattro parole ad una sola, precisa figura, possiamo legittimamente rimanere sorpresi del fatto che il problema possa investire altri ambiti, anche lontani, almeno a giudicare le cose con il vecchio senso comune. Invece il problema esiste e mobilita centinaia di ricercatori, decine di editori e direttori di autorevoli riviste scientifiche, qualche decina di grandi e grandissime case farmaceutiche. Se ne parla su Nature e il New York Times, sul Guardian e su Le Monde. Inutile cercarne traccia sui giornali italiani. E' un problema difficile, perché implica la messa in discussione del potere delle grandi «firme» della farmaceutica, la loro capacità di condizionare le pubblicazioni e persino il modo in cui si svolgono le ricerche scientifiche, le prove cliniche, la messa a nudo dei risultati. E c'è un uomo, a Ginevra, che conduce da anni questa battaglia in un posto chiave per la politica sanitaria mondiale. Un uomo il cui nome a noi italiani dice poco, ma che per molti, nel mondo, è quasi un mito. Quest'uomo è il direttore del dipartimento dei farmaci essenziali dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, Jonathan Quick. Un medico di cinquanta anni di origini americane che da alcuni anni, dopo aver lavorato sul campo in Pakistan e in Kenya, dal suo ufficio di Ginevra si sta occupando di un settore particolarmente delicato, quello dei farmaci essenziali. Un settore sul quale, dopo le prese di posizione del governo Sudafricano e il recente vertice del Wto di Doha, finalmente si riesce ad avere qualche speranza in più. La sua battaglia per la libertà di ricerca nel campo farmaceutico, libertà dagli interessi puramente commerciali delle grandi industrie farmaceutiche, può significare per milioni di persone nei paesi in via di sviluppo, ma anche in quelli occidentali, una questione di vita o di morte. «Nel mondo - ha spiegato Jonathan Quick - ogni anno milioni di persone muoiono o soffrono perché i farmaci essenziali spesso non sono disponibili, sono inaffidabili e di bassa qualità oppure, nella migliore delle ipotesi, vengono usati male. Questo accade - ha aggiunto - mentre dall'altra parte la ricerca farmaceutica si sta sempre più concentrando su farmaci legati non tanto ad interessi di cura reali, quanto alle pressioni commerciali delle imprese che finanziano le ricerche. Questo non è nell'interesse della salute pubblica». Da qui la necessità da parte del sistema di ricerca di dotarsi di nuove regole che in qualche modo mantengano la necessaria separazione tra le ricerche degli scienziati e gli interessi commerciali delle grandi aziende. Per evitare, insomma, il conflitto di interessi. «Il sistema della ricerca - ha spiegato il dottor Quick - ha bisogno di regole che garanàtiscano autonomia e indipendenza ai singoli ricercatori. Regole insomma che siano in grado di proteggere gli scienziati dalle minacce di azioni legali che di volta in volta vengono portate avanti dalle grandi aziende quando si scopre qualcosa che potrebbe danneggiare loro o i loro prodotti. Regole che proteggano anche i ricercatori che scelgono di pubblicare le loro ricerche». Una situazione molto delicata, che spesso sfugge a qualsiasi controllo di legalità. Nella scorsa estate German Velazquez, un membro dell'Oms che stava lavorando in Sud America, ha subito una serie di minacce che sono culminate in una vera e propria aggressione fisica con tanto di pugnalata alla schiena, per la sua azione a favore di alcuni farmaci essenziali in Bolivia. «Il mercato dei farmaci nel mondo vale intorno ai 400 miliardi di dollari di cui il 75 per cento vengono dai paesi occidentali, Nord America, Europa e Giappone, mentre l'Africa vale solo l'1,5 per cento di questo affare. Con una spesa pari a due dollari pro capite si potrebbero acquistare i farmaci essenziali più costosi di cui c'è una assoluta carenza». «Le multinazionali del farmaco - ha spiegato Quick - sono la maggiore forza politica ed economica nelle nostre società. Per questo è importante aprire con queste realtà un dialogo di ordine politico, in modo da lasciare aperto un canale di informazione con il pubblico». La storia del rapporto tra le industrie e il potere politico è in continuo divenire. Per i consumatori e per i governi i prezzi sono sempre troppo alti. Per le aziende invece la loro capacità di scoprire nuovi farmaci è minacciata dalle interferenze dei singoli governi. «La sfida ha ribadito Quick - è di trovare un equilibrio tra l'accesso ai farmaci che esistono oggi e quelli di cui si avrà bisogno domani». Anche un paese come l'Italia può fare molto in questa direzione. «Per esempio dice Quick - può usare il sistema dei brevetti e delle assicurazioni per incentivare la ricerca anche privata di farmaci effettivamente utili. Ma perché questo possa avvenire, è indispensabde che siano scritte nuove regole in grado di garantire la massima autonomia ai ricercatori». Finora all'appello lanciato da Jonathan Quick ha già risposto un gruppo di 13 editori di riviste mediche tra cui anche il prestigioso British Medical Journal.