L'UNITA', 30 agosto 2001 PIETRO GRECO Dopo il caso Lipobay si riapre la questione della trasparenza e della libertà nel lavoro degli scienziati Solo negli ultimissimi anni l'economia ha assunto il potere di indirizzare verso obiettivi che non sono dì pubblica utilità Sempre più spesso movimenti politici e autorità religiose chiedono di mettere limiti alla sperimentazione ----------------------------------------------------------- Il sito PubSCIENCE costituisce una minaccia per la libertà dell'informazione scientifica. E va chiuso o almeno, profondamente riformato. E' con questa motivazione che, lo scorso 25 giugno, una commissione del Congresso degli Stati Uniti ha operato un taglio di 730.000 dollari (1,6 miliardi di lire) nel bilancio del Department of Energy (Doc), il Ministero federale responsabile di larga parte della ricerca scientifica Usa ed editore di PubSCIENCE. La colpa del sito (e del Doc) è quella di pubblicare in rete articoli scientifici e indici di riviste in modo gratuito e accessibile a tutti. E ciò, secondo la maggioranza del Congresso degli Stati Uniti, costituisce un'inaccettabile minaccia per la libertà dell'informazione scientifica. O, almeno, costituisce una minaccia per il sistema di comunicazione della scienza fondato sulle regole di mercato e quindi su editori, privati, che sulla diffusione a pagamento dell'informazione scientifica hanno costituito il loro legittimo e redditizio business. L'episodio, tutto sommato minore, che si è consumato nelle aule del Congresso americano è solo uno degli ultimi di una serie che riguarda il modo di declinare la parola libertà, oggi, nel mondo della scienza. La lunghezza della serie e la profondità del tema sono tali, ormai, da costituire un vero e proprio fenomeno sociale emergente. Un fenomeno di importanza decisiva. Che ci conviene indagare. Visto che la scienza è, ormai, uno dei grandi motori della dinamica sociale. Non solo perché è il fondamento dell'innovazione tecnologica che, col suo ritmo prorompente, informa di sé la (turbo) economia globalizzata. Ma anche perché quella scientifica è la cultura che, più di ogni altra ormai, contribuisce alla continua ripercezione di noi stessi e del mondo che ci circonda. Il tema del rapporto tra scienza e libertà si sta snodando e, spesso attorcigliando, senza trovare per ora una limpida soluzione, lungo almeno quattro piste, che talvolta si incrociano, talaltra corrono via parallele e altre volte ancora si scontrano l'una contro l'altra: l'accesso all'informazione scientifica, conflitto di interessi, il mercato, l'etica. 1. L'accesso all'informazione scientifica. e' il grande tema che sta dietro l'episodio consumato a fine giugno nelle sale del Congresso degli Stati Uniti. Ed è il gran tema sollevato da migliaia di scienziati in tutto il mondo che da alcuni mesi, su iniziativa di Harold Varmus, già direttore dei National Institutes of Health (Nih), e di Pat Brown, genetista emerito della Stanford University, chiedono di allestire una "Public Library of Science", una biblioteca pubblica della scienza. Il problema sollevato da questa rete globale di scienziati è molto semplice. In questo momento ci sono, in giro per il mondo, più ricercatori di quanti l'umanità ne abbia avuti nel corso di tutta la sua storia precedente. Questo mare di scienziati produce un oceano di conoscenze. Che vengono archiviate in un novero sempre più ampio e sempre più costoso di riviste, pubblicate da editori privati. Poche biblioteche al mondo possono abbonarsi a tutte le riviste importanti anche di un singolo settore della scienza. Poche persone al mondo, quindi, possono accedere a tutta l'informazione rilevante che la scienza produce. La disparità di accesso all'informazione è diventata ormai così grande da costituire un limite sia per lo sviluppo democratico della scienza che per lo sviluppo economico e sociale dei paesi meno ricchi. Varmus, Brown e le migliaia di scienziati che hanno sottoscritto il loro appello credono che: "la memoria permanente della ricerca e delle idee scientifiche non dovrebbe essere proprietà o comunque sotto il controllo di singoli editori, ma dovrebbe diventare pubblica e liberamente accessibile". Per questo chiedono "la costituzione on line di una biblioteca pubblica della scienza, che contiene i testi completi di tutti gli articoli scientifici pubblicati" nel mondo. Questa rete di ricercatori, che qualcuno ha definito il "popolo di Seattle della scienza", sta già attuando una forma di boicottaggio delle riviste che si rifiutano di conferire alla biblioteca pubblica tutti i loro articoli dopo sei mesi dalla loro prima pubblicazione. Gli editori e molte istituzioni politiche, come abbiamo visto nel caso del Congresso degli Stati Uniti, hanno molte riserve sull'iniziativa e cercano di resisterle. Può darsi che ci riescano. Ma la rete inedita di scienziati-sindacalisti pone a tutti un problema di "democrazia della conoscenza" ineludibile e decisivo per la nostra epoca. 2 Il conflitto di interessi. Nelle scorse settimane la Commissione europea ha proposto la costituzione di un'Autorità scientifica per la prevenzione e il controllo della sicurezza alimentare in Europa. Nella Direttiva si specifica che gli scienziati europei chiamati ad assolvere al delicato compito dovranno essere di alto livello e liberi da ogni conflitto di interessi: ovvero non dovranno essere, insieme, controllori e controllati (o collaboratori dei controllati). Il fatto che la Commissione europea richieda in modo esplicito questa ovvia condizione, rivela quanto sia urgente e difficile, soprattutto in ambito biomedico, trovare oggi scienziati liberi da ogni conflitto di interessi. Il problema del controllo rigoroso, perché libero da condizionamenti, è emerso con virulenza nell'ambito della vicenda del Lipobay e della Bayer. Ma è tutt'altro che limitato. Nei mesi scorsi la F&DA, l'agenzia americana che si occupa di controllo del cibo e dei farmaci, è stata sommersa dalle polemiche, esplose anche nelle aule dei tribunali, per aver subito a lungo la forte e indebita ingerenza delle grandi aziende biotecnologiche interessate a eludere i controlli sui cibi transgenici. Ma il problema della trasparenza va oltre l'ambito, pur importante, del controllo. Investe l'intera attività scientifica. Come rilevano da tempo anche alcune, tra le più note riviste biomediche al mondo, come Jatta, la rivista dell'associazione medica americana, che sul conflitto di interessi nel mondo della ricerca biomedica ha sollevato un grande e intenso dibattito. Il problema è esploso a metà agosto, quando le più grandi riviste scientifiche del mondo, l'inglese Nature e l'americana Science, hanno chiesto ai loro autori di rendere esplicite le fonti di finanziamento e i possibili conflitti di interesse. Perché il lettore, ancorché esperto, deve avere chiara qual'è la fonte dell'informazione che riceve e a quali condizionamenti è esposta. Dietro questa perentoria richiesta di trasparenza c'è il fatto che la presenza di investimenti privati nel campo della ricerca, soprattutto biomedica, ha creato una rete così fitta di relazioni tra scienza e industria che è difficile trovare scienziati che, in modo del tutto legittimo, non ne facciano in qualche modo parte. L'economia privata offre grandi risorse alla scienza. Risorse a cui sarebbe sbagliato rinunciare. Tuttavia l'economia privata è portatrice (legittima) di interessi di parte, di cui bisogna tenere conto. Occorre quindi che la discussione sul conflitto di interesse nel mondo scientifico esca dalle pagine delle riviste di settore e diventi pubblica. Perché la libertà dai condizionamenti economici è decisiva per la sicurezza dei cittadini quando in gioco vi sono il cibo, i farmaci, le cure mediche. 3 Il mercato. Il rapporto tra scienza ed economia è di antica data. Ma è solo negli ultimissimi anni che l'economia di mercato ha assunto una posizione dominante in molti settori decisivi della ricerca scientifica. Portando risorse nuove, importanti e aggiuntive. Ma anche indirizzando la ricerca scientifica verso obiettivi che prescindono dalla pubblica utilità. La ricerca privata e la logica di mercato hanno generato una mole enorme di conoscenze utili. Ma l'assenza della politica capace di redistribuire questa conoscenza, ha creato delle disparità enormi del mondo, come ha rilevato nei mesi scorsi l'ultimo rapporto delle Nazioni Unite su tecnologia e sviluppo umano. La presenza del mercato nel mondo della ricerca si fa sentire soprattutto nell'ambito della biologia applicata e della biomedicina. Sono nate nuove figure di scienziati, gli scienziati-imprenditori, che come Craig Venter, il biologo che ha sequenziato il genoma umano, pretendono e ottengono di vedere riconoscìuti contemporaneamente i loro interessi scientifici ed economici. Grandi compagnie multinazionali hanno assunto una posizione di quasi monopolio nell'ambito delle biotecnologie. E non è davvero un caso che la prima generazione dei prodotti commerciali di queste nuove e promettenti tecnologie applicate all'agricoltura non arrechino benefici al consumatore, ma solo al produttore. E, ancora una volta, non è un caso che i primi prodotti delle biotecnologie che, come il golden rice - il riso transgenico che contiene vitamina A - cercano di arrecare benefici al consumatore, siano nati in laboratori pubblici, che non rispondono alla sola logica del mercato. Ancora più sbilanciato è quel settore della scienza che studia nuovi farmaci e nuovi trattamento medici. Questo settore è quasi completamente controllato dalle industrie farmaceutiche, che in questa ricerca investono grandi capitali. Tuttavia la presenza monopolistica della cultura di mercato nel campo biofarmaceutico crea diseguaglianze inaccettabili. La gran parte delle risorse mondiali investite in questa ricerca riguarda il benessere di pochi privilegiati, in grado di acquistare ì prodotti della ricerca a prezzo di mercato. Mentre solo pochi spiccioli vengono investiti nella ricerca di farmaci e metodi clinici rivolti a miliardi di persone, che non hanno la possibilità di entrare nel mercato. Milioni di morti ogni anno potrebbero essere evitate, ricalibrando gli obiettivi e riequilibrando le risorse destinate alla ricerca scientifica in campo biomedico. Molti si chiedono se non sia il caso di restituire la libertà di ricerca agli scienziati in questi settori aumentando gli investimenti pubblici, fuori dalla pura logica di mercato. Molti si chiedono, più in generale, a chi debba appartenere, in una società democratica e giusta, il potere di indirizzo della ricerca scientifica. 4 L'etica. Nel colloquio che a luglio la massima autorità religiosa del mondo, Giovanni Paolo II, ha avuto con l'uomo politico più potente del mondo, George W. Bush, il tema dominante è stato un problema scientifico: la ricerca scientifica sulle cellule staminali embrionali. Non è un caso. Le tensioni etiche create dalla conoscenza scientifica, soprattutto quella in ambito biologico, stanno aumentando a ritmo crescente. I temi bioetici sono in cima alle agende politiche dei governi e dei parlamenti di tutto il mondo. Sempre più spesso movimenti politici e autorità religiose intervengono per chiedere non solo di regolare le applicazioni delle conoscenze scientifiche, ma di fermare il processo stesso di acquisizione delle conoscenze. Insomma, sempre più spesso viene chiesto di limitare la libertà di ricerca. E sempre più spesso le autorità politiche sono tentate, come George W. Bush, di porre limiti a quella libertà. Ma la libertà di ricerca non riguarda solo un numero, più o meno grande, di specialisti. E' uno dei diritti inalienabili dell'uomo. Prima di rinunciarvi, occorre almeno discuterne. Accesso all'informazione scientifica, conflitto di interessi, mercato, etica. Il rapporto tra scienza e libertà forma un ordito sempre più fitto e sempre più complicato. Interpretarlo e riconnetterne le fila è un'ìmpresa culturale sempre più difficile. Ma è anche un'impresa politica sempre più urgente. Anzi, è forse l'impresa politica più urgente. Perché dalla nostra capacità di leggerlo correttamente dipendono lo sviluppo equo e sostenibile dell'umanità, il governo democratico dei processi economici locali e globali, la dimensione culturale in cui vivremo nei prossimi anni, Non è davvero cosa da poco.