L'Unità, 10 luglio 2000 PIETRO GRECO Chi ha paura delle svolte epocali A SPOLETOSCIENZA SI DISCUTE DELLA "GUERRA DEI MONDI" Per il filosofo Sebastiano Maffettone serve "una metafisica pubblica" Per Edoardo Boncinelli, genetista in odore di premio Nobel, è in atto una svolta epocale nel campo della biologia. Con il sequenziamento del Dna umano abbiamo finalmente nelle nostre mani le conoscenze tecniche necessarie per risolvere, di qui a qualche anno, molti dei mali fisici che affliggono l'uomo. Per Renato Soru, presidente e amministratore delegato della Tiscali, l'azienda che negli ultimi mesi ha registrato il più grande successo di Borsa, è in atto una svolta epocale nel campo dell'informatica. Sprizzano ottimismo da tutti i pori due dei grandi protagonisti italiani delle due svolte tecnologiche epocali, la svolta biologica e la svolta informatica, che stanno traghettando 1'umanità in una nuova era: l'era della conoscenza. Il loro ottimismo, speculare e inguaribile, Edoardo Boncinelli e Renato Soru, lo esprimono davanti a un folto pubblico nella magnifica navata della Chiesa di San Nicolò, nel sabato mattina che inaugura "la guerra dei Mondi", ovvero l'edizione 2000 di Spoletoscienza, la manifestazione, organizzata dalla Fondazione Sigma Tau, giunta al suo XXII appuntamento. E' un ottimismo scontato, quello di Edoardo Boncinelli e di Renato Soru. Perché chi si trova alla testa di una svolta epocale non può che guardare con fiducia al futuro che sta così prepotentemente contribuendo a forgiare. Tuttavia è un ottimismo intelligente giacché entrambi riconoscono che le due svolte epocali non risolveranno certo i problemi spirituali dell'uomo. Nè risolveranno tutti i suoi problemi materiali. Edoardo Boncinelli ritiene che la biotecnica si limita a offrire molti spazi d'azione per cercare di risolvere o almeno di lenire alcune delle grandi grane patologiche (malattie genetiche, cancro) e delle grandi grane fisiologiche (invecchiamento) dell'uomo. Renato Soru ritiene che la Rete si limita a offrire molti spazi d'azione per cercare di affrancare l'economia dell'uomo dai limiti fisici (tempo, spazio, materia) e finanziari (capitali) che ne limitano lo sviluppo e la creatività. Boncinelli e Soru sono convinti che la biotecnica e l'informatica faranno questo (e non è davvero poco). Ma nulla più di questo. Tuttavia l'intelligenza del loro inguaribile ottimismo promana da un'altra comune consapevolezza. La consapevolezza che il futuro non è già scritto. Non è scritto neppure nella dinamica, potente e prepotente, delle due tecniche di cui sono i profeti. Il futuro lo realizziamo noi, con la nostra intelligenza e con la nostra volontà. La biotecnica e l'informatica possono fornire una leva potente alla nostra intelligenza e alla nostra volontà per realizzare un futuro desiderabile o almeno migliore del presente. Ma la mancanza di intelligenza e/o di volontà (individuali e collettive) possono realizzare un futuro poco desiderabile e persino peggiore del presente. Questa è, in sintesi, la "filosofia della tecnica" o, se volete, il messaggio di fine secolo, che hanno proposto a Spoleto, sabato scorso, il genetista in odore di Nobel, Edoardo Boncinelli, e l'imprenditore fondatore di Tiscali, Renato Soru. Si tratta di un messaggio naturale, visto che i due sono protagonisti di primo piano di due svolte, tecnologiche, epocali. E si tratta di un messaggio intelligente, perché consapevole del limiti di queste innovazioni tecnologiche. Tuttavia non è un messaggio ricevibile. Non senza qualche distinguo almeno. Quel distinguo o, se volete, quel pessimismo della ragione che sarebbero fuori luogo nei protagonisti di una svolta, ma che sono espressione naturale degli osservatori critici di ogni fase storica. Il motivo e semplice: lo sbarco e la scoperta di un nuovo mondo crea un conflitto col vecchio mondo. Un conflitto che va oltre la tecnica o, se volete, la tecnoscienza. Per investire la società, la cultura, i sentimenti degli uomini. In questa "Guerra dei Mondi", vecchi equilibri (sociali, culturali e persino etici), vengono distrutti. E la discussione genera sangue e lacrime. Sangue e lacrime vere, in uomini e donne reali. Certo, dopo ogni grande innovazione tecnica l'equilibrio (sociale, culturale, etico) sconvolto si ricompone e, in genere, a un livello più alto del precedente. Ma la fase di transizione, quella produce incomprensioni e paure, lacrime e sangue. Un esempio ci aiuterà a uscire dalle analisi astratte. L'esempio è quello che ci ha offerto ieri, domenica, la seconda giornata di Spoletoscienza. Una giornata, abilmente coordinata dal giornalista scientifico Gianfranco Bangone, e che ha avuto per protagonista la scoperta di un mondo nuovo (almeno in apparenza) e quindi, sempre in apparenza, alieno: il mondo delle biotecnologie. Per l'intera mattinata tre esperti dell'impatto sociale ed economico di questa grande tecnoscienza, l'inglese John Hodgson, editorialista della rivista specializzata "Nature Biotechnology", l'americano Henry Miller, della "Stanford University", e l'altro americano Michael Gollin, un avvocato che si occupa di brevetti, hanno cercato di demolire l'approccio con cui una parte del mondo, anzi del Vecchio Mondo (inteso come Europa), si rapporta alla irruzione sulla scena di questi (apparenti) alieni: i prodotti biotecnologici in agricoltura. In particolare hanno cercato di demolire quel "principio di precauzione" (gli atti di cautela che vengono applicati in assenza di certezza), con cui il vecchio mondo (inteso, stavolta, come il mondo costituito da coloro che non amano la novità biotecnologica) cerca di contrastare la grande innovazione. Hodgson, Miller e Gollin hanno utilizzato argomenti assolutamente razionali, anche se abbastanza unilaterali, per stigmatizzare l'uso improprio del principio di precauzione nella regolamentazione dello sviluppo delle biotecnologie. Molto spesso, chi invoca il principio di precauzione contro le biotecnologie agricole, nasconde dietro un nobile principio o un prosaico interesse economico o una vocazione luddista (un'avversione, quasi una reazione, alla tecnica). Questa posizione frena lo sviluppo spontaneo della scienza e della tecnica in campo agricolo. Uno sviluppo che potrebbe risolvere grandi problemi materiali. E, pertanto, concludono Hodgson, Miller e Gollin, va strenuamente combattuta. Tutto molto giusto. Finché non si tiene conto di due elementi. Entrambi messi in luce dal filosofo Sebastiano Maffettone, osservatore critico intervenuto sabato. Il primo è che il progresso delle biotecnologie, come tutto il progresso tecnoscientifico, cambia sempre più velocemente le nostre vite. E la nostra cultura sembra non possedere il ritmo per assorbire criticamente questo vorticoso cambiamento. Se la tecnoscienza non tiene conto di questo ritardo, rischia di andare a uno scontro con ampi settori della società senza capirlo. E non c'è nella di più pericoloso di un conflitto di cui non si capiscono i termini. Il secondo elemento è che l'innovazione tecnologica produce ricadute e conflitti a livello sociale ed etico. Queste ricadute e questi conflitti sono tanto più profondi, quanto più la capacità d'innovazione è grande. Con la biotecnica e l'informatica, sostiene Maffettone, le ricadute coinvolgono livelli così ampi e i conflitti sono così profondi che non serve più la "metafisica speculativa" di chi si schiera senza riserve o a favore o contro l'innovazione tecnologica. Serve una metafisica diversa, una "metafisica pubblica", ovvero un lavoro defatigante che consiste nel cercare di misurare, caso per caso, per prova ed errore, i pro e i contro che ogni innovazione tecnica propone a livelli diversi e spesso in modo contraddittori. Ci sono molte culture e, quindi, molti modi di valutare i chiaroscuri proposti in modo sempre più incessante dall'innovazione tecnica. Accettare queste diverse culture ed evitare che qualcuna prevalga con la forza (forza economica, politica o religiosa che sia) sulle altre, è la grande sfida della democrazia nella nuova era della conoscenza.